in armonia

Standard

Oggi parleremo delle principali deformazioni professionali del musicista, anche se il musicista non è professionista, e mi permetto di aggiungere: quando il musicista è professionista e quando non lo è, dato che nella classifica delle posizioni retribuite più difficilmente raggiungibili il musicista professionista che campa solo di quello che vuole suonare è secondo solo al mestiere del Papa (senza accento, sì intendo proprio quello vestito di bianco che vive al Vaticano). Voglio dire, il musicista può essere professionale anche da semiprofessionista o da dilettante, e siccome è un’attività che quando la si esercita essa si impossessa della natura dell’individuo, è facile che l’individuo si comporti da musicista anche non necessariamente collegato a un impianto, o a un ampli, con uno strumento a tracolla o un microfono in mano. Insomma, ci siamo capiti.

Dicevo? Ah, si, tra le principali deformazioni professionali del musicista c’è quella dell’andare a tempo. Chiaro che ci sono i musicisti che non vanno a tempo nemmeno mentre suonano, ma questo è un altro paio di maniche. Quello che intendo io è cercare di andare a tempo sempre. Tralascio le situazioni che i più maliziosi di voi si staranno figurando e vengo al punto con qualche esempio. Autoradio a palla, macchina lanciata in autostrada. Si passa su un viadotto o in un qualsiasi punto in cui il manto stradale comprende giunti che, al passaggio dei pneumatici, generano un sobbalzo o un semplice rumore in due tempi (ruote anteriori e ruote posteriori, tu-tun). Il musicista facilmente rallenta o accelera, indipendentemente dalle condizioni del traffico, affinché il tu-tun sia perfettamente a tempo con il bpm della canzone in ascolto. Accade anche con le frecce, in quel caso sarebbe però necessario intervenire con un quantize del tic-tac almeno in sedicesimi, il synch non è modificabile con l’intervento dell’autista. Al massimo si può togliere e rimettere la freccia, un po’ come fa il dj quando per entrare al meglio con un pezzo da mixare a quello in quel momento sul piatto alza e abbassa il volume del canale interessato. Inutile affrontare il discorso della musica di sottofondo in situazioni qualsiasi della giornata, quando si è a spasso, con un carrello alla mano durante la spesa o impegnati in una qualsiasi attività domestica. Il musicista cerca di far coincidere un movimento forte con il battere e quello meno forte con il levare, per esempio si agguanta la caffettiera sull’uno, la si svita sul due, la si posa sul tre, ci si china sul quattro. Poi si apre lo sportello dell’umido sull’uno, si soffia nel filtro sul due, lo si batte ritmicamente sul bordo del contenitore secondo le proprie capacità tecniche sul resto della misura. Due battute da quattro quarti e la caffettiera è pronta per essere riempita.

A meno di non rendere partecipe platealmente il prossimo con questi piccoli dettagli maniacali, nessuno generalmente se ne accorge e la vostra reputazione è al sicuro. Ma c’è una deformazione più pericolosa per la salvaguardia dei rapporti interpersonali del musicista, e vi assicuro che si tratta di un’abitudine talmente diabolica e nefasta che è impossibile da trattenere. Il suo nome è armonizzazione e si manifesta tramite il canto. Già questo particolare è sufficiente a farvi capire la gravità: non tutti sono intonati, non tutti hanno una voce gradevole, non tutti sanno armonizzare, non tutte le canzoni sono armonizzabili, il gradimento degli intervalli armonici è soggetto alla cultura e al vissuto sonoro, diverso da persona a persona. Pensate per esempio alle misteriose voci bulgare, capaci di armonizzare con una seconda voce a un intervallo di semitono, cosa che suona ostica all’orecchio occidentale. Ma senza tirare in ballo fenomeni limite, non a tutti piace sentire una persona a fianco raddoppiare costantemente le melodie più celebri con terze, quinte e settime aumentate soprattutto quando nella canzone oggetto dell’armonizzazione seconde e terze voci non sono state contemplate. Per esempio, con un pezzo dei Beatles, che già contiene coretti e uacciuuariuari in tutte le salse, non è difficile mascherarsi da George Harrison e infilarsi tra i passaggi melodici. In altri casi è facile essere sgamati in pieno. Come sei stonato, come canti male, ti dicono in coro (non armonizzato) gli astanti. Una coltellata in pieno petto per te che ti stai arrampicando su una difficile modulazione per arrivare tramite sostituzioni acrobatiche alla sesta sotto della tonalità perché la terza sarebbe troppo alta e non ti piace cantare in falsetto. Ma il musicista sa meglio di chiunque altro che ogni brano, ogni linea melodica è sempre e comunque armonizzabile, la musica è stata inventata per quello, non ci si ferma alla critica del primo incompetente che passa. La polifonia vince sempre, come l’amore: chi vi minaccia di divorzio non andrà fino in fondo.

un pianeta terra terra

Standard

Sabato più pioggia uguale centro commerciale. Non fa una piega, e sono in molti a non farla. Come si usa dire, la crisi non c’è perché mangiano tutti da Spizzico. Sarà.

Il centro commerciale in questione una volta era il Gigantesco Supermercato in mezzo a una galleria di negozi, i soliti brand che resistono perché con la loro solidità economica che si chiama franchising sono gli unici a potersi permettere l’affitto dei muri. In quel Gigantesco Supermercato, nel cuore del centro commerciale, fino a qualche tempo fa era messo tutto alla rinfusa, essendo talmente grande da rendere vano un modo strutturato e intelligente per guidare il visitatore lontano dalle sue necessità segnate a matita su un post-it e vicino alle offerte di tutto quello che non avrebbe mai voluto comprare ma che poi alla fine si ritrova nel carrello. Su questo, lo sapete meglio di me, ci sono studi e strategie mica da ridere. Così si sono inventati la formula Planet, che consiste nell’aver reso il Gigantesco Supermercato un vero e proprio sistema di consumo, il pianeta acquisti su cui si atterra dopo aver sorvolato i negozi satellite intorno e i vari spazi di ristoro. Dentro, ora colpisce il perfetto ordine, l’estetica ammiccante del restyle, il corpo perfetto di una creatura feroce quanto disciplinata composta di tutti i prodotti, tutte le scatole, tutti i barattoli ognuno nel proprio spazio dedicato. Congegni vitali che rendono l’esperienza del visitatore un viaggio allucinante nell’organismo di un essere vivente spietato e pronto a digerirti per poi espellerti, scontrino alla mano.

Nella apparente calma delle funzioni involontarie, la respirazione nel reparto alimentari, il battito cardiaco al banco gastronomia con il continuo bip bip del display che aggiorna di una unità alla volta il turno di chi deve essere servito, ecco l’apparato riproduttivo che è quello che attira di più l’utenza maschile e giovane: elettronica informatica e videogiochi. Un percorso segnato in rosso tra gli scaffali conduce a un salottino, due poltrone di fronte a una playstation con tv lcd. Due ragazzini obesi, conciati alla moda e con i capelli passati alla piastra, stanno giocando a sparare e uccidere persone finte, dentro lo schermo a non so quanti pollici tanto che assassino e cadavere sono in scala di poco inferiore all’1:1. La grafica è impressionante, sembra un film. L’audio è in qualità perfetta: dialoghi, colonna sonora e i colpi di pistola risuonano tutto intorno. Dietro, la fila dei curiosi che vogliono provare.

doppia matrimoniale

Standard

Era la mattina in cui ci siamo svegliati ed eravamo in guerra, dall’albergo dove avevamo passato la notte si sentivano chiari e forti gli spari e le esplosioni, anche se lontane. Mi hai detto che sarebbe stato meglio raccogliere le nostre cose e andare via da lì, da quel piano alto e dalla periferia, probabilmente se c’è la guerra passerà proprio da qui per spostarsi nel centro della città. Era la seconda volta che dormivamo insieme, ci conoscevamo da nemmeno un mese e tu dovevi rientrare in Italia la sera stessa. I tuoi colleghi erano nell’altro hotel, quello per i turisti in centro, ti chiedevi se era meglio tornare laggiù, altrimenti si sarebbero preoccupati e temevi anche per la loro incolumità se si fossero mossi per cercarti. Che ne sarà di noi, ci siamo detti. Che ne sarà di me, ho pensato. Ti ho detto di no, non era il caso, a piedi sarei riuscita a rincasare senza pericoli. Nessuno sapeva che guerra fosse, chi combatteva, a malapena conoscevamo i nostri nemici, la guerra quando è civile è nelle strade, è la guerra della gente e non degli eserciti. Ma poi a uscire da lì nessuno dei due ha avuto il coraggio. In reception c’eravamo solo noi e il padrone dell’albergo, nessuno sapeva che fare, fuori c’era il deserto attraversato da mezzi blindati della polizia. Così hai deciso di chiamare l’altro hotel per sapere come era la situazione. Stavano caricando le borse sul pulmann per partire subito, scortàti. Hai detto a loro di passare di lì, che nessuno avrebbe potuto immaginare il rapido decorso degli eventi. E hai pensato a me, ma io non pensavo a nulla. Anzi, pensavo a tutto ma non c’era scelta. Sarebbe stato difficile salire sul pullman e restare insieme, sarebbe stato difficile lasciarci lì senza sapere se ci saremmo più rivisti.

captatio benevolentiae

Standard

Volevo solo scrivere che da quando ho messo su questo rotocalco di scritti posticipati ho scoperto e riscoperto un sacco di gente interessante. Alcuni commentano, altri laicano compulsivamente su Facebook, altri ritumblerano, o commentano su fifì, o si manifestano nei luoghi e interstizi del web più improbabili. Insomma, un piccolo tributo a chi ho ritrovato, a chi ho conosciuto e non conoscevo prima, a chi mi legge e anche a chi, quando mi capita di incontrare per lavoro o anche solo al telefono, dice di seguirmi sempre e di leggermi con piacere. Ma il piacere è tutto mio.

l’uomo del pan di stelle

Standard

per un soffio

Standard

Scopro che mia mamma è informatissima su quel che è successo a Cassano. Non mi sorprende: mia mamma è informatissima su tutti gli argomenti del momento perché come molti suoi coetanei si aggiorna con il tg1, la cronaca locale dei quotidiani del posto e i tabloid straripanti di gossip che i quotidiani del posto soventemente danno in allegato o con qualche centesimo in più. Quindi è perfettamente allineata sulle notizie tra la cronaca e il costume, più costume che cronaca, i casi umani nazionalpopolari che si gonfiano di dettagli ogni giorno, storie vere che possono piacere a tutti, e così via. Per non parlare della cronaca nera, ma non tanto la cronaca brutale, voglio dire i fattacci truci e sanguinolenti attirano i morbosi tout court. Mia mamma ha invece questa capacità di assimilare tutte le microtragedie, anche quelle al limite della leggenda metropolitana, le fa proprie per poi esemplificare a suo modo qualunque argomento o aneddoto si stia trattando con lei. Faccio un esempio. Parlando della vacanza sulle Dolomiti e delle scarpinate in cui mia figlia ha dimostrato una buona resistenza malgrado la giovanissima età, lei può interromperti per raccontarti di quella famigliola che qualche giorno prima è caduta in una voragine o è stata travolta da una valanga e sono morti tutti. Oppure se le racconti dell’amico a cui la zia ha elargito un prestito per estinguere il mutuo e svincolarsi dai tassi delle banche, ti racconta degli strozzini che hanno spinto al suicidio quel padre di famiglia, l’hanno detto anche alla tv, quindi mi suggerisce di avvertire la persona che è stata oggetto di cotanta buona sorte di stare con gli occhi ben aperti. Forse è solo un po’ di depressione, o forse è un modo per giustificare il disinteresse a tutto il resto a cui le persone di mezza età non hanno più voglia di interessarsi, fatta eccezione per le sciure prezzolate dal padrone del partito che per un gettone presenza in più si fanno fotografare in piazza contro i nemici della libertà. Ecco, in questo caso mi racconterebbe dell’ipnotizzatore imbonitore che convince gli anziani a versare a suo favore l’intera pensione o a recarsi in banca per poi farsi intestare dalle vittime i risparmi di una vita.

Ma, per tornare a noi, sono certo che mia madre non avesse mai sentito nominare Cassano in precedenza, non la biasimo, a dir la verità nemmeno io. Sta di fatto che ne avranno parlato tutti i tg all’ora di cena, magari ci sarà stato un speciale su Elisir e il gioco è fatto. Poi però, scendendo nei dettagli, al telefono mi confessa che ha seguito molto la vicenda perché suo figlio, ovvero il vostro plus1gmt, in età prepuberale era stato sottoposto a una serie di esami e visite specialistiche per un sintomo analogo, che poi era stato smentito e la cosa, per fortuna, aveva avuto come conseguenze solo un po’ di spavento per tutti e, aspetto assai più grave almeno per me, la fine anticipata del campionato di mini-basket. Ti ricordi vero?, mi dice al telefono. E, non so perché, la cosa mi mette in imbarazzo tanto quanto i collegamenti macabri di cui sopra, mi viene subito voglia di avviare la conversazione verso il termine. Io e Cassano: mal comune mezzo gaudio? Già, e mi chiedo se sia più preoccupata per me o per un normalissimo attaccante del Milan.

nella stessa barca

Standard

Per quel che mi ricordo della Liguria, diciamo che me la ricordo piuttosto bene perché sono nato e cresciuto laggiù, e soprattutto di Genova in cui ho abitato per un po’, c’è quella sensazione di equilibrio precario che non ti abbandona mai. Poi se ti abitui ad avere sempre i due piedi allo stesso livello e a comodità come la raccolta differenziata all’interno dei cortili, passare in autostrada a ridosso degli edifici costruiti in salita ti sembra l’ennesimo film in 3D al multisala. Li guardi e ti gira un po’ la testa e pensi ai capogiri di chi ci abita dentro. Ma non è solo quello. Prova a salire a monte, arrivi in cima e ti senti in una vignetta di Mordillo, c’era persino una canzone di Max Manfredi che raccontava di chi fa la pipì sulle alture e in mezzo minuto si inquina il mare. Ti cade il pallone giù e non lo trovi più. Arrivi in costa sull’appennino e ti coglie l’effetto da montagne russe. Si tratta di una città, e non è l’unica, costruita per altre epoche, quelle in cui esistevano ancora le mezze stagioni e il clima era un altro, e anche sufficientemente consolidato. Oggi passare sotto quell’enorme ziqqurat urbanistico mi dà l’impressione che crolli da un momento all’altro. E comunque non c’è più lo spazio per nulla, in Liguria, figuriamoci per le piogge copiose che oramai da dieci anni fiaccano con regolarità l’autunno rivierasco, ma ogni volta è sempre come la prima volta e che ci volete fare. Non si può ricostruire Genova, non si possono radere al suolo i quartieri appesi sulla cima. Si può cambiare la Liguria, si devono cambiare i Liguri? No, non ce n’è bisogno. Vedendo una delle strade sommerse di fango delle Cinque Terre, notando l’insegna di un albergo che sembra non esserci più, mi sono chiesto quanto costasse lì la pensione completa in alta stagione e il livello del servizio fornito.

critica della ragion sociale

Standard

Un giorno siamo un’agenzia di comunicazione, quello successivo un’agenzia di supporto marketing, quello dopo ancora il dipartimento interno dell’azienda cliente. Siamo un’agenzia di comunicazione quando il lavoro serve per la mattina successiva e occorre ingegnarsi per trovare l’idea creativa – almeno tre proposte – quindi aspettare l’ok che arriva nel tardo pomeriggio, poco prima della deadline, e inevitabilmente si fa sera. I creativi siete voi, ci dicono, sbizzarritevi pure con le idee folli, stupiteci. Il problema, come potete immaginare, è che un brief  alle 11 del mattino per una pagina pubblicitaria da preparare entro le 18 non è che consenta chissà quale processo creativo. Diciamo che ce la caviamo sempre, anche se sul filo del rasoio, il rischio è il nostro mestiere. Siamo invece un’agenzia di supporto marketing quando c’è tutto il tempo per pensare alla campagna di comunicazione figa, quella che va anche sui social media, quella con i video virali, peccato che in quel caso di tutta la parte a monte spesso non siamo incaricati. Ci rimangono le briciole, che ne so il video da comprimere nel formato adatto da fare subito, la traduzione da fare per il giorno stesso, l’e-messaging da preparare asap. Ma il bello viene quando siamo indicati come il dipartimento interno, partecipiamo alle riunioni con i vertici, coordiniamo fornitori e agenzie concorrenti in quanto profondamente esperti delle linee guida marketing dei clienti. I progetti che scaturiscono con la nostra fondamentale esperienza vengono poi assegnati ad altri, quelli che svilupperanno le campagne fighe per le quali faremo supporto marketing. Fino a quando mancherà un qualcosa di cui ci si accorgerà il giorno prima della deadline e che ci verrà richiesto con urgenza entro la sera stessa. D’altronde, quel giorno, saremo un’agenzia di comunicazione.

gotye – smoke and mirrors

Standard

punto, set e partita

Standard

– Eh.
– Prego?
– No dico, eh…
– Scusi ma non capisco…
– Eh, certo che è stato un bel match.
– Ah… sa non seguo granché il calcio, a quale partita si riferisce? Ne parlano lì sul giornale che sta leggendo?
– Eh, ha tenuto in scacco un avversario così per tutto il tempo.
– Ma chi?
– Poi quando ha fatto roteare la racchetta, sembrava un cartone animato, uno di Tom e Jerry.
– Racchetta? Scusi, pensavo si riferisse a…
– Vedi, lo scrivono anche qui. Se ti prendi gioco così di un avversario molto più forte di te, fai vedere che non lo temi, quello poi si innervosisce e va a finire che sbaglia.
– Si ma…
– Poi quando ha battuto da sotto, come i ragazzini che prendono le lezioni di tennis, lì ho capito che ce l’avrebbe fatta.
– Tennis? Sarà una vita che non vedo un incontro di tennis in tv, non so nemmeno se i canali pubblici li trasmettono ancora, un tempo…
– Io ho inteso che si è innervosito e a quel punto non c’è stata più partita. Vedi, Lendl sarà anche un grande campione, ma quel Chang lì lo ha messo in ridicolo davanti a tutti.
– Lendl? Chang? Ma sta parlando del Roland Garros? Quella finale di non so quanti anni fa, almeno venti se non ricordo male? L’avevo vista anche io, ma come mai ne parlano…
– Scusi, sono arrivato, arrivederci, scendo qui.
– Ehi ma…
– Grande match, non c’è dubbio, grande match. La saluto.