per te che ho conosciuto

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Io li avevo visti, i Perturbazione, proprio in quella tournée lì. Anzi, a onor del vero, era il “Tora tora tora”, il maxi-festival che metteva insieme le menti musicali più energiche dei tempi. E che tempi: era il 2002 ed ero con quella tipa che poi sarebbe diventata mia moglie e quei due che già allora erano amici nostri strettissimi. Ed era una bellissima sera d’autunno, a Nizza, e tutto sembrava prendere quel corso pieno di felicità che poi si è rivelato tale. Per quello rimasi folgorato dai Perturbazione sul palco, tanto che non persi tempo e corsi ad acquistare il cd alla bancarella. Ne fui così piacevolmente sopreso che cominciai pure a molestarli via e-mail facendogli tutti i complimenti che mi sembrava giusto fare, come fanno i ragazzini con i loro idoli pop. Ma era tutto così perfettamente omogeneo che “In circolo” si prestava perfettamente ad essere la colonna sonora di quei pochi mesi di quiete che precedettero il vorticoso decennio successivo, fino a qui. Quindi evviva tutto, evviva i Perturbazione e come è stata la mia vita, splendida, da allora.

chiedimi come

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Ecco, ogni volta lo sforzo lo faccio e cerco di autoconvincermi che chi vi partecipa sia portatore di pace e di fraternità. Ma a me le celebrazioni in pubblico di riti religiosi di gruppo o l’osservazione di pratiche di preghiera individuali mettono a disagio. Chiaro che la processione con la cassa e le prefiche più che essere allarmante la trovo lugubre, perché in realtà è il connubio tra giovinezza e credo (per non dire integralismo) che mi fa rabbrividire. Anche se, in tutta onestà, devo ammettere di trovarmi in disaccordo con qualunque crocchio di persone intento a seguire i propri ideali indipendentemente dall’ambiente circostante quando tali ideali sono diversi dai miei. Voglio dire, assistendo qualche giorno fa a un incontro di fanatici giocatori di ruolo di non so quale gioco, di fronte a tanta gioventù emaciata e deviante, ho quasi rimpianto le compagnie che un tempo si dedicavano con meticoloso spirito autodistruttivo all’eroina. Ma, ancora in ambito fantasy e tornando ai credenti, trovarsi a fianco di una distinta pendolare sui venticinque anni che, al posto del libro del Connelly o Ammaniti di turno, legge e sussurra a bassa voce il Terzo Mistero Doloroso, quello dell’incoronazione di spine, alternato al consueto check dei messaggi in arrivo sul BlackBerry. Oppure veder una ventina di studenti del Politecnico che si riuniscono sotto un portico dell’università a una certa ora del giorno per recitare non so quale preghiera tutti insieme, beh, mi fa pensare al peggio. Tipo qualcuno che si fa esplodere, o esagitati con forconi e torce che piantano crocifissi in aula magna e così via. È che non inizierei mai la mattina con il rosario, tantomeno riunirei tante persone intorno a me in pubblico, se non per un brindisi. Ma nessuno mi dà retta, e il mondo continua a scendere irreversibilmente la sua china.

sosta

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Stamattina fa freddo, meglio tenere il finestrino aperto solo due dita, il minimo indispensabile per fare uscire il fumo della sigaretta. Che già fumare a quest’ora, chiuso nell’auto accesa per riscaldare l’abitacolo ma ferma nel parcheggio sotto il portone, significa omaggiare il resto del pianeta di una dose doppia di smog. I due scarichi gassosi si mischiano fuori alla nebbia e insieme avviluppano l’utilitaria malconcia, nascondendo alla vista dei passanti come me la passeggera seduta dietro, che poi è la figlia dell’inquinatore consapevole. Nata con un deficit intellettivo di una percentuale abbondante oltre la metà in una famiglia che, messi insieme, non riesce a colmare l’altra, da sempre sfrutta l’ausilio delle strutture di sostegno e ora, mentre tutti i suoi coetanei sono quasi adulti, aspetta come ogni giorno nella sua dimensione infantile scomoda in un fisico indeciso sulla categoria a cui appartenere il furgone dei volontari che portano un nutrito gruppo di meccanismi difettosi ai rispettivi impieghi, reali e fittizi. Il padre, al posto di guida, tra una tirata e un’altra non muove un muscolo della faccia, l’espressione probabilmente bloccata da sempre come un calco nel gesso da quando ha ricevuto la notifica che la vita normale, da quel momento, mai più sarebbe stata. Ma non è un buon motivo per affumicare una persona anche se non è del tutto registrata e anche se lei, dietro, sembra non curarsi della cortina che si addensa dentro e fuori l’abitacolo. Per la ragazza non fa differenza nemmeno quello, finché il furgone affianca l’auto, il padre ne esce e trasborda quell’enigma che occupa una stanza del suo appartamento su un vettore più adatto, accudita da mani più esperte, in una dimensione più a misura di disagio. Lei si getta sul sedile a fianco dell’autista, che alla fine è il più rassegnato di tutti. Il padre risale in macchina e questa volta mette la prima e parte, in perfetta sincronia con i saluti della figlia, che non restituisce.

Il posto macchina ora è libero, nemmeno un minuto e ci si fionda una fiammante city car multicolore, una di quelle auto che sembrano progettate da un pasticciere. Dentro c’è l’impiegata dello studio del geometra ubicato di fronte, tira il freno a mano ma nemmeno lei non spegne il motore. Dallo specchietto retrovisore nota che l’ufficio ha ancora le serrande chiuse, ne approfitta per accendersi una sigaretta, lasciar sfumare la canzone di Vasco Rossi – che è appena all’inizio, riconosco la strofa – e cancellare dallo smartphone un po’ di messaggi obsoleti. A differenza di chi ha stanziato in quel punto poco prima non apre il finestrino, lascia che il calore non tracimi e nemmeno il fumo, chi se ne importa. Nello studio lavorano in due, lei e il geometra che è sempre fuori a controllare i condomini che amministra. Non ha colleghi, in ufficio è sola quasi tutto il tempo. Vive in un paese sulla stessa circonferenza esterna alla metropoli, tanto che è impossibile recarsi in ufficio con i mezzi a meno di non dover passare per il centro e poi tornare su per un raggio diverso. In auto è a pochi minuti da casa, invece, che diventano più di venti nelle ore di punta e che trascorre in compagnia della radio. Da periferia a periferia. Sul cruscotto e sul divanetto posteriore un’orgia di animali di peluche di ogni ordine e grado, sdraiati in posizioni innaturali, sicuramente impregnati di nicotina e di silenzio, come la loro proprietaria umana. Che apre la portiera e getta la sigaretta sull’asfalto e la richiude, il geometra non è ancora arrivato è c’è il tempo per mettersi il rossetto.

lo sballo del qua qua

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Compagnie canaglie: secondo Al Bano Carrisi è stata la droga a distruggere il suo matrimonio con Romina, che “ha sempre frequentato gente che fumava”. La droga in questione è marijuana, da cui il paradosso nel paradosso. Possibile che nessuno si sia mai chiesto la natura di tutta quella Felicità?

p.s. inutile aggiungere che con una analoga dichiarazione di Massimo Ranieri sarebbe stato tutto più facile.

una sensazione come di assorbimento

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I mezzi di emergenza, di soccorso e delle forze dell’ordine viaggiano preceduti dal suono della sirena e seguiti dalla sua alterazione doppleriana anche di notte, quando sulle strade non ci sono code da saltare, incroci da oltrepassare a tutta birra, pedoni e automobilisti da avvisare del passaggio e del rischio che corrono. Dopo mezzanotte infatti non c’è nulla – o poco – di tutto questo, eppure le sirene sono altrettanto spiegate. E io non capisco lo stesso, già mi addormento a fatica, vivo nel terrore del telefono che irrompa dalla porzione di casa vuota, il cosiddetto living, che sta di là oltre la zona notte, il cosiddetto sleeping, perché non c’è nulla che mi spaventi di più del rumore che fa breccia nel buio. Quando qualcuno mi racconta di aver voluto installare un sistema di allarme in casa, io penso che sia matto. Perché se suonasse alle tre del mattino potrebbe essere letale per me, sono certo che mi verrebbe un coccolone.

Così se mi raggiungono le note ad alta definizione della ambulanze mi sveglio immediatamente con il cuore in gola, penso a che sta succedendo, se stanno venendo da questa parte. Ne passa una, poi una seconda, una terza, deve essere successo qualcosa di grave, forse stanno chiamando a raccolta il quartiere. Svegliatevi! Accorrete! Ma poi si incrociano e proseguono sulla provinciale verso l’ospedale, probabilmente hanno già raccolto i feriti e i contusi. E mi lasciano qui, per fortuna, solo che ormai la sessione di riposo me la sono giocata. Così mi metto a leggere e aspetto.

Aspetto che vada in onda il rumore che fa Milano la mattina presto. Si tratta di un graduale crescendo che arriva dalla città probabilmente con un effetto valanga. Un’automobile che si accende chissà dove, magari in centro, il rumore che si propaga e raccoglie un clangore, uno sferragliamento, una frenata o un clacson. La bolla cresce e si sposta, altri scalpiccii, il boato di un camion, poi la tangenziale Nord che si sveglia, avvolge il tutto e ne aumenta il diametro, fino a quando la massa è più pesante dell’aria e come un’onda (innocua, eh) si infrange su casa mia e allora game over. Diventa insostenibile quel qualcosa là fuori che, quando ho preso sonno, non c’era. Non è più notte.

Poi lentamente il mio udito si abitua, aiutato dal fatto che altri rumori più familiari si aggiungono al bordone di fondo: uno sciacquone dai piani alti, la tapparella elettrica del vicino, e quando mi butto già dal materasso già non ci faccio più caso. Ed è incredibile perché in ufficio, durante il giorno, cerco di cogliere il rumore del pomeriggio, per esempio, ma non esiste. Solo a tarda sera, quando mi corico, le orecchie mi si ripuliscono di tutte le sciocchezze sentite in giornata, le lascio colare fuori con gli orpelli sonori che ti restano addosso come la puzza di ogni altro tipo di inquinamento.

imburrato solo da un lato

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sopra la notizia

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Il valore aggiunto del commento alla semplice pubblicazione della notizia “as is” impreziosisce il fatto riportato, costituisce una sorta di firma del giornalista e ne giustifica lo stipendio. Ma i commenti a voce sui video un po’ così, intendo quelli che si trovano su youtube e che vanno a popolare le colonnine delle stronzate sulle home page dei principali quotidiani nazionali, che senso hanno? Video che siamo oramai abituati a trovare e vedere in autonomia perché sufficientemente autodidascalici, non necessitano alcuna spiegazione, si capisce benissimo di cosa si tratta. Il Corriere cade sempre nella fastidiosa abitudine di aggiungere la propria interpretazione anche su notizie in cui ogni di più è superfluo nonché irritante. Naturalmente già dopo aver descritto di che si tratta nell’abstract in home, nel titolo e nell’occhiello e nel testo dell’articolo, i casi in cui il video è quindi solo un supporto multimediale a testimonianza della notizia di cui si tratta. Voglio dire, guardate questo esempio: era il caso di fare un servizio e sovrapporre la voce della giornalista a immagini così esplicative? E, soprattutto, era il caso che io ci scrivessi su un post?

Aggiornamento: su Repubblica on line, il video è nudo e crudo.

l’italia chiamò

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Domattina vorrei uscire di casa con il tricolore sulle spalle, a mo’ di mantello, legato al collo. Vorrei battere i luoghi dove passo quotidianamente ogni mattina da dieci anni conciato così, a partire dall’ingresso della scuola tra i bimbi e gli accompagnatori. I primi mi additerebbero sicuramente divertiti da un carnevale fuori stagione, gli altri altrettanto meravigliati dalla lunga coda di giubilo per il successo di una nazionale sportiva, una delle tante, magari la più fresca di titolo mondiale di qualcosa. Poi, lungo la strada verso la stazione, il ragazzone affetto da sindrome di Down, quello che incrocio con addosso sempre i Ray Ban a specchio e le cuffie da walkman vecchio stile e che camminando balla e canticchia una musica tutta sua, si meraviglierebbe da quella botta di colore sul mio abituale monocromatismo, forse lui mi chiederebbe che succede. E che dire del goffo impiegato militante di un noto gruppuscolo di subumani di estrema destra, ogni giorno sul mio stesso treno, che in prossimità del vessillo nazionale probabilmente scatterebbe sull’attenti sfoggiando il saluto a braccio teso e che, dopo ore di sforzo intellettivo magari a fine giornata riuscirebbe a darsi una spiegazione del fatto che la bandiera è anche la mia. Poi la scia di gente che lavora, la fiumana di persone nell’ora di punta mattutina che potrebbe decidere dietro a quel segnale di libertà di riemergere dall’esistenza sotterranea verso una luce diversamente rischiarante. Quindi, prima di sedermi e accendere il pc, appenderei dietro la mia postazione quello strascico di entusiasmo da risveglio post-incubo, il mantello che di certo non fa di me un supereroe, semplicemente il cittadino di un nuovo mondo.

tutti a casa

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Allora, come avete festeggiato? Chi sostiene che la situazione sia talmente grave che non c’è proprio nulla di cui gioire mente sapendo di mentire. Una legislatura messa con le spalle al muro non solo dai mercati e che aveva contro tutti, dalle associazioni ai sindacati, a destra e a sinistra, in patria e all’estero non poteva andare oltre. Addirittura le condizioni che sembravano imposte al governo che sta per nascere, ovvero che nessuno potesse candidarsi con qualche schieramento politico alle prossime elezioni, è una bestemmia anticostituzionale grande quanto la loro cialtronaggine e non è che l’ennesimo esempio di un modo eversivo di intendere la politica. Trovo così sacrosanto unirsi al trenino in piazza e compiacersi per come si è chiusa la parabola di uno uomo nella più assoluta ignominia internazionale, proprio lui che della sua persona si è beato nel tempo, e per la caduta dello stuolo di soubrettine e guitti che, in malafede mista a incompetenza di un livello disarmante, ha impoverito – se possibile – ulteriormente la politica. E, se non ne siete convinti o se siete di quelli che “andassero tutti a cagare”, prendete almeno quello che sta per arrivare come l’antipolitica che cercherà di mettere le cose a posto. Ma sono certo che qualunque cosa accadrà sarà sempre meglio della compravendita degli scilipoti, e che tra uno due o tre mesi quelli che vorranno tornare indietro saranno ancora meno. Ora scendo a gettare nel bidone del vetro le bottiglie stappate e bevute ieri sera e metto in ordine, da domani ci sarà da lavorare di più ma, non ho dubbi, ci si potrà vergognare un po’ di meno.

operazione “una mentina per Ferrara”

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Offriamo al direttore del foglio il fine pasto decisivo, dopodiché tutti al riparo: il suo contenuto è molto meno nobile della celebre versione demo qui sotto.