così lontano, così vicino

Standard

Ogni tanto se ne vedono ancora anche se a me sembra un hobby d’altri tempi, ma forse solo perché era mio nonno ad averne numerosi modelli – nulla di professionale, chiaro – e anche mio padre ci si dilettava, e quello stesso passatempo che a me sembra più una sorta di perversione è entrato a far parte della cultura famigliare, quelle cose che non ti stupiscono perché le hai sempre sottomano e poi magari invece ci si meraviglia se un vicino – faccio un esempio – si getta con il paracadute nel weekend. No, l’hobby a cui mi riferisco, che poi non è nemmeno un hobby, è un’abitudine molto meno pericolosa a meno che non sconfini nel voyeurismo e non si venga beccati – che so – a spiare nelle case degli altri le donne che si svestono. Sto parlando dell’uso dei binocoli, uno strumento che al di fuori dell’ambito specifico per cui è stato messo in commercio, l’avvistamento e l’osservazione con finalità di controllo e di sicurezza in ambito militare o civile, ora mi meraviglia quanto chi perlustra la sabbia o i boschi con i metal detector. Voglio dire, non trovate strano l’imbattersi in persone che dalla finestra di casa propria o in luoghi pubblici fissano punti imprecisati così, per puro diletto? Ed è chiaro che ci sono quelli che guardano gli uccelli, quelli che guardano le balene, quelli che guardano i delfini, ma si tratta di casi piuttosto circoscritti. I binocoli in casa mia si utilizzavano a teatro, in campagna per giocare alle giovani marmotte, ma mio nonno li portava sempre con sé per scrutare chissà che cosa. Poi ci sono quelli che si mettono in riva al mare e dicono di osservare le barche. Ma tra le barche e le lenti ci sono le spiagge con le bagnanti sdraiate, e chissà che lo sguardo ravvicinato non sosti lì, prima di spingersi in alto mare su ben altre poppe.

giochi senza frontiere

Standard

Ogni giorno vedo il monitor del tuo pc, non è colpa mia se il tuo ufficio è in vetrina, proprio sulla strada. Ogni giorno vedo i lineamenti tipici dell’Europa dell’est e l’evoluzione della tua pettinatura, probabilmente vai dal parrucchiere ogni fine settimana. Anche il client a tua disposizione si è evoluto, nel tempo. Dieci anni fa avevi un monitor delle dimensioni di un televisore della nonna e probabilmente un ingombrante tower con pentium 3 sotto la scrivania. Oggi hai un monitor ultrapiatto e ultrafigo, con un desktop dal design minimale e accattivante a lato, tutto scalfito da decine di prese usb. E hai iniziato anche ad ascoltare musica mentre lavori, indossi spesso auricolari bianchi collegati direttamente al pc. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 26/05/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

mezza bellezza

Standard

Sono alto un metro e ottantasei centimetri, se non ricordo male sono così dalle superiori. Un amico mi ha fatto notare però che mi muovo come se la mia statura fosse più elevata, ovviamente riferendosi a quella fisica. Su quella morale non ricordo di aver superato assestment espliciti, qualcuno sa perché. Passo dalle porte chinando la schiena più o meno platealmente, per esempio, un vezzo che è diventato tic più che abitudine. Stesso discorso quando entro o esco dall’automobile, mi abbasso nemmeno dovessi entrare nella tana di un animale selvatico. Ma c’è un motivo. Ho abitato ambienti con dimensioni davvero limite per una persona dall’altezza come la mia dopo essere nato e cresciuto in stanze dai soffitti a misura di ciclope. Stipiti contro i quali ho lasciato più di una volta lo stampo della fronte, e per adattarmi ai quali il mio istinto di sopravvivenza mi ha imposto come reazione il ridurmi dell’intera lunghezza del capo. Bagni in cui il lavabo era ubicato abbondantemente sotto il bacino e lo specchio sovrastante mi rifletteva torace e ascelle, almeno per lavare quelle era utile. Finestre sui davanzali delle quali potevo inginocchiarmi e che, una volta spalancate, costituivano un reale pericolo per chi avesse voluto sporgersi. Se avete presente l’esperimento di controsoffittatura estrema degli uffici di “Essere John Malcovich” avete capito cosa intendo. Probabilmente gli antichi inquilini di quegli appartamenti erano molto più bassi di noi, di me almeno, nel corso degli ultimi secoli ci siamo evoluti come le giraffe e certi edifici residenziali d’epoca oramai sono inadatti. E forse anche troppo, se prendo spesso testate contro il portellone dell’auto quando carico e scarico la spesa, voglio dire, la mia auto non è stata progettata così tanto tempo fa. Ma mi dico così solo per spostare il nocciolo del problema e per attribuire ad altri fattori esterni e indipendenti da me la responsabilità di un fenomeno a cui vado soggetto da sempre. Diciamo da quando sono alto un metro e ottantasei centimetri, se non ricordo male dalle superiori. Non passo giorno senza farmi male per battere la testa, bruciarmi le mani contro la pentola, tagliarmi mentre affetto il pane, urtare le dita dei piedi sugli angoli dei mobili o contro le sedie. Il tutto unito alla sofferenza di avere a che fare con cose, oggetti, strumenti e utilità varie ubicati tremendamente in basso per le mie possibilità. Che finché appartengono alla sfera ludica dei bambini, uno può anche mettersi seduto o in ginocchio e adattare la propria posizione a genitore quadrupede. Ma per il resto si tratta di un handicap piuttosto debilitante, la schiena ne risente e passare il tempo chinato non è piacevole. Il tutto inserito in un quadro in cui non avere l’esatta percezione dello spazio occupato dalla propria figura e delle conseguenze dei propri movimenti, soprattutto quando non si ha il tempo di pianificarli e occorre agire di impulso, può generare serie conseguenze, probabilmente si tratta di una delle prove principali della selezione naturale della specie. Ecco, se fossi un animale – indipendentemente dalla posizione nella catena alimentare – sarei già stato cibo per predatori, o trasformato in concime per il terreno. Senza contare che gli esseri alti sono visibili ovunque da chi si sta procacciando il cibo. Viceversa, direte voi, essere uno e ottantasei ti consente di avere punti di vista preclusi ad altri. Forse il problema è proprio questo. Da quassù siamo costretti a guardare lontano, a perdere il controllo di ciò che è attiguo, e a farci del male con la prossimità più spigolosa.

comunicare è un’impresa non da poco

Standard

Ecco, io vorrei che tutti i ragazzi che stanno per conseguire un diploma e stanno valutando quale facoltà o corso di studi scegliere per prepararsi al mondo del lavoro. O tutti quelli che hanno già una laurea, non trovano lavoro, e credono che così si possano aprire nuove opportunità. Le persone che fanno tutt’altro e sono ancora convinte che si tratti della disciplina del futuro. Ecco, a questa massa di ignari che credono che lavorare nella comunicazione aziendale sia un mestiere da fighi, che generi visibilità e, soprattutto, soldi, dico che vorrei che prima di fare una scelta così scellerata venissero in ufficio da me, un paio di giorni, giusto per vedere di che cosa si occupa l’agenzia di comunicazione media.  Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 18/05/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

più per scelta che per caso

Standard

C’è la volta in cui si incontrano gli uomini, ed è la casistica più frequente e in una gamma di orari più varia. Tutti insieme, tutti più o meno abbonati, un posto per ciascuno e un posto per la mercanzia nei sacchi neri e blu di nylon, quelli della spazzatura. E poi borsoni e zaini di volumetrie e peso inimmaginabile e li vedevi, in estate, trasportare tutta quella roba avanti e indietro, avanti e indietro fino allo sfinimento. Il nostro, perché come per noi è difficile distinguerli, per loro è lo stesso, capire se da quell’ammasso di lardo o quello sciancato tutto bianco e informe ti sei già fermato a proporre cappelli, teli da mare, collanine, libri di poeti africani, aquiloni e tutta la gamma di passatempi da spiaggia in plastica per bambini capricciosi. Loro invece mica si stancano. Tutta quella roba che sono chili alla mattina e probabilmente poco meno al ritorno, perché non abbiamo idea di quello che riescono a vendere. Le borse tarocche, i giubbotti che non sai che strada facciano, se dalla Cina a Napoli o viceversa passando per la casa di moda che comunque qualcosa ci guadagnerà da tutto ‘sto sottobosco di contraffazione, altrimenti il mercato più nero di tutti sarebbe già stato debellato come i coloranti velenosi degli alimenti. Poi passi per le strade e vedi questi temporary store sui marciapiedi e c’è un sacco di gente che si ferma e chiede, cercando di abbassare i prezzi e di portarsi a casa il capo griffato di dubbia scelta, probabilmente la penultima prima di finire all’outlet. E lo stesso mentre prendi il sole e vedi quello a fianco che per una manciata di euro vince il venditore per sfinimento e fa indossare con orgoglio alla moglie i Prada fasulli con le lenti di plastica che è già tanto se non ti rovinano gli occhi con le lenti di plasticaccia, ma con il ciclo di vita per cui sono stati fabbricati è già tanto che sembrino veri. Ci sono orari in cui sui treni ce ne sono davvero tanti e se capiti tra quelli giusti c’è anche da divertirsi. Trovi quello che tira fuori una chitarra e canta una versione contraffatta di “Stir it up”, con parole tarocche ma chi se ne importa, e il socio che rolla e nello scompartimento tu sei l’unico viso pallido che fuma (gratis) al ritmo di reggae.

C’è la volta in cui si incontrano le donne, ed è più facile che accada in particolari orari. L’andata più o meno all’ora di cena, tutte belle e intente nel rito del trucco e parrucco a ridere e a parlare con il loro modo incredibilmente sguaiato. Quelle già veterane, perché poi ci sono quelle più giovani o neofite della vita sulla strada che invece seguono il corso degli eventi con un’espressione di infelicità che non ha paragoni. Una differenza difficile da cogliersi al ritorno con i primi localissimi del mattino, tutte addormentate al buio che già loro, così scure, non si vede proprio nulla se non i vestiti sgargianti di alcune. E che poi uno che vive nell’occidente del mondo fa un ragionamento, e cioè che questa suddivisione di mestieri tra maschi e femmine dell’Africa che hanno qui sia un sottoprodotto della nostra economia. Con poco ti puoi comprare un surrogato di qualunque cosa, piacere compreso. Il che significa che se noi non avessimo determinate esigenze di consumo, dai capi in pelle al sesso a pagamento, probabilmente mancherebbero interi punti di riferimento della contemporaneità. Sapere che tutto è così accessibile e che tutto si può contrattare, tanto è finto.

storie di ordinaria folla

Standard

L’informazione è ormai considerata un diritto gratis dell’uomo metropolitano. Mi riferisco all’evoluzione del genere cui apparteniamo anche noi frequentatori dell’ambiente social e virtuale, ovvero l’insieme di bipedi che brulicano sottoterra nelle ore di punta per raggiungere il posto di lavoro. Non si spiegherebbe la profusione di pusher di attualità distorta che presidiano i numerosi varchi di passaggio all’inferno, voragini segnalate da una emme bianca in campo rosso che ogni elettore vorrebbe sempre più vicino al portone di residenza per diminuire il percorso outdoor e la conseguente esposizione alle polveri sottili, se non per veder aumentare il valore del proprio stabile. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 21/04/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

no, niente

Standard

Io lo so che tra di voi c’è pieno di gente un po’ snob che giudica gli altri solo in base al tipo di vacanze che fanno. Sì, dico proprio a te, è inutile che fai la gnorri. Brutte persone piene di pregiudizi su Sharm, Maldive, Rimini, San Teodoro e sul motivo che spinge moltissimi italiani fuori o in stagione verso quei lidi. O i villaggi all inclusive con gli antipasti al carrello per non parlare delle crociere. Perché è vero: la vacanza ci deve somigliare altrimenti non è vacanza, ma è un secondo lavoro a progetto con tanto di deadline rigida da portare a termine nel corso delle agognate ferie di agosto o giù di lì per poi ritrovarsi il primo giorno di lavoro più stanchi di prima ma con la faccia che ti brucia ancora dal salino del giorno prima e quelle decine di lavatrici da fare e poi stendere e stirare tutta la roba da mare per la stagione successiva. Non è vita. Quindi alla faccia di quelli che partono per un tour delle ex repubbliche sovietiche o alla volta della Patagonia, spezzo una lancia per chi ha il coraggio di scegliere una vacanza in cui non fare un beato cazzo. Niente. Tutto il tempo speso tra leggere da sdraiati, godersi l’ombra da sdraiati, anche prendere il sole ma da sdraiati, farsi un bagno rinfrescante da sdraiati e, al limite, tentare anche un’escursione ma rigorosamente da sdraiati. Per non parlare del riposino di metà mattina, quello dopo pranzo e quello pre-aperitivo, tutte attività da svolgere a bordo di una branda. Da sdraiati. E, ogni tanto, pensare a tutte le cose che nel frattempo non si fanno. Tutti i tornei a cui non iscriversi. Le attività ludiche a cui non partecipare. Le gite da evitare. Gli spettacoli organizzati per nostro divertimento a cui non presenziare. Cene e merende conviviali a cui rinunciare. E, a corollario di tutto questo, la vita sociale da non svolgere e le persone che magari condividono lo stesso spazio dedicato al relax da non conoscere né frequentare. Ecco il vero riposo. L’unica confutazione al concetto molto aleatorio di vacanze intelligenti. Io quest’anno sono altrove ma passo il tempo così. A non fare un cazzo. Da sdraiato.

un amore di gruppo

Standard

Ho deciso che se rinasco e mi viene data l’opportunità di rifare tutto da capo, cosa di per sè molto probabile, non cambio la mia vita nemmeno di una virgola se non alla voce “hobby e interessi”. Già. Penso che anziché imparare a suonare uno strumento musicale, nel mio caso pianoforte, tastiere, sintetizzatori analogici e ogni diavoleria sonora immessa sul mercato con l’avvento del digitale, connettibile al pc tramite interfaccia midi, prima, e usb, in tempi più recenti, mi dedicherò a un passatempo meno costoso, che so, la Formula Uno, e meno carico di aspettative, che so, fare il blogger. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 1/04/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.

la metempsicosi e l’arte dello spezzatino

Standard

Sei sei vegetariano o, peggio (per me), vegano, non leggere questo post, perché io che sono succube dei piaceri della carne potrei incarnare – è proprio il caso di dirlo – il peggiore degli aguzzini secondo la tua scala di valori calcolata su scala clorofilliana proprio a causa di una caduta in tentazione e del male da cui mi sono tutt’altro che liberato. Perché in fila in una macelleria, il tempio del peccato, ho valutato l’acquisto di porzioni di cadaveri animali di cui cibarmi considerando principalmente un solo volgare parametro: il cartellino con il prezzo al chilo. Una prassi del nostro tempo, direte voi. Qualità e ideali vanno a farsi benedire alla faccia del contante al netto dei costi fissi, cioè quello che ti rimane in saccoccia per qualche vizio extra come il mio che è particolarmente sanguigno, anzi, sanguinolento e succoso. Mettici poi la necessità di soddisfare le linee guida di una dieta quasi esclusivamente proteica di un parente stretto e si fa presto a lasciare nelle casse del macellaio una somma in cibo che altrove non ti sogneresti mai di sperperare. Io poi mica me ne intendo. Non riesco a valutare l’entità del sacrificio imposto a questo o quell’altro animale e, all’interno della stessa specie, di questa o quell’altra qualità e zona di provenienza. Si spera che i tempi delle follie bovine – esiste ancora la mucca pazza? – siano tramontati definitivamente e che il pollame sia tutto sommato guarito dalle epidemie che ne hanno macchiato la fama di carne più comune. Ma di fronte a una vetrina fitta di bestiali porzioni anatomiche la mia attenzione cade spesso sui prodotti semilavorati, il cui valore aggiunto dal rivenditore ne aumenta ulteriormente i costi riducendo però la fatica dell’acquirente che, se in vacanza, può fare la differenza. Ecco quindi hamburger, salsicce solo suine o composte di vari mix e le cotolette che non ho mai capito come faccia a venire un rivestimento così omogeneo, probabilmente sbaglio a preparare il pan grattato. Invece mia figlia, come tutti i bambini (spero) è attirata dall’aspetto gotico dell’esposizione, ovvero i cadaveri interi che la osservano da chissà quale dimensione ultraterrena o allevamento dell’aldilà. E mi dice quarda qui e guarda che sguardo quel galletto lì, e io che cerco di cambiare discorso perché effettivamente la cosa non mi mette a mio agio. Comunque alla fine, fatta la dovuta e bieca comparazione economica, la scelta è caduta per la prima volta sulle bistecche equine che dicono abbiano numerose proprietà ma non so, io me li ricordo come sono da vivi, i cavalli, così eleganti e nobili che l’idea di passarli in padella non mi sembra rispettoso. Non che mucche e maiali siano da meno, ma allora le formiche e gli esseri unicellulari e allora i vegetali? Non hanno un’anima anche le piante? Non c’è nessuno lì dentro? Ma c’è la coda dietro, non solo del cavallo ma anche di carnivori dietro di me, e il macellaio deve fare in fretta e prende la mia titubanza come demenza senile e se ne approfitta. Gli ho indicato il cavallo e prima che gli dica se va bene o no afferra quel quarto di equino e lo sbatacchia sull’affettatrice per infierire su quello che rimane di uno dei principali mezzi di locomozione dell’uomo. E in quel gesto, quella parte di carne che sembra proprio il posteriore di un cavallo come li ho appena visti alle olimpiadi in quel pallosissimo dressage che alla Rai sembrava che non esistessero altri sport, ho come avuto l’impressione che fosse proprio un cavallo, il suo corpo sinuoso che dribbla un’ostacolo e poi spicca il balzo e ne salta un altro. E in quel momento avrei voluto dire al signor macellaio che non era il caso, avrei scelto un paio di metri di salsiccia che quello proprio del maiale non ha più nulla. Troppo tardi. Quattordici euro al chilo. Troppo tardi. Per farmene una ragione penso a quanto mi infastidisca il Palio di Siena, in confronto al quale pure il dressage olimpico è un vero spasso. E la bistecca, alla fine, non era davvero niente male.

un gran bel pezzo di quadro

Standard

Non vedo così come possa suscitare polluzione la vista di una vagina artistica “as is”, avulsa cioè dai contorni pornografici patinati a cui l’immaginario maschile alle soglie della pubertà associa ormai il proprio futuro prossimo obiettivo primario. Ma, è un dato di fatto, la genitrice dei cretini è sempre gravida, e, dato il contesto, non esiste affermazione più appropriata. Continua a leggere. (da Alcuni aneddoti dal mio futuro del 31/03/2011)

Disclaimer: in estate chiunque si barrica dietro un autoreply di chiuso per ferie e mette in sua vece un ologramma giusto per tenergli caldo il suo centimetro quadrato di spazio on line per il ritorno. Sapete, di questi tempi meglio non lesinare in sicurezza, i posti si fanno presto a perdere e mettere un surrogato di sé stessi può essere una strategia vincente. Così noi che apparteniamo a una sottospecie di categoria di esodati ma solo perché abbiamo preso parte come milioni di altri alle partenze molto poco intelligenti, ma allo stesso tempo non vogliamo che vi dimentichiate di noi, abbiamo pensato di pubblicare in questo periodo di vacanza qualcosa di già edito, nostro o altrui, o qualche pezzo a cui siamo particolarmente affezionati. Ciò non toglie che l’ispirazione, dai mari della Sardegna, faccia capolino di tanto in tanto.