essere sul pezzo

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Tanto tempo fa, un tizio che mi faceva da impresario mi propose di mettere i dischi a una festa di gente che compiva quarant’anni, quei party di leva in cui non si capisce bene quale sia l’evento da celebrare. Un compleanno di massa. Io che mi prestavo a qualsiasi tipo di attività remunerata lecita accettai con entusiasmo l’ingaggio, già allora avevo maturato la convinzione che fare il deejay desse molte più soddisfazioni che essere un musicista mediocre. Un mestiere in cui puoi far sentire la musica che ti piace ma il pubblico non è costretto a guardarti mentre la esegui. La mia comprovata serietà in ambito musicale, forse l’unico in cui ero davvero pignolo, mi spinse a mettere insieme una playlist di cose che secondo me i neoquarantenni avrebbero potuto apprezzare. Pensai cioé che i festeggiati avrebbero senz’altro gradito ascoltare una selezione di musica considerata di moda ai loro vent’anni, ovvero quand’erano giovani. Io ero molto più piccolo di loro, molto più giovane di adesso, e per me un quarantenne era un adulto. Così mi misi a cercare materiale adatto, chiedendo in prestito supporti ad amici e colleghi. Il mio pubblico era stato ventenne a metà anni settanta o giù di lì, cercai così di unire originalità a ricerca filologica e mi presentai con una borsa a tracolla piena di chicche a 33 giri davvero degne di nota.

Ma l’esito della serata fu disastroso, un vero flop. Le persone in pista si inalberarono offese lamentando di essere ancora assidui frequentatori di locali notturni e di non volerne sapere di musica che ricordava loro un periodo ormai lontano, la giovinezza anagrafica. Il culto del revival come lo intendiamo noi non era ancora di dominio pubblico, non era stato nemmeno inventato probabilmente, e me ne accorsi quando uno dei più combattivi mi disse che non avrebbe voluto sentire più nulla di prodotto prima dell’anno in corso. E pensare che mi ero proprio preparato basandomi su quello che avrei voluto ascoltare io se avessi avuto quarant’anni, pensando che a quaranta uno non ha tempo di frequentare le discoteche ma sta a casa con i figli e se esce con gli amici un po’ di nostalgia è quello che ci vuole, anziché doversi misurare con chi con diritto si può fregiare dell’epiteto di giovane d’oggi. Non solo. Ero convinto che chi aveva avuto vent’anni o giù di lì nei 70 fosse oltremodo orgoglioso di essere stato protagonista di un decennio così importante, e che celebrarlo in un’occasione di quel tipo fosse un’idea vincente. Macché.

L’impresario se la prese con il mio metro intellettuale applicato al divertimento di massa, oddio non disse proprio così ma il senso era quello, ma comunque ricevetti il cachet ugualmente, quindi la cosa fini lì.

Dieci anni dopo, giorno più giorno meno, esplose il più grande fenomeno di revival mai visto negli ultimi anni, un trend che si è protratto ininterrottamente fino a oggi e che ha coinvolto i 60, i 70, gli 80 e i 90, ne ha fatto un minestrone, e ha sfornato un’idea del passato piuttosto grossolana, molto commerciale e spendibile su canali diversi, tanto che ad oggi non trovi uno che non vi abbia aderito o che non ne segua tutt’ora il culto. Ed è indubbio che questo sistema approssimativo di modernariato culturale abbia consolidato un terreno adatto a un tipo di operazione come quella che avrei voluto fare io allora. Ma ho perso le tracce di quell’impresario, non faccio più il selezionatore musicale, non so se le feste di leva siano ancora in auge e tutto sommato non mi sembra nemmeno più una buona idea.

mastica lentamente

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Ci sono persone sensitive, ci sono persone sensibili, ma di una sensibilità che rasenta la capacità divinatoria quindi il confine è assolutamente aleatorio e la percezione di questi doni molto soggettiva. Che poi, ci si chiede, sono realmente doni o si tratta di un calvario? Come quelli che appena toccano una persona leggono il loro passato, così c’è una bambina di nome Rose che assaggia il cibo e vede oltre gli ingredienti. Sente chi li ha mescolati e percepisce che cosa quelle persone si portano dentro nell’istante in cui hanno infornato una torta, hanno decorato un primo, hanno cotto una pietanza. Capisce se il maiale che è stato sacrificato per diventare pancetta ha trascorso la sua esistenza tra le verdure biologiche e si scontra, sempre più spesso, con la modernità, i cibi industriali. La macchina che ha amalgamato creme e sapori e gli erogatori che dispensano i prodotti confezionati, pronti all’uso. Rose cresce in una famiglia che vive convinta della conoscenza reciproca tra i suoi membri ma che con il corso degli eventi si disgrega in particelle sempre più distanti. La proprietà esclusiva con cui Rose convive è un’eredità paterna, tanto che sia Joseph, il fratello maggiore, che il genitore stesso hanno un segreto ma stentano a capacitarsene e a convivervi come invece solo Rose sa fare. Ma il suo è sicuramente il potere più esplicito e anche più facile da raccontare e far diventare protagonista di una vita. E pensare che tutto nasce da una torta al limone e cioccolato, un ritorno a casa da scuola, un assaggio e una caduta nel profondo del più fisico dei sensi umani. Un link con l’ignoto che la proietta nell’universo dei sentimenti senza possibilità di ritorno. Gli stadi della crescita, l’amore, i’incommensurabilità che ci si porta dentro e il sapore di tutto ciò che non è visibile e che si trasferisce nella materia prima nell’atto di preparare cibo per sé stessi e per gli altri. Una cucina di emozioni, un menu alla carta per scegliere tutte le porzioni di stati d’animo, almeno quelli più congeniali, senza nessun rischio di pesantezza o, peggio, di iperglicemia.

direct mail esplosivo

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La busta con il proiettile è una tecnica di direct marketing emozionale di sicuro effetto, se non altro per la risonanza che ha non tanto sul target quanto sull’opinione pubblica. Tutti avvertiti: minacciamo quindi esistiamo, sembrano dire gli ideatori dell’ennesima campagna che oggi punta davvero in alto. Rimaniamo in attesa del recall, quindi, per avere un feedback sulla percentuale di redemption.

a ripetizione

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La cosa che salta più agli occhi di quei due è che hanno una visione diametralmente opposta. Non in tutto, anzi sono più le cose hanno in comune, d’altronde non si sarebbero sposati se non avessero valori condivisi e se non si trovassero d’accordo sui fondamentali. Ma su questo aspetto, vuoi per indole, vuoi per  il modo in cui sono cresciuti, proprio non ci azzeccano. Lei non vuole tornare mai nello stesso posto, per esempio in vacanza, ama programmare e fare cose sempre diverse, le piacciono le novità, i cambiamenti. Se l’anno prima il viaggio è stato un successo ed è rimasta pienamente soddisfatta, l’anno dopo meglio non ripetere l’esperienza, potrebbe non confermarne la qualità e, alla fine, la delusione potrebbe deturpare anche il ricordo della volta precedente. Poi in casa non c’è giorno in cui non cambierebbe disposizione dei mobili, e non c’è mese in cui non lo fa. Tutto sempre un divenire, a differenza di lui, che fa dell’abitudine il suo stile di vita.

Perché cambiare se ci siamo trovati così bene, cerca di convincerla. Che bisogno c’è di fare sempre qualcosa di diverso, la routine è certezza, ripetere il consolidato significa approfondire e assimilare, in ogni modo tutto è impossibile conoscere quindi tanto vale circoscrivere il campo e rivoltarlo come un calzino. E a testimonianza della sua tesi le fa sempre un paio di esempi, ovviamente sempre gli stessi, anche in questo caso non cambia mai.

Frequentando lo stesso locale in cui trascorreva almeno un paio di sere a settimana, prendendo sempre la stessa bottiglietta di birra belga con l’etichetta blu, il suo migliore amico alla fine – nel vero senso della parola, cioè dopo mesi e mesi – aveva rimorchiato la barista e l’aveva invitata a cena, la settimana successiva a quell’approccio, prima del lavoro. Ne era seguita una storia d’amore a lieto fine, mica poco.

Non solo: a lui stesso, a furia di mangiare lo stesso panino nella stessa tavola calda in compagnia di una fiamma dell’epoca, più o meno seduti sempre allo stesso tavolo in fondo al locale, gli era stato offerto un lavoro stagionale come cameriere, proprio in quella stessa paninoteca. Il proprietario con cui era entrato in confidenza, magari proprio a forza di vederlo sempre lì, gli aveva fatto la proposta, lui aveva accettato e così aveva avuto il primo lavoro vero della sua vita. Poche migliaia di lire all’ora, non più di ventimila a sera. In più se a fine turno, l’una o le due di notte, aveva fame e chiedeva una delle focaccine rimaste che comunque il proprietario avebbe buttato, le doveva scalare dalla paga, tanto che aveva pensato di aspettare che lo spilorcio gestore le gettasse via e poi riuscire a intercettarle prima che finissero insieme agli avanzi nella spazzatura. Aveva anche capito che un modo intelligente per ammortizzare il guadagno poteva essere quello di vuotare (dentro di sé) i cocktail dei clienti lasciati sui tavoli, almeno quelli palesemente in buone condizioni, ma solo verso fine serata onde evitare di ubriacarsi e fare brutte figure con gli avventori.

Una sera poi era entrata nel locale la fidanzata di un suo caro amico che aveva da poco iniziato l’accademia militare, in compagnia di un altro ragazzo. Lei non sapeva che lui lavorasse lì, e si sedettero a un tavolo. Il cameriere li notò ma non se ne fece accorgere. Appena lei lo vide, convinse il suo accompagnatore ad alzarsi e a andare via, naturalmente il cameriere continuò a far finta di nulla per non imbarazzare nessuno, se stesso per primo. Ma non si ricorda la fine della vicenda, cioè se l’amico poi ha continuato la sua relazione con la fedifraga o se l’ha scoperta (lui, il cameriere, giura di non aver fatto la spia) o se lei stessa ha confessato. Anche questo inciso avvalora la sua (del cameriere) tesi: perché cambiare abitudini sentimentali, alla fine il diversivo non paga.

A volte poi arrivava al bar in anticipo. Portava con sé i libri per preparare gli esami che avrebbe dovuto sostenere nella sessione autunnale, si metteva a un tavolo mentre il locale era ancora vuoto, prendeva un caffé (quello era offerto dalla casa) e con la matita sottolineava senza sosta le parti più importanti del testo. E, finita la stagione terminato l’incarico, riuscì a pagarsi un viaggetto con quello che aveva guadagnato.

Insomma, il suo bilancio della consuetudine è tutto sommato positivo, per questo cerca sempre di convincere la moglie a lasciare invariato l’ordine delle cose. Ma lei non sente ragioni, e lui lo sa e fa l’accondiscendente, in fondo va bene così, non c’è nulla di male. Anche quando ribalta la camera da letto e ogni volta la prima volta che la vede gli gira la testa perché l’armadio è al posto del comò che va al posto della poltroncina messa al posto dell’armadio. Ed è felice lo stesso, tanto per cambiare.

red christmas

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Il Natale al supermercato Carrefour qui sotto, quello dove vado a comprare giorno per giorno qualcosa da mettere sotto i denti in pausa pranzo per evitare i panini a sei euro dei bar del centro di Milano, è da qualche tempo in piena atmosfera natalizia, come tutto e tutti del resto. Le cassiere hanno in testa finte corna da renna o si aggirano spingendo i muletti con le scorte agghindate da Babbo Natale. Nello scaffale dove finiscono i prodotti in scadenza venduti a metà prezzo, che è il primo che vado a visitare ogni volta, trovano posto costose confezioni regalo con panettoni, bottiglie di vino e dolciumi di ogni sorta. Alla radio interna le solite canzoni pop si alternano ai classici della musica natalizia, quelli triti e ritriti che si ripropongono ogni anno. Non c’è nessun altro giorno dell’anno come il Natale che abbia ispirato la cultura popolare, anzi a dir la verità ci sarebbe anche il 25 aprile, ma non è che in prossimità della festa della liberazione nei supermercati senti Bella Ciao e gli operatori indossano fazzoletti rossi al collo e il berretto militare con la stella e alla cassa ti salutano con il pugno alzato, purtroppo non funziona così. Nemmeno alla Coop.

scegli uno o due giocatori

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Era la stessa estate in un cui un loro amico era morto così, da un giorno all’altro senza una causa particolare tanto che si era diffusa la notizia di una malattia infettiva grave, tipo la meningite, e che la famiglia, piuttosto deprivata, non avesse voluto allarmare nessuno perché si vergognava. Ma sembrava più una leggenda metropolitana messa in giro da quelli che amano veder crescere il proprio prestigio con notizie horror o gratuitamente truci. Fatto sta che era proprio uno di loro a non essere più in vita, un loro coetaneo sparito all’improvviso, il giorno prima era qui con noi a sparare cazzate e oggi c’è già la notizia del decesso sulle pagine della cronaca, dicevano. Era bello, e le ragazze con cui aveva flirtato si scambiavano abbracci e piangevano leggendo i dettagli sul giornale appoggiate al frigo dei gelati al bar. Quelli che lo conoscevano meno, in ogni compagnia ci sono sempre quelli che sono lì da poco e non sono ancora del tutto inseriti, quelli si sforzavano nell’essere il più possibile consoni al mood del momento. Bastava anche solo stare in silenzio, guardarsi ogni tanto, accendere le sigarette agli amici che un po’ invidiavano perché erano più coinvolti e più in diritto di essere al centro della scena. Uno di quelli che lo conosceva più da vicino a un certo punto uscì in strada e prese a calci un cestino della spazzatura in metallo, che si sganciò dal supporto e rotolò in mezzo alla strada spargendo cartacce e lattine ovunque. Chi passava non capiva, così uno di loro spiegò la situazione a due signore che volevano avvertire i Carabinieri. Uno dei ragazzi più popolari raccontò di aver chiesto scusa a un anziano che lo aveva sentito mentre, da solo di fronte al manifesto funebre dell’amico, si era lamentato del fatto che il Signore si fosse preso un ragazzo nel pieno della giovinezza anziché un vecchio. Il resto della compagnia ascoltò quell’aneddoto che immediatamente venne eletto a sintesi perfetta dello stato d’animo comune, il particolare da raccontare a chi non era lì a vivere quel momento a caldo, non ci fu nemmeno bisogno di una votazione ma bastò qualche sguardo tra gli occhi gonfi. Poi c’erano due di quelli che erano lì non proprio tutti i giorni, ma che vista la gravità del momento si erano adeguati a quelle iniziative, spontanee e non, di condivisione del dolore. Era appena passata la metà di agosto, c’era il sole caldo ma l’aria non lo era più a causa del temporale della notte prima. Le onde erano ancora belle alte, rubare tempo alle vacanze agli sgoccioli sembrava uno spreco e il ricordo di un coetaneo mancato lo si poteva anche celebrare in acqua. Così scesero sulla spiaggia, lasciarono i pochi vestiti a distanza di sicurezza dalla gittata delle onde e si tuffarono. La temperatura sotto era diminuita, e anche lasciando fuori all’aria solo la testa veniva la pelle d’oca. Nuotarono in silenzio per un po’, poi si guardarono aspettandosi a vicenda, chiedendosi chi per primo dei due potesse sdrammatizzare un concetto mai provato allora, quello di fine prima del tempo, attraverso una smorfia o un ghigno, anche di circostanza. Perché era tutto nuovo.

dulcis in fundo

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A mia figlia la dinamica della trama di Sandokan – il film per la tv con Kabir Bedi – proprio non è andata giù. E il motivo è evidente: cresciuta a narrativa a lieto fine, o a finale inevitabile ma comunque edulcorato, la riduzione per il piccolo schermo delle vicende raccontate da Salgari, che comunque in chiusura lascia uno spiraglio di riscossa per la Tigre della Malesia, non segue i canoni dello schema disneyano. Per intenderci: idillio, punto di rottura, tentativi di ripresa, semi-risoluzione, colpo di scena, sforzo decisivo/redenzione, idillio maggiorato. Sandokan invece l’ha lasciata con l’amaro in bocca, dal momento che, come dice lei, inizia così-così, poi cresce e sembra che vincano i tigrotti di Mompracem, quindi Sandokan e Marianna si sposano e dovrebbe finire lì, invece poi diventa triste, addirittura Marianna muore, e finisce male perché gli Inglesi non se ne vanno dalla Malesia e Sandokan deve scappare. A quel punto urge un modo per ricucire quello strappo tra i bambini e la realtà, quella che non finisce nemmeno con l’ultima pagina illustrata o, nei dvd, con i contenuti extra. Non sempre le storie si concludono nel migliore dei modi, cerco di spiegarle, e poi non mi sembra sia andata così male: Sandokan si salva e ricostruirà il suo regno altrove. Ma non mi era mai capitato di esser così triste alla fine di un film, mi incalza, anzi solo a ripensare all’ultima puntata mi viene da piangere di nuovo. Guarda che le lacrime non sono solo di tristezza, le faccio notare, possono essere anche di commozione, ma mi rendo conto di non riuscire a convincerla. Posso allora vedere solo gli episodi fino al matrimonio tra Sandokan e Marianna, mi chiede. E la prima cosa che mi viene spontanea da dirle è di no, che non si fa, snaturerebbe l’opera e come è stata concepita, non ne comprenderebbe l’insieme. Ma per fortuna mi sono fermato in tempo: ci siamo guardati e lì ho pensato che uno, a otto anni, con la fantasia fa un po’ quello che vuole, e crescendo non dovrebbe nemmeno perdere l’attitudine.

gods of metal

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Scoop: secondo il Vatican Insider, Alice Cooper non è più satanista e si converte al bene.

Sì, è vero – ha dichiarato Cooper – sono un “cristiano rinato”. Ma ogni credente in Cristo vive una vita nuova, ha un approccio diverso rispetto alla propria esistenza. Non è come Scientology dove tutto è fondato sulle tue forze, sulle tue capacità, sul tuo sforzo di migliorarti. Il cristianesimo, invece, è un rapporto personale con Cristo: non è una questione di regole o di tecniche…». Quanto alla questione su come faccia un credente a lavorare da performer selvaggio, Cooper ha spiegato: «Nella Bibbia non c’è scritto da nessuna parte che una rock star non può essere cristiana. Quanti cristiani sono magari dei cecchini, dei boxer o qualsiasi altra cosa? Il cristianesimo può passare attraverso tutti i tipi di mestieri, forse quello della rock star è il meno peggio….

Niente a che vedere con Ferretti che scrive sull’Avvenire, tuttavia anche questa è una notizia di un certo peso. Non c’è davvero più religione.

fuori dalle palle, prima di Natale

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Scorrendo questa sintesi fotografica degli eventi che, secondo Il Post, hanno sconvolto l’anno in archiviazione, ci si rende conto che gli individui di cui avremmo fatto a meno anche prima e che si sono finalmente levati di mezzo non sono stati pochi, uno in particolare.

apologia di taxismo

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Avete presente una civiltà in cui la verginità di una ragazzina viene monitorata da controlli assidui da parte dei genitori, in uno scenario in cui un intero gruppo etnico può essere tacciato come capro espiatorio di default dall’opinione pubblica per qualunque cosa tanto da poter essere accusato liberamente e spingere la controparte del sottoproletariato (e nemmeno tanto sotto e nemmeno poi proletariato) a partire in quarta, organizzato e armato, e incendiare un campo in cui è stato consentito l’accorpamento di abitazioni abusive e fatiscenti in una città dell’occidente europeo contemporaneo. In questo brodo di coltura la ragazzina la perde, la verginità, e considera meno grave denunciare un finto stupro che confessare un rapporto sessuale consenziente. E poche ore dopo il sosia di Jimmy il fenomeno, su alcuni siti definito un intellettuale, imbraccia un’arma da fuoco da telefilm americano e spara nel mucchio di venditori non autorizzati di merce contraffatta i cui proventi molto probabilmente andranno ad arricchire la mala locale e organizzata, ne uccide due e poi però si suicida, peccato. E in entrambi i casi ci sono terzi che plaudono ai gesti di violenza gratuita perché commessi contro chi gli contende il lavoro, il territorio, l’ordine, e si continua a consentire libertà di espressione a chi con la propria espressione la libertà altrui vorrebbe soffocarla. Nella stessa società ci sono corporazioni che non ne vogliono sapere di perdere privilegi e costringono intere politiche economiche a venire a patti per mantenere un monopolio anacronistico e antisociale, il lato oscuro del capitalismo, quello che non ammette la liberalizzazione per non minare i propri modelli di consumo e stili di vita. Ecco, questo scempio di buon senso e di convivenza civile accade oggi, qui, in Italia, anno domini 2011. Benvenuti a ovest.