dimmi un numero

Standard

Solo un appunto sulla sala d’aspetto del mio dottore il cui studio si trova al piano terra di un edificio a corte abbastanza tipico della zona, uno di quelli che quando mi sono trasferito a Milano speravo di poter comprare ma saprete meglio di me che accomodare al meglio le anticaglie è assai più dispendioso che munirsi di cose, in questo caso case, moderne. Gli ambienti dell’ambulatorio del mio dottore hanno il soffitto alto e i muri sono dipinti fino al limite superiore della porta di un color senape a buccia d’arancia, e oltre di bianco. In realtà non è proprio senape, è più ocra, ma sono certo che abbiate capito a quale colore mi riferisco, molto comune in ambienti pubblici di qualche tempo fa. Ma non è niente in confronto alle stampe delle divise militari incorniciate e appese alle pareti: l’esercito austro-ungarico, quello sabaudo, uniformi da parata e da battaglia. Ricordo analoghi ornamenti nella sala d’aspetto del mio vecchio dottore di famiglia di trent’anni fa almeno, probabilmente si tratta di gadget con cui le case farmaceutice omaggiavano i medici, chissà.

Ma questo era solo un appunto, appunto, e mi serve da introduzione al tema di questo post che riguarda le ripercussioni della leggerezza con cui spesso trattiamo il nostro corpo quando siamo giovani. Quante volte vi avranno detto, per esempio, di non ascoltare la musica ad alto volume perché può essere dannosa per i vostri timpani (e quelli di chi vi sta vicino)? E non ne faccio una questione di genere, anche se sono certo che se avessi ascoltato meno Joy DIvision e più Terence Trent D’Arby oggi sarei molto più sereno. Sto parlando proprio di decibel.

Insomma, a me è stato ripetuto fino alla nausea ma ho sottovalutato, se non ignorato, ogni consiglio di salute acustica, e dai tredici ai quarantatre anni mi sono sfondato di permanenze reiterate in sala prove esposto a suoni di intensità spropositata, talvolta per sfogare rabbia attraverso generi perfetti per essere eseguiti a palla. Ho fatto qualche blando tentativo con gli appositi tappi ma l’effetto preservativo sulle good vibes che lo suonare in gruppo trasmette me li ha resi ostici ogni volta, la sensazione è quella di darsi un bacio con una lastra di vetro in mezzo. Fatto sta che il fischio e i ronzii e il senso di occlusione alle orecchie che avverto e che credevo fosse un sintomo di ipertensione latente – di cui comunque sono affetto anche se in minima gravità – pare sia causato dall’usura del nervo a causa della sovraseposizione prolungata a suoni e rumori particolarmente forti.

Ricevuto il parere, che dovrò approfondire, mi sono allontanato dallo studio vintage del mio dottore con quel foglietto di richiesta per una visita specialistica e una perplessità ancora più ampia di prima, se possibile, su quanto possa essere deleterio un rapporto non protetto come il mio con la musica. Sono salito sulla bici e per una volta non mi è venuto da fischiettare nulla, nemmeno una nota.

a uso e consumo

Standard

È facile dirlo come è altrettanto facile non farlo, pensi con la faccia standard di quello che presta attenzione e stringe lievemente gli occhi come a mettere a fuoco con maggior facilità il brief cui sta assistendo che ha il solo problema di essere stato preso alla larga, sin dagli uomini primitivi come si faceva alle medie quando si studiava poco e bisognava inquadrare al meglio almeno lo scenario se non si sapeva l’argomento dell’interrogazione. Qui siamo al lavoro, però, e l’intento è quello di carpire più elementi possibili al fine di giungere a una sintesi suprema, quelle due massimo tre parole che messe in fila dovranno dare vita al claim totale, cinquant’anni di storia aziendale riassunti in un unico fondamentale concetto, filosofia da sito e-commerce per consumatori hi-tech ipersensibili. Si fanno cenni assertivi con la testa, anche a sproposito ma è sempre meglio abbondare.

Così, Tratto Pen in una mano e Moleskine nell’altra, la sicurezza degli oggetti che quando clienti così te li vedono addosso si sentono in una botte di ferro perché sono gli strumenti del mestiere che infondono la serenità di trovarsi di fronte a uno specialista. Nero su bianco, anzi blu nel tuo caso, a mettere in modalità punti elenco – la forma mentis di chi utilizza Power Point anche per organizzare i pensieri lussuriosi – keyword di dubbia utilità, ognuna delle quali potrebbe anche essere scritta con lettere a caso, tanto non servirà a nulla.

Ma anche qui, chi ama raccontarsi e paga per farlo vuole aver di fronte un attento interlocutore pronto a cogliere spunti da tradurre in output creativi tanto da far dimenticare preventivi e stime di costo a spanne. Ed è facile dirlo come è altrettanto facile non farlo, tutto quello che si sta trasferendo da una memoria a un’altra non ha nessun valore ai fini pratici, non è di questo che si deve parlare ma c’è il timore che interrompendo si perda l’atmosfera da spot dell’Amaro Montenegro, gente che se la racconta con esperienza davanti al camino acceso senza tener conto dei danni all’ulcera e al fegato che l’alcool può recare.

Qui invece se si smarrisce il filo è un disastro, perché il sunto di quello che questa impresa produce è un software che trasforma software in altro software, così è importante che si parta dagli albori degli elaboratori elettronici per arrivare ad oggi e inventarsi per domani una nuova identità pronta a cogliere tutte le sfide sull’Internet che avremo un giorno, dove per parlare di applicativi web e tavolette di cioccolato si potranno usare le stesse parole, quelle che fanno venire l’acquolina in bocca a grandi e piccini.

problemi col personale

Standard

Saper lavorare non significa solo saper fare il proprio mestiere, quello è dato per scontato quando una persona viene scelta in base alle sue competenze anche se sappiamo tutti, guardando le postazioni che abbiamo intorno, che non è sempre così. Voglio dire, ci sono quelli che sono stati assunti perché costano poco e magari non se la cavano così bene ma alcune imprese, tra lavorare così così e non poterlo fare per la penuria di risorse umane, rischiano la propria credibilità e scelgono la prima opzione. Saper lavorare vuol dire anche saper stare al mondo, laddove il mondo è il proprio ufficio e tutto l’ambiente che lo circonda fatto di clienti, fornitori, superiori, persone da gestire, personale addetto alle pulizie, auto aziendali, macchinetta del caffè eccetera eccetera. Un sistema di persone, cose e vegetali che abbiamo intorno e con il quale dobbiamo interagire utilizzando gli strumenti che il nostro background ci ha fornito. Famiglia, scuola, amici, palestra, piscina, sala prove, tutti i luoghi in cui abbiamo appreso come ci si comporta e come gestire noi stessi nei confronti di tutto ciò che si trova oltre la nostra superficie epiteliale.

Perché qualunque cosa tu faccia, anche solo in un singolo momento della filiera produttiva in cui sei impegnato occorre condividere ciò che si è costruito con altri. Anche in una situazione di totale autonomia, in cui si opera completamente isolati da tutto, alla fine la “cosa” la si dovrà proporre o vendere a qualcuno. Si tratta di un caso limite, perché invece nella norma ci si deve relazionare continuamente, ed è qui che alcuni individui, magari anche validi professionisti, mostrano i loro limiti, perché l’attitudine ai rapporti interpersonali è uno skill che non si impara, purtroppo. E mentre a scuola si può lasciare in secondo piano il proprio carattere, tanto viene legittimato dall’età e dalla consuetudine che va bene qualsiasi cosa purché il rendimento sia positivo, da adulti è importante sapersi sforzare un po’, riconoscere i propri limiti e ovviare alle lacune comportamentali con una parvenza di buona educazione e di buon senso.

Ma tali caratteristiche emergono con il tempo, sono difficili da cogliere in un colloquio, ed è un vero peccato, come potete immaginare, perché fanno la differenza. Non è possibile infatti mettere in secondo piano ciò che per alcuni sono solo dettagli ma che invece costituiscono parte integrante del quadro sul quale il lavoratore viene valutato, ed esempi ne potrei fare a bizzeffe. Storpiare i nomi dei clienti, non saper condurre una conversazione telefonica, non aver argomenti comuni per chiacchierare con terzi durante i tempi morti, passare il tempo a controllare l’iphone durante cene di lavoro, sottrarsi a tutte le occasioni in cui sarebbe sufficiente anche solo un sorriso per relazionarsi con il prossimo, saper comporre una e-mail, conoscere le basi della grammatica italiana, mettere insieme due parole in croce. Per non parlare dell’igiene personale e della cura di sé. Il lavoro, quando lo si trova, dev’essere una vita parallela, un sottoinsieme di quella ufficiale in cui, se non si possono indossare i propri panni abituali per manifesta incompatibilità ambientale, è necessario almeno mascherarsi da persona normale.

9,90€ da bigfoot

Standard

Li valgono solo per la scatola. (via Tinapica)

il mestiere di tua madre

Standard

Anna ha diciott’anni e si sente tanto sola, in realtà ne ha di più di anni ma si sente sola lo stesso perché è vittima fresca di giornata degli insulti di un energumene di cui non immaginava l’esistenza fino a stamane quando lo spazio intorno a quello immeritatamente occupato dall’omaccione si è ristretto a causa dell’overbooking di un treno locale. Ma l’omaccione non ha ridotto di un millesimo di millimetro la propria porzione di cubatura e nemmeno si è spostato, attirando le ire di Anna che faceva di tutto per non perdere la prima ora di lezione al Politecnico.

Anna ha fatto notare a quell’ammasso di muscoli che gli sarebbe stato sufficiente spostarsi di un passo per consentire ad altri di salire a bordo, lo ha fatto notare gentilmente, poi ha calcato sulla necessità dell’esercizio del buon senso per permettere a tutti di prendere il treno, poi ha infilato nella preghiera qualche parolaccia, un’escalation determinata dalla scarsa propensione della bestia antropomorfa a lasciar spazio a terzi. Allora Anna si è visibilmente scaldata, e alla preghiera e a qualche parolaccia ha aggiunto un solenne vaffanculo che è stato scorto come un palloncino pieno d’acqua passare sopra le teste delle decine e decine di passeggeri pressati che separavano lei, aggrappata ai sostegni ma ancora con i piedi fuori dalla vettura, dal voluminoso destinatario all’altro lato del vagone, fino a schiantarsi sulla faccia incredula sovrastante quel groviglio semovente di carne dopata.

Il quale, nella palese impossibilità di un confronto vis-a-vis, l’ha insultata dandole della zoccola, mimando il gesto della circonduzione del polso con borsetta che la semiotica popolare associa all’attività di soddisfazione di piaceri sessuali a pagamento, con l’aggiunta di allusioni verbali sul tipo di prestazione in superfluo spirito didascalico. Che un uomo dotato di cervello e volontà possa utilizzare quel tipo di insulti completamente decontestualizzati come arma di offesa avvalendosi della sua prestanza fisica e della soggezione che genera negli altri è inconcepibile, a un vaffanculo si risponde con un vaffanculo e non dicendo tu sei una puttana torna al posto di lavoro ammesso che qualcuno voglia pagarti.

Le porte del convoglio si sono chiuse e Anna si è seduta a piangere accanto a una signora ucraina che non capiva il motivo dello sconforto, chissà come si insulta una ragazza nella sua lingua, chissà se a Kiev o nei sobborghi limitrofi qualcuno avrebbe reagito lanciando l’inutile zavorra vivente – e relativa capacità di apporto costruttivo alla crescita del genere umano – giù dal treno in corsa per abbandonarla al destino che si merita. Purtroppo non ho assistito alla scena, questo aneddoto mi è stato raccontato, se fossi stato lì sicuramente gliela avrei fatta vedere io.

gli abiti da lavoro

Standard

Quando siedo alla mia postazione e accendo il Mac la prima mattina della prima settimana piena di primavera, per di più con lo scarto di un’ora rispetto all’orario solare, quando ho le orecchie che già mi ronzano per la pressione non si è ancora capito quale possa essere la pastiglia giusta e mi sento già stanco per le scale fatte di corsa e avrei bisogno di una seconda colazione, quando mi sento di aver ancora tutta da smaltire la sovraesposizione agli stati d’animo contraddittori come l’essere affaticato da persone alle quali di norma dovresti voler bene e mi accorgo di non aver ancora capito perché a un certo punto i propri genitori invecchiano troppo. E almeno a scriverlo ho un po’ di soddisfazione, come a dismettere qualcosa di altamente scomodo.

coda allegra

Standard

Questo pomeriggio, lungo la via che costeggia il porto di Savona in cui è ormeggiata la Costa Allegra per le operazioni di riparazione dopo l’incendio dello scorso febbraio, c’era la coda di auto ferme con le quattro frecce – in quel punto della litoranea non c’è nemmeno lo spazio per una sosta di emergenza – a fotografare la nave. Io ho preferito non fermarmi per fotografare la coda di auto ferme a fare le foto, ma se siete passati di lì spero vi siate goduti lo spettacolo di quelli che immortalavano uno spettacolo che non c’era.

a bocca aperta

Standard

La potenza vocale nella musica leggera si manifesta tramite l’urlo ai limiti acuti dell’estensione della voce e la tenuta dello stesso nel tempo. Ogni epoca e ogni sottogenere musicale ha avuto i suoi urlatori, anche se in Italia si tratta di un termine che identifica una categoria di cantanti di qualche tempo fa. Ci sono diversi tipi di urlo come potete immaginare, ciascuno con le proprie peculiartà. L’urlo dello scream è ben diverso dall’urlo del rock, l’urlo sgraziato e rabbioso dei cantanti punk è tutta un’altra cosa rispetto all’urlo impostato e vibrato delle cantanti del nuovo rythm’n’blues che va per la maggiore negli Stati Uniti, mi riferisco alle numerose vocalist che riempiono le classifiche di MTV con pezzi tutti uguali nei quali, per riprendere fiato, a tre quarti lasciano la parola al siparietto del rapper di turno che suppongo faccia una sintesi parlata dei contenuti del resto delle liriche, traducendole nello slang tipico di quella cultura. In Italia l’urlo si è diffuso in modo subdolo andando ad abbinarsi ai nostri generi tradizionali, trend favorito dal fatto che da noi si urla da sempre, almeno dai tempi di Claudio Villa e soprattutto al sud, ma l’origine di questo fenomeno vanno ricercate nella lirica e nella tradizione dei grandi tenori. La nostra canzone melodica ben si sposa con la nuova musica commerciale americana, la tecnica degli acuti maschili e femminili tenuti a lungo è facile da adattare al nostro specifico compositivo, basta togliere i vibrati e le note blues ed ecco fatto. Favorito anche dai talent show in cui la tecnica è tutto e vince chi urla di più, Amici e Xfactor hanno sfornato una generazione di giovani urlatori e urlatrici piazzandoli alle vette di tutte le classifiche locali anche grazie alle manifestazioni canore di rilevanza nazionale. Il connubio melodia italiana e urlo ha però un diverso impatto rispetto all’urlo modulato sull’armonia tipica del jazz e della musica nera in cui, pur fastidioso, ha un modo differente di articolarsi. Una nota urlata e tenuta ferma per più battute è ben diverso da un gorgheggio, immaginate di coprire una distanza nel tempo da un punto “a” a un punto “b” attraverso una retta (come si fa da noi) o attraverso una serie di curve con salite e discese (come si fa nel r’n’b). Una tecnica che è stata adottata non solo nella musica pop ma anche nel pop-rock, dove acuti e grida assumono le sembianze di lamenti volti a esprimere parole di sofferenza sentimentale, su tappeti di chitarre distorte e ultimamente inserti elettronici lungo passaggi tra accordi e risoluzioni talmente scontate e di maniera da far accapponare la pelle. Avete capito dove voglio arrivare: la morte sua di tutto questo prende il nome di un noto vino pugliese. Per il resto, provate a fare un po’ di zapping tra i canali televisivi musicali.

diviso un tempo dalle consuetudini amate, e infastidito nelle più interiori aspettative

Standard

Ragazzi, non rimanete qui, andatevene via. Sì, dico a voi che siete nati qui come me, non mettete radici in questo posto. Nessun legame, niente fidanzamenti precoci con la fauna locale che ti pregiudicano gli spostamenti, o ancora peggio non sedetevi sugli allori della fama che la vostra cittadina di provincia vi riserva da giovani perché sapete fare bene una cosa o perché avete una qualche particolarità. Fuori da questo metro quadro non siete nessuno, non contate un cazzo. Non trascorrete i finesettimana a tessere relazioni e a farvi soffocare dall’apatia dell’assenza di stimoli e di opportunità. Restate a casa a studiare, piuttosto, a pensare a come valorizzare le vostre capacità, ora che avete anche gli strumenti per pianificare al meglio il vostro futuro dalla vostra cameretta passate il tempo in Internet e cercate di apprendere al meglio come potrete sfruttare il vostro talento fuori da qui. Mettete da parte i soldi, quelli che spendete in birre e superalcolici e telefoni cellulari e serate a ballare musica assurda e le droghe del momento per dimenticare il posto in cui abitate e la musica assurda che vi convincono a ballare e colmare con l’assentarvi dal presente quello a cui dovrete rinunciare nel futuro perché non c’è ora e non ci sarà domani, e vi assicuro che non c’è stato nemmeno ieri. Chi vi ha preceduto non l’ha mai costruito perché aveva altre sostanze stupefacenti come la pigrizia, l’illusorio appagamento delle bellezze naturali che poi bellezze non sono perché per arricchirsi in modo da poter rimanere e mantenersi qui chi vi ha preceduto ha rovinato praticamente tutto, precludendo l’unica fonte di futuro che potrebbe essere il richiamare persone a venire qui. Risparmiate quanto potete così da rendervi indipendenti appena avrete l’età e le possibilità per fare armi e bagagli e trasferirvi altrove. Tornate a casa subito, lasciate perdere lo struscio e il bar e gli amici, tornate a casa e dite ai vostri genitori che appena potrete ve ne andrete a studiare fuori, a lavorare altrove, a provare a esportare le vostre capacità per farle emergere perché qui non c’è spazio, non c’è la mentalità, non c’è niente. Ragazzi, non rimanete qui. O se vi piace così tanto questo posto, imparate ad aver cura di voi stessi altrove e poi, al limite, tornate qui ed esercitate quello che avete appreso nell’aver cura del territorio e della società che lo abita. Miglioratelo affinché i ragazzi come voi che vivranno qui nei prossimi decenni possano scegliere e non essere costretti. Io non ci riesco, mi dispiace, di questo posto non salverei nulla. Anzi, dubito che ci riusciate anche voi. Una volta che siete via, e vi capita di tornare, fate come me. Fate finta di non conoscere niente e nessuno e di non ricordare nulla.

troppa grazia

Standard

Il senso di auto-umiliazione che spinge all’eccesso di indulgenza verso i propri detrattori non ha nulla di cristiano, due guance sono già troppe e quando non c’è più alcuna parte del proprio corpo da porgere purtroppo ci sono ancora tanti modi per essere accoglienti verso chi ha già sfondato le porte e si è abusivamente insediato tra i sentimenti di chi soffre di questa patologia e, dopo il saccheggio, vi bivacca pure. L’amor proprio è sacro quanto il rispetto per il prossimo. Persone meno che deboli, non saprei come altro definirle, non esiste un termine scientifico per questo stato psicologico per il quale non si finisce mai di annientarsi contagiando tutti quegli altri che invece si adoperano per il loro bene ma che vengono respinti giù senza distinzione. Meglio starne alla larga, non c’è possibilità di convincerli a desistere dal suicidare la propria dignità a meno di non farsi abbracciare nell’istante letale in cui si appiccano il fuoco. L’equivalente di pagare un articolo in un negozio o acquistare un servizio in cambio di denaro, che già in condizioni normali è soventemente a svantaggio di chi riveste il ruolo di cliente, è un’operazione che non comporta un un sacrificio del fornitore o del commerciante che si priva di una importante parte di sé. Si tratta di una transazione di beni, un passaggio di risorse bilaterale per il quale nessuno rinuncia a qualcosa. La mancia è superflua, anche se dall’altra parte dicono che c’è stata abnegazione. Nessun grado di relazione – stretta parentela inclusa – dovrebbe giustificare chi infierisce su di sé a favore di terzi se i terzi sono i complici di chi opera la negazione della propria persona, oltre ad esserne gli aguzzini, perché si tratta di una lotta impari, almeno due contro un uomo morto, o un nessuno.