la fortezza, io, il vento

Standard

Un giovane assistente del professore con cui ho sostenuto un esame di letteratura italiana all’università sosteneva, senza mezzi termini, che una buona parte della produzione poetica del genere umano sia stata scritta per portarsi a letto qualcuno. Io e l’amico Walter, che ai tempi eravamo inseparabili compagni di studi tanto che lo chiamavo il mio Walter ego, c’eravamo scambiati un’occhiata di intesa perché di poesie ne scrivevamo a getto continuo ma con scarsi risultati, sotto quel punto di vista. Comporre rime, più che prosa, era una vera e propria missione di tutti, ai tempi. A differenza di molti, però, Walter ed io non frequentavamo i bar nei pressi della facoltà con i nostri quaderni sottobraccio grondanti di inchiostro e di ispirazione con l’intento di sottoporre versi ad amici e soprattutto amiche. In ogni spazio ricreativo occorreva ingegnarsi per dribblare i numerosi lirici in erba che, sbrigate le formalità dei convenevoli, andavano subito al sodo proponendoti di leggere qualcosa scritto da loro. Una strategia che non ho mai adottato. Tutt’ora sono estremamente riservato, se pensate che non ho mai divulgato volontariamente a conoscenti, colleghi o amici il link a questo blog. E, per fortuna, di tutto quel ciarpame in rima composto da me ho perso traccia, probabilmente declassato a materiale da macero insieme ai vari supporti cartacei colmi di appunti delle lezioni, una volta conseguita la laurea. Invece, qualche giorno fa, ho riesumato un paio di volumetti di letteratura e pubblico nella Grecia antica per mia figlia e, scorrendo velocemente le pagine per verificare che non vi fossero chiose compromettenti, è saltato fuori un foglietto di uno di quei mini block-notes a quadretti, il formato che prima dell’avvento delle casse elettroniche e dei pos si usavano nelle trattorie per annotare il conto da sottoporre agli avventori. Su quel pezzo di carta c’era una poesia redatta con i caratteri boriosi che impiegavo per quel genere di composizioni: tutto maiuscolo e inclinato verso destra. L’ho letta e, come è facile immaginare, ho provato un forte imbarazzo. Ma l’esperienza genitoriale mi ha insegnato che non bisogna provare vergogna per le cose fatte nella fase precedente della propria vita, che solitamente è antitetica a quella che si sta vivendo, altrimenti non ci sarebbe stato bisogno alcuno di cambiarne le regole. Quando rammento un episodio a mia figlia accaduto quando frequentava le medie mi rimprovera di riportare a galla esperienze che vuole rimuovere dal suo vissuto. Io cerco di rassicurarla sostenendo che arriverà il giorno in cui tutto il passato, quello piacevole e quello che ci sarebbe piaciuto dimenticare, riuscirà a ripercorrerlo con maggiore indulgenza. Così, per coerenza, ho piegato nuovamente il foglietto con la poesia e l’ho messo a posto nel libro anziché fargli fare la fine che meritava, tanto per la storia della letteratura greca c’è ancora tempo. Poi si vedrà.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.