escrementi

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Il che non significa che la vita sia solo un cammino pieno di sterco. Anche se considerando l’odore diffuso, pardon, la puzza che c’è fuori ora e che sarà il tempo o la pressione atmosferica o non so che altro ma si percepisce la stessa fragranza del letame appena posato nei terreni di campagna, una reminiscenza che ho tutt’ora ben presente e magari si tratta proprio del letame che è stato restituito ai campi qui intorno. O concime chimico, chissà. E ragionando sulle deiezioni con cui si ha più comunemente a che fare, la lettiera dei gatti alla fine è il meno peggio, loro non hanno scelto di vivere qui con me ma il contrario, e l’essere riuscito a convincerli che è meglio concentrare lì i loro sforzi anziché random sulla superficie domestica è tutto sommato un primato dell’uomo sull’animale, che forse si troverebbe meglio a rischiare la vita ogni giorno tra le automobili che, sempre più grandi, non si curano degli esseri più piccoli e indifesi, e a farla dove capita, in quel poco di sabbia disponibile ai lati della strada. Per non parlare delle centinaia di pannolini cambiati e culetti lavati, io con una figlia solo tutto sommato nemmeno tanti, ma in alcuni periodi della crescita dei bambini vi assicuro che avere a che fare con i loro scarichi vi fa passare tutta la poesia del materiale per i più in odore di santità. Il problema invece è con gli escrementi umani, le persone che hanno tali sgradevoli sembianze, ci si imbatte in ogni momento e in ogni luogo, e non è stato ancora inventato un antidoto, un modo per filtrare il loro olezzo e salvarsi lo stomaco, un sistema per non curarsi di loro e passare oltre, cercando di non calpestarli e rovinarsi così la giornata. Gli stronzi, quelli veri, non li raccoglie nessuno. E scusate il post di merda.

pecunia e pecora, stessa radice

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Nessuno ha pietà per le maxi-confezioni famigliari di crackers in sacchetti, nemmeno quando sono al cinquanta per cento bisognerebbe comprarli e forse è proprio lì il motivo per cui li trovi al cinquanta per cento, chi muove i fili della grande distribuzione organizzata, e scusate la dietrologia, sa benissimo che dentro ai sacchetti la percentuale di confezioni con almeno qualche esemplare non sbriciolato è a una cifra. I crackers dovrebbero viaggiare in contenitori a prova di urto, avvolti in una pellicola protettiva tipo quelle con le bolle d’aria per gli oggetti fragili che si acquistano online e che ti arrivano in perfette condizioni anche dopo un volo da Hong Kong, mentre i crackers partono dalle industrie alimentari che poi saranno qui a due passi, ci scommetto, e le grandi scorte per i supermercati vengono condotte verso gli scaffali senza il minimo rispetto, e i consumatori più sprovveduti come il sottoscritto, tra i principali sostenitori dei sostitutivi del pane soprattutto come snack in ufficio, ogni volta si lasciano prendere dall’offerta anziché considerare come potrebbe essere la situazione là dentro. Una vera e propria strage. Nessuno ha pietà per le maxi-confezioni famigliari di crackers in sacchetti, nessuno.

p.s. no, non avete sbagliato canale, né c’è stato un errore di visualizzazione. Mi ero imposto di non spendere nemmeno una parola sull’animoso monologo ai più noto come “Pecorella”, il caso mediatico della settimana, il classico argomento sul quale è difficile esprimersi e prendere una posizione senza decontestualizzarlo, è difficile anche da commentare e ci vuole poco, come potete immaginare, a cadere nel qualunquismo e nella banalità. E ne ho lette tante, in giro. E mentre scrivevo cresceva la tentazione di cancellare il tutto e non pubblicare il post, non riuscendo a giungere ad alcuna conclusione. Non sono un abitante della Val di Susa, e se ve la devo dire tutta non ho mai seguito il dibattito in profondità perché leggo da una parte e mi convinco, leggo dall’altra e mi convinco pure, così alla fine non riesco a mettere a fuoco né la soluzione tantomeno il problema. In questi casi mi fido del giudizio che ne danno le persone che stimo di più, che, mia moglie a parte, sono i rappresentanti della politica ai quali delego le mie decisioni con il voto, secondo i canoni della democrazia indiretta di cui ho la fortuna di fare parte. E questi rappresentanti, come potete immaginare, sono favorevoli al completamento dell’opera in questione anche se all’interno del partito ci sono divergenze e spaccature. Posso capire che ci siano oppositori e che si immolino in questo modo così acritico nella difesa del loro territorio, oltre che delle loro posizioni. Voglio dire, a due passi da casa mia sta per succedere il finimondo con il raddoppio della portata di una superstrada che tutti noi vorremmo fosse interrata ma che non si sa ancora come andrà a finire, magari un giorno vedrete anche me bloccare il traffico della A4, chissà.

Ma giunto a questo punto della stesura, ho provato a rivedere ancora una volta il manifestante, un appartenente alla categoria di quelli che qualcuno chiama “gente in via di estintore” per la quale ogni volta mi sforzo di essere comprensivo ma poi non ci riesco. Cerco di immaginarmelo a tavola, a cena insieme, lui che mi parla con quel tono. Allora mi rendo conto che è meglio mettere in stand-by il post e attendere nuova ispirazione, o anche nuovi sviluppi della vicenda, per giungere a un elemento condivisibile pubblicamente. Ma mentre prendo un cracker, anche a casa li scelgo come snack, e vedo tutto il contenuto della confezione ridotto in poltiglia, di colpo mi sento più sensibile a quel genere di tragedia, sicuramente sono più portato a scrivere su questo genere di argomento, chiudo la pagina con il video, lascio mister pecorella – quello senza divisa, no anzi che così non si capisce, quello senza casco – alla sua spocchia e mi dedico a un qualcosa che mi ispira maggior interesse, e anche più pietà.

band in glove

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Ed ecco a voi un nuovo gruppo clone degli Smiths. Speriamo che Marr e Morrissey tornino insieme una buona volta e pongano fino a questo incessante succedersi di replicanti.

mettersi in mezzo

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Ma no, non è cambiato nulla. È un secolo che incontro gente più giovane di me, guarda, almeno dal 1988. Quindi il secolo c’è, nel senso del secolo scorso, anche se poi alla fine si parla di nemmeno 25 anni fa. Ma non è sempre così. Ed è buffo perché da allora, di primo acchito, la sensazione è di avere di fronte persone più vecchie, e ho letto che si tratta di una proiezione tipica dell’infanzia quella di vedere tutti come adulti nei confronti dell’unico cucciolo da accudire, quello che vive dentro di te. Quindi hai di fronte queste persone magari per lavoro, hai preso un appuntamento ed eccoli lì, senza capelli e non proprio in forma. Così facendo finta di nulla cerchi di sapere l’età e scopri che sono del 69, due anni secchi più giovani di te, ma la giacca e la cravatta fanno la differenza come quando avevi vent’anni e anche se ti conciavi così si vedeva che eri un ragazzino.

Ora no. Sei nella sala d’attesa del dottore per un problema non proprio da giovinastri come l’ipertensione ed ecco fa l’ingresso una ragazza che nel gioco della data di nascita non le daresti più di diciotto anni e sai perché? Perché nel frattempo non ti fidi più della tua capacità di identificazione anagrafica così hai iniziato a spararle grosse. Questa non ha più di diciotto anni, oramai sei convinto che il mondo sia popolato da persone molto più giovani. Ma ecco che le squilla il telefono, e nella conversazione di deduce che la diciottenne in questione sta parlando a proposito del figlio, il marito non sa dove trovare i biscotti da sciogliere nel latte, eh cara mia, penso, ci siamo passati tutti dalla logistica domestica a dimensione femminile, ogni mese qualcuno cambia la disposizione del contenuto dei mobili in cucina e nessuno ti avvisa. Ma non è questo il punto: ha un figlio, così la guardi meglio e aggiusti la stima. Almeno trent’anni, considerando l’età media in cui oggi si fa il primogenito. Ma come hai fatto a non accorgertene prima, a prendere una cantonata di questa ampiezza. Sempre poi che sia il primo, eh.

Dopo un po’ qualcuno dei pazienti in attesa inequivocabilmente più anziano di te chiede un aggiornamento sulla scaletta delle visite, occorre capire il ritardo dei lavori, e la ex-diciottenne è certa del suo orario, le diciassette e cinquanta, ma non è sicura dell’orario del “signore”. E il “signore” è chiaro che, malgrado la felpa con cappuccio e le snickers alte scamosciate beige, sei tu, che nel frattempo hai estratto la moleskine per annotarti quella curiosa dinamica degli eventi, perché potresti anche trascriverli in un post più tardi. E ci sono ancora diversi spunti di riflessione da segnare come parole chiave: i capelli grigi, i tuoi, ovvio. La cura che non ha ancora funzionato, la massima che continua a essere alta e chissà come sarà ora, la pressione. Tanto sono tutti più giovani, davvero, e gli anziani sono ancora una categoria lontana. In mezzo ci sei tu e non sai da che parte stare.

ordini in skadenza

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Non so chi tu sia, ma sei la bibliotecaria/o del CSBNO (che sta per Consorzio Sistema Bibliotecario del Nord-Ovest) più simpatica/o.

E allora, nel frattempo che arrivi il libro di cui ho proposto l’acquisto, consoliamoci con la tua, di proposta. Buongustaia/o.

amara terra mia

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L’attaccamento dell’uomo alla natura e secoli di storia contadina si riversano nel presente ma, come potete immaginare, non trovano molto spazio soprattutto in questa imponente area metropolitana che fa da trait d’union tra Milano e tutte le altre città della Lombardia. Così, di questa linfa, si impregnano solo le piccole zolle che stanno ai margini delle strade, sotto gli svincoli della tangenziale, nel giardino delle villette a schiera o nei rimasugli di terreno a ridosso dei parchi pubblici che le amministrazioni comunali hanno dimenticato, troppo piccoli per essere edificati. Così, forte di un’indole coltivatrice, l’abitante dei sobborghi nel tempo ha imparato a farle proprie, terra di nessuno vuol dire terra di tutti, quindi anche mia, no? Così una baracca in lamiera un giorno, un recinto il giorno dopo, un cancelletto di fortuna con lucchetto e l’orticello abusivo da hinterland è servito. Stagione dopo stagione lo si nota sempre più rigoglioso e non si capisce il perché e il percome, il clima è quello che è e poi non si riesce a immaginare la qualità di un pomodoro nato e cresciuto tra il traffico dell’ora di punta, le piogge acide e il suolo infiltrato da chissà quali deflussi industriali. Cogli l’ortaggio di stagione, lo lavi e lo metti in tavola, fiero dell’aver strappato a una landa impossibile il frutto del legame con i tuoi avi, anzi degli avi che qui c’erano prima che tu arrivassi da chissà dove. Poi, per sfruttare al massimo il tuo fazzoletto di terra e ottimizzare la produzione, tenti anche la rotazione delle colture e trovi stratagemmi come appendere compact disc agli alberelli probabilmente a scopo di spaventapasseri, ed è facile immaginare il risultato visto da fuori. Unito alla sedia sfondata recuperata nella spazzatura e alla rete da materasso utilizzata come porta (ma questo è più una caratteristica degli orti della campagna ligure) restituisce un quadro ancor più desolante della cornice. Ma un piatto di insalata autoprodotta val bene l’occupazione di suolo pubblico, per non parlare del tempo che ci si può dedicare a respirare aria buona, in aperta periferia.

la storia del batterista che ascoltava Anna e Marco in cuffia

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Ho un amico, un caro amico, che anche se negli ultimi venti anni avrò visto si e no tre volte lo considero tale perché ci siamo conosciuti a 14 anni tramite uno di questi due (non quello della libreria, l’altro, quello che scrive anche di Dante) e abbiamo condiviso una fase importante della nostra vita, il primo gruppo rock. Con lui ho fatto il mio primo vero concerto, che in realtà era il secondo ma il primo non me lo ricordo nemmeno, e insieme a lui ne ho fatti tanti altri, ma se avete mai avuto una band in quegli anni lì della vostra vita, saprete meglio di me che cosa vuol dire, perché i musicisti con cui cresci contano più della famiglia, delle fidanzate e di tutto il resto. Lui poi ha fatto una bella carriera da batterista, che è cominciata proprio con Lucio Dalla. Una volta mi raccontò di quando si rese conto di suonare davvero con Lucio Dalla, era dietro ai suoi tamburi e aveva le cuffie per ascoltare meglio l’audio sul palco, e c’era Dalla che cantava “Anna e Marco” e lui si ricordava di quando sentiva il disco da ragazzino in cuffia allo stereo e lì sul palco era proprio come sentire il disco in cuffia come quando era ragazzino, però adesso c’era lui alla batteria e stava accompagnando Lucio Dalla dal vivo. E niente, oggi ho pensato a quanto sia stato importante Lucio Dalla per il mio primo batterista, e mi sono rattristato il doppio.

errata corrige

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Oggi non è il primo marzo, è il due novembre. Anzi no, è il quattro marzo.

prossima stazione

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Ero immerso nella lettura del Corriere quando è comparso dal nulla nella sua divisa bianca per chiedermi se scendevo alla prossima. Il Corriere mi arriva tutti i giorni a casa, sapete, sono abbonato, e da quando sono in pensione e soprattutto da quando la vecchiaia mi ha imposto tutti i limiti di mobilità, di pensiero e di curiosità stessa verso quello che dista più di un un grado di separazione dai legami di famiglia dedico alla lettura del quotidiano la maggior parte della giornata. Il resto non mi interessa, mia moglie che è più vitale di me è libera di fare quello che sente e continua a riprendermi sulla mia arrendevolezza ma davvero, sto bene qui così, a bearmi delle visite dei miei figli e dei miei nipoti ogni tanto, e a leggere quello che succede nel mondo. E quando mi si è avvicinato mi sono sorpreso come tutte le volte in cui qualcosa irrompe d’improvviso e mi costringe a sforzarmi su quello che ho intorno.

Ma ho capito subito, anzi proprio subito no. Come scusi?, gli ho detto. Scende alla prossima, vero? ha ribadito. Oh veramente no, gli ho risposto, ho ancora tante pagine da leggere, poi mia moglie è fuori a fare la spesa, non l’ho avvisata e potrebbe allarmarsi. E poi dopo pranzo dobbiamo accompagnare mio nipote a calcio quando esce da scuola, mia figlia lavora fuori e… Ecco, a quel punto ho capito perché ha estratto un tablet di ultima generazione, il che non mi ha sorpreso, si vede che Steve Jobs ha iniziato a lavorare di là. Ha estratto quel tablet e ha dato qualche ditata sullo schermo, mi ha guardato, ha sorriso, e mi ha confermato che non c’era nessun errore, era scritto lì, dovevo proprio scendere. Ah, non posso nemmeno avvertire mia moglie?, gli ho chiesto. Una telefonata? Posso almeno cambiarmi, sono vestito da casa, ho il tempo per indossare qualcosa di più elegante? Ma dentro di me sapevo già la risposta.

Ha messo via il tablet e ha fatto un cenno con le braccia aperte, un gesto inequivocabile. Mi spiace, purtroppo non è possibile, mi ha detto, sa come succede in questi frangenti. Certo, gli ho risposto. Peccato non salutare mio nipote, però, domenica aveva il primo incontro e ci teneva tanto che lo andassi a vedere. Guardi che potrà seguire comunque il suo esordio, ha aggiunto, anche se lui non la vedrà. Già, ho pensato, e gli ho anche detto che era carino da parte sua tranquillizzarmi, anche se dentro di me sapevo che non sarebbe stato possibile. Così mi sono alzato dalla poltrona, lui mi ha messo la mano sulla spalla e tutto si è fermato. Eccoci. Dopo di lei, prego.

robertino

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Mi unisco a Fabio De Luca nel cordoglio per la scomparsa di Robertino, celebre speaker di Radio Montecarlo e pioniere dei programmi di quiz all’ora di cena sulla omonima tv. Il coccodrillo di Repubblica però omette due particolari fondamentali della biografia del celebre conduttore: il fatto che abbia lavorato a Radio Savona Sound e che, ricoprendo tale ruolo, abbia intervistato il sottoscritto, limitandosi invece a ricordare una chiacchierata con un certo Fabrizio De Andrè che, sinceramente, non so chi sia.