design week

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L’annuncio in inglese, solo in inglese, coglie impreparati me e le poche persone che sono in attesa della metropolitana che in questo punto è in superficie e non so perché ma è una cosa che mi piace, mi sento nella suburbia di una città europea anziché a metà strada tra Milano e la sede di un colosso dell’ICT e sembra che la fermata in questione sia stata pensata ad hoc per questa presenza, altrimenti non si spiegherebbe il perché professionisti del calibro del sottoscritto dovrebbero trovarsi in posti sperduti come questo. Il quadro è ancor più degno di nota perché siamo ben oltre l’ora di punta, i passeggeri che hanno calcato queste banchine sono già in ufficio o a scuola e rimaniamo solo noi, un manipolo di individui ciascuno con le sue peculiarità, in attesa del convoglio e fiaccati da un vento freddo laterale che non sai come metterti.

C’è una coppia di adolescenti in palese assetto da “marinaggio” (ma come si dirà poi l’azione dello saltare la scuola, non l’ho mai capito) ma dagli abiti assolutamente inadatti al rigurgito invernale di questi giorni. Quello con la maglietta dei Pink Floyd, avrà quindici anni e nel 2012 ha una maglietta dei Pink Floyd, ha solo una camicia militare sopra e si diverte a sputare perpendicolarmente ai binari. C’è una badante sudamericana in pausa, da cosa capisco che è una badante non lo so, è che ormai i pregiudizi hanno fatto di me una persona ancora più brutta di quella che sono, ma è lì tutta stretta nella sua giacca Quechua e parla al telefono in un italiano perfetto. Che è in pausa è facile da capire no? A quest’ora dovrebbe essere al fianco di qualcuno. Continua a leggere

la sigla è mia

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Nel senso che M.I.A., che in questo periodo tutti vedete e sentite nell’onnipresente singolo di MDNA, ha curato la sigla di “The world tomorrow”, il talk show di Julian Assange. E ammetto che da qualche tempo non ascolto altro che il tormentone Bad Girls e i suoi lavori precedenti, compreso il nastrone Vicki Leekx che avrete già scaricato gratuitamente, e se non l’avete fatto lo trovate qui, in attesa che sia pubblicato il nuovo album. Comunque carina anche la wiki-sigletta, vero?

rai 6

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Ieri sera per puro caso (e per pura fortuna) ho acceso la tv e mi è capitato di assistere a Rock’n’rai, un programma curato da Blob andato in onda a un’ora impossibile, come vuole la tradizione delle trasmissioni interessanti, e dedicato alla musica trasmessa alla televisione pubblica nella sua storia, quelle cose che noi appassionati ora cerchiamo su youtube demandando alla buona volontà di qualche utente altrettanto maniaco che abbia avuto il tempo e la dedizione di digitalizzare la propria collezione di vhs. Roba tipo Peter Gabriel ospite a Sanremo che canta Shock the monkey, i Talking Heads a Discoring nel 1980, i Dire Straits e i Depeche Mode, tutte apparizioni per lo più in playback alternate a presentatori del passato con look improbabili e all’immancabile Claudio Cecchetto. Ora non so voi, ma io sono uno di quelli che accende la tv solo per cercare cose del genere, vado su Rai Storia e se non trovo un documentario sulla Resistenza o qualche programma in bianco e nero spengo e faccio altro. E ogni volta penso alla sensazione che si può provare a trovarsi negli archivi della Rai. Qualcuno di voi c’è mai entrato? Sa come sono fatti? Come per il 100% delle persone che conosco, l’idea di lavorare nella principale organizzazione culturale italiana ha occupato uno dei principali sogni almeno dai tempi dell’università in poi, e, come per il 100% delle persone che conosco, il sogno è andato infranto. A dir la verità uno c’è riuscito ed è anche molto ben inserito, ma si tratta di un’eccezione che non conferma nessuna regola però. Comunque, per farla breve anche perché non c’è molto da scrivere, se io fossi a capo della Rai affiderei nientepopodimeno che a plus1gmt la direzione artistica di un nuovo canale sul digitale terrestre tutto dedicato alla trasmissione 24x7x365 solo ed esclusivamente di rock’n’rai e programmi analoghi. Plus1gmt lo farebbe con passione e si divertirebbe un mondo, e so già con quale estratto comincerebbe i programmi. Anzi, forse la sigla stessa dell’inizio trasmissioni sarebbe proprio questa qui.

primo violino

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Ci sono 12.000 voci nell’edizione del 1985 del “New Grove Dictionary of Musical Instruments” e si ritiene che la prossima edizione ne conterrà 20.000. Un numero enorme che deriva dal fatto che ogni cultura ha la propria variante di strumenti più o meno comuni come le percussioni o gli strumenti a fiato. Differiscono nell’intonazione, nei materiali con cui sono costruiti e nel modo in cui sono suonati. Ma la più grande differenza la si ritrova nella funzione sociale a cui adempiono. E stabilire come si chiede Richard Morrison qui, interessante articolo in cui si trovano i dettagli che ho testé tradotto unitamente a molto altro e a cui sono arrivato da qui, quale sia il re degli strumenti musicali è impossibile, ci sono troppi fattori come chi lo suona e, aggiungo io, che cosa suona. Ognuno di noi poi ha una personale classifica, e non è detto assolutamente che i musicisti mettano al primo posto lo strumento che suonano. Se volete conoscere le preferenze in proposito di un addetto ai synth come il sottoscritto, per me lo strumento più completo è l’organo suonato in chiesa, quello più divertente da suonare è la batteria, quello che dà più soddisfazioni è la chitarra elettrica, quello che mi piacerebbe imparare è il trombone a culisse, a pensarci bene anche il basso tuba. Ma il timbro che preferisco è quello della tromba, e quello che si avvicina di più alla voce umana è il sassofono. Ho un amico che quando suona e quando canta è difficile cogliere la differenza, e a dire la verità anche quando parla perché parla solo di jazz.

per dirla in breve

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Tempo di riassunti, siamo a tre quarti della terza elementare. Non ho idea di quale sia la corretta collocazione nel percorso didattico e nel programma di Italiano della scuola primaria di questa fondamentale tappa, mia moglie ed io e un gruppo di altri genitori della classe di mia figlia ci siamo imposti di non mettere mai in dubbio l’autorità e la professionalità delle insegnanti né arrogarci la presunzione di saperne più di loro. A ciascuno il proprio mestiere, c’è anche un detto in milanese che nel nostro lessico famigliare in cui nessuno conosce il dialetto locale tantomeno il sottoscritto che ogni tanto ha rigurgiti di ligure storpiamo con “firulin firulè fa el to mestè” (ma basta cercare sul gogol per trovare la corretta dicitura che è “ofelé fa’ el to mesté”). Ma in matematica siamo ancora alle moltiplicazioni a due cifre mentre altrove già dividono e frazionano come se non ci fosse un domani e una scuola media, così a volte il sospetto che tutto sia lasciato al caso ci coglie impreparati come i nostri piccoli studenti alle prese con le grandi verifiche della vita e così, quando ci mettiamo alla scrivania per capire quale metodo sia stato trasmesso per entrare nel favoloso mondo della sintesi, rimaniamo interdetti di fronte a come maestra e alunni si sono esercitati insieme in classe. Continua a leggere

rough guide

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Ricordo che mi aveva colpito perché a 25 anni quella era la prima volta in cui si trovava all’estero, che poi l’estero in quel caso consisteva in poco più di trenta chilometri dal confine con l’Italia sulla costa francese e un centinaio da casa sua. Non era nemmeno al corrente degli accordi di Schengen e chissà cosa pensava di trovare alla dogana, che poi la dogana era stata smantellata e non c’era più ma già alle prime indicazioni che avvertivano dell’imminente stazione di frontiera aveva iniziato a preoccuparsi.

Guidava lui e si crucciava del fatto che non sapeva come sarebbero stati i cartelli stradali e la segnaletica, poi non sapeva una parola di francese e temeva di non riconoscere l’uscita. Senza contare la paura che i franchi che aveva ritirato non fossero sufficienti per i pedaggi, che la carta di credito non fosse accettata e che gli si guastasse l’auto che stava guidando magari di domenica e che ci fermasse la polizia francese per qualsiasi motivo e che la Francia dichiarasse guerra all’Italia e che gli venisse un infarto e non riuscendo a spiegarsi ai medici sarebbe morto. Continua a leggere

notizia bomba

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Mentre leggevo l’epilogo della vicenda Piazza della Loggia, il finale all’italiana che è quello in cui il colpo di scena non è previsto nella sceneggiatura tanto, ma questo lo penso io, tanto nessuno ci fa caso perché alla fine è andata proprio come qualcuno voleva, avevo ben chiaro che i depistaggi e la confusione sulle indagini sono nulla in confronto all’oblio in cui è stata stemperata una tragedia nel tempo – e quanto tempo! – in modo che carnefici, apparati, classe politica, opinione pubblica nel frattempo non siano più quelli di una volta. D’altronde, abbiamo voltato pagina, no? E chi ha tempo e voglia e risorse di rimettere mano a quasi quarant’anni di letteratura giudiziaria, o di richiamare Delfo Zorzi dal Giappone magari con lo stesso accanimento con cui ce l’abbiamo con Battisti e le sue smorfie che ci sono così invise. E nel leggere di questo pezzo di (ormai) preistoria della postmodernità ripercorrevo la mia recente salita lungo la cupola di Norman Foster che sovrasta il Reichstag (poi vi giuro che la pianto lì con la mia gitarella a Berlino). La voce registrata dell’audioguida, in italiano per fortuna, con un leggero accendo germanico ha voluto sottolineare più volte lo spirito con cui è stata pensata una sovrastruttura in vetro al parlamento tedesco da cui si può scorgere anche la sala sottostante, in cui il governo si riunisce. La metafora della democrazia, tutto è visibile da fuori, tutto è trasparente per cittadini.

numero civico

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Sono rientrato da un viaggio a Berlino con centinaia di foto tutte uguali, che mentre le facevo e non mi rendevo conto mi hanno sfidato a fare le stesse a Secondigliano o nella a me più vicina Quarto Oggiaro che sempre di edilizia popolare si tratta. Voglio vedere se in periferia a Milano faresti foto a palazzi così, mi hanno amichevolmente ammonito. Chiaro che si trattava di una figura retorica di cui ora mi sfugge il nome, perché gli appartamenti residenziali nei quartieri dell’ex Berlino Est sono ben altra cosa dalle aree dormitorio e dai sobborghi costruiti a opera delle cooperative multicolore durante la nostra guerra civile fredda di urbanizzazione che si è svolta negli scorsi decenni, almeno da queste parti. Non so, forse è che ci sembra che fuori sia tutto più bello. Continua a leggere

con questo segno vincerai

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Ormai avete capito come funziona, vero? Ci sono diciamo 28 giorni ogni mese in cui tutto procede nell’assoluta normalità, una bella e confortante linea retta di quelle che vedi dove arriva, intuisci la direzione, né salite né discese, basta avere un paio di scarpe comode e il gioco è fatto. Poi in posizione più o meno casuale ecco il giorno con il segno più, che è quando nel giro di ventiquattr’ore ti chiamano due diverse agenzie per concordare altrettanti colloqui, scrivi due righe nell’Internet e ti linkano a destra e a manca, chiami gli anziani genitori e da loro è già primavera e sono persino usciti a fare due passi tanto si sentono in forma, l’avvocato ti avvisa che la rottura di scatole che a volte ti fa urlare nel sonno si risolverà in via transattiva, ti invita a cena una coppia in cui entrambi cucinano da dio e così via, il tutto nel giro magari di un pomeriggio e così guardi fuori e malgrado il cortile e gli alberi ancora spogli vedi il sol dell’avvenire e ti si stampa il sorriso sulla faccia e i colleghi si chiedono perché mai. E già. Perché poi il rovescio della medaglia è il giorno con il segno meno, in cui arrivano bollo e assicurazione da pagare, scopri che tua figlia non ha capito bene come si volgono al plurale le frasi in inglese, si rompe l’anta dell’armadio scorrevole, una pellicina ti fa infezione sull’anulare destro tanto che anche scriverlo qui ogni volta che lo usi per premere un tasto fa male, il medico ti prescrive un elettrocardiogramma sotto sforzo per capire meglio un qualcosa che non riesco a pronunciare emerso dall’esito dell’Holter, non trovi più l’imbuto che occorre per riempire d’acqua la caldaia del ferro da stiro. Anche tutto questo nel giro di poche ore. Ma, se avete capito come funziona, saprete che sia per le giornate con il segno più che per quelle con il segno meno raramente ci sono conseguenze, non cambia assolutamente nulla, sembra che… e invece niente, si riparte con la linea retta, il percorso sempre uguale e neutro degli altri 28 giorni. E non saprei dire se per fortuna o per sfortuna, ma a caldo mi viene da dire meglio così.

quello che ci lega

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L’elenco del giorno potrebbe essere quello dei partiti o movimenti italiani dell’età repubblicana che non hanno mai deluso i propri elettori, un insieme nullo che fa venire in mente la lista delle squadre di calcio che non sono mai state in serie B, ne parlavo giusto qualche sera fa e ho scoperto che comprende un solo nominativo. Ma tornando alla politica, per un militante idealista convinto come quelli che formano la base storica della Lega, quelli con gli elmetti con le corna e l’acqua dell’ampolla, non dev’essere un bel momento, anche se non sono del tutto convinto che i padani che si sono lasciati abbindolare dalla paccottiglia celtica e dall’alleanza con quell’altro siano gli stessi che negli anni 80 gettavano le basi per un partito separatista del nord. La nostra storia politica è costellata di disillusioni per i motivi più disparati: gli estremisti che lamentano troppa moderazione, i passionali che ce l’hanno su con gli affaristi, i violenti che non vogliono deporre le spranghe, i laici che inorridiscono per la mancata secolarizzazione e così via. E, dagli anni novanta in giù, gli onesti che scoprono di sedersi a fianco dei disonesti. La domanda potrebbe essere quanto abbia senso appartenere a un’organizzazione partitica come abbiamo fatto fino ad ora, e cioè spinti da ideali e perché tutto sommato è bello avere sogni da condividere marciando in corteo con una bandiera in mano. Ma i sogni, se infranti, ci portano ben al di là della frustrazione, e alla fine non votiamo più e morta lì. La disaffezione alla politica, dopo l’ultimo eclatante episodio, subirà una ulteriore impennata. Ci salveremo soltanto diventando tutti quanti elettori tecnici.