la storia, e che sarà mai

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domanda retorica

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C’è una linea sottile ma mica poi tanto che unisce i funerali di Simoncelli con la ressa in coda all’inaugurazione dell’ennesimo megastore di elettronica. Siamo solo noi e le moto accese in chiesa con il tutti contro tutti per gli smartphone in offerta speciale. Un denominatore comune, e non si tratta solo del fatto che siano accadute nello stesso giorno e che coinvolgano una massa ingente di persone, protagoniste simultanee di celebrazioni pop di loro stesse intente a salire di livello, un passo più in alto verso la catarsi. La beatificazione del sacro e del profano che crea l’imbarazzo dello spettatore il quale, privo del sentimento che suscita la partecipazione in prima persona all’Evento, rimane interdetto dallo spettacolo dell’eccesso. Due bagni di folla spinti da analogo sentimento di rivalsa, l’uno verso la morte e l’altro verso la povertà e l’accessorio desiderio di riscatto (tramite l’accessorio stesso).

C’è una linea sottile ma mica poi tanto nella manifestazione di massa per la difesa del proprio pudore, che paradossalmente una volta messo in piazza e spettacolarizzato viene messo a nudo, diventa didascalico tanto quanto l’immediatezza di un inno della gioventù nichilista e scavezzacollo, probabilmente tramandato di padre in figlio, e l’istinto di sopravvivenza nella modernità e nella società della comunicazione abbreviata, che ha negli strumenti la sua visione ultraterrena, e quando tali strumenti sono accessibili con uno sconto a due cifre di percentuale la via verso l’eternità è da considerarsi in offerta speciale. Tutto questo rende vani gli sforzi di riportare una civiltà agli elementi di sobrietà che l’hanno fatta crescere, che né io né le persone che conosco hanno mai visto di persona e che quindi leggiamo solo nei libri di storia, nei rotocalchi su epoche  e costumi lontani, nei suoi discutibili adattamenti per la fiction da prima serata. E non resta che fidarci del passato che ci è stato raccontato e che, se la cartina tornasole è il presente, possiamo anche considerarci liberi di mettere in discussione. Tanto, ormai, vale tutto.

cosa c’è di peggio di d&g?

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Le pubblicità di D&G. Via.

c’era una volta un re

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Le facce terrorizzate dei dittatori uccisi fanno paura, come se riprendessero vita nella foto e cercassero di vendicarsi con maggior ferocia proprio per il torto subito, l’unico, quello decisivo. E se volessero riunire intorno a sé il loro entourage, guardie e leccapiedi e sicari, tutti con quegli sguardi increduli che hanno gli uomini nell’istante in cui capiscono che l’istante successivo moriranno per morte violenta, e, una volta eliminati i loro giustizieri, volessero continuare a seminare sangue con chi gli ha fatto la foto o il video della loro esecuzione, e quindi tutti quelli che l’hanno vista o l’hanno segnalata agli amici? C’è la prima foto della serie dei dittatori uccisi, quella che per capire di chi si tratta devi capovolgere il libro su cui è stampata, o ruotare il canvas di centottantagradi gradi con Photoshop se maneggi la versione digitale. Poi Ceausescu, anche lui con la moglie. Il penultimo è Saddam Hussein, stretto da un cappio, e oggi l’esemplare più recente, la figurina di Gheddafi. Non c’è da preoccuparsi, sono stati uccisi e basta. Sono tutte facce che hanno gli occhi della paura della morte, la disperazione che assurge a protagonista della storia, uomini condannati perché non potrebbe essere altrimenti, una trama che si chiude con una semplice sequenza di titoli di coda prima della parola fine, mai più letale e documentata di così.

i morti/2

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il cobra non è un serpente

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Non riesco a capacitarmi che esistano al mondo persone nate dopo di me. Questa visione egoriferita della realtà è controproducente per il mio lavoro: dovendo comunicare, uno dei fondamenti principali impone che il terreno su cui ci si scambiano informazioni sia lo stesso. Se devo trovare un testo creativo, per esempio le poche righe che lanciano un prodotto per una campagna pubblicitaria consumer, il bacino da cui la mia fantasia può attingere è composto dagli stimoli che si sono accumulati nella mia memoria durante il corso della mia vita per esperienza diretta, fino al momento in cui ci sto ragionando. Quindi tutte le cose che ho letto, visto e sentito perché accadute contemporaneamente alla mia esistenza. A ciò si aggiungono le informazioni su cose accadute prima che nascessi, e che comunque ho fatto mie pur non avendole vissute, bensì studiando, leggendo, ascoltando racconti, e così via. Questa categoria è però deficitaria e non attendibile, perché composta da ricordi non miei ma già interpretati dalla storiografia che può anche avere svolto a sua volta un cernita critica delle informazioni, escludendo quelle ritenute meno importanti a propria discrezione, in buona o malafede. Detto ciò, chiunque può cadere nell’errore di rivolgersi a persone più giovani con citazioni o richiami che all’interlocutore passano inosservati, battute che non fanno ridere e cose così, perché dipende dalle cose che chi ti sta ascoltando o ti legge conosce. Per andare sul sicuro, è meglio essere sempre aggiornati al meglio sul presente, per non rischiare di ridurre il range di individui in grado di comprendere il messaggio, tanto più se il messaggio in questione è commerciale ed è pensato per raggiungere il target più ampio possibile.

Ecco, tutto questo pippotto l’ho scritto unicamente per me affinché mi entri bene nella testa, per evitare che il manager che deve approvare la mia proposta creativa, che non potrebbe essere mio figlio ma di poco, rimanga un’altra volta con un’espressione a forma di boh di fronte alla parafrasi di un noto refrain di Donatella Rettore. Che poi io reputi Donatella Rettore un milestone pop fondamentale, di conseguenza il manager in questione un pochino ignorante, è un altro discorso, e lo tengo per me.

una leggerezza insostenibile

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La più eclatante contraddizione della nostra civiltà è la apparente incongruenza tra l’ipersalutismo sbandierato a destra e a manca (e le diete di qui e l’educazione alimentare di là e le palestre e il fitness esasperato e la lotta al cancro che passa anche dal controllo di quello che mangi) e la mostruosa disponibilità (nell’occidente del mondo) di prodotti alimentari, sconcertante quanto la pervasività del marketing e della pubblicità ad essi correlate. D’altronde con automobili di lusso e telefonia temo sia l’unica industria che non conoscerà mai flessione. Che poi si tratta di una contraddizione apparente perché l’obiettivo non è poi così nascosto: è il mercato, baby, che ti vuole spremere il più possibile. Prima, consigliandoti di ingollarne di ogni, e dopo, a pancia piena e borsellino vuoto, convincendoti che così in sovrappeso non puoi vivere, non puoi lavorare, non puoi avere amici, scordati il successo, e ti impone di sudare tutti i chili di troppo pagando profumatamente quel percorso a ritroso, che raramente riporta a destinazione e al punto di partenza, la tua forma fisica che in condizioni normali avresti.

Guardatevi attorno per capire perché il mercato (anzi il supermercato) ha fatto del peso in eccesso la peste del duemila. E poi c’è il fronte della patologia, che dilaga; un tempo era sufficiente non cadere in eccessi, probabilmente gli alimenti erano più genuini, bastava un minimo di movimento per i bambini affinché non iniziassero troppo presto con la tortura della dieta. Oggi occorre stare molto all’erta, perché la vita che conduciamo è quella che è, e in più c’è lo stress del modello vincente imperante: o così (magro/a) o sei tagliato fuori.

La differenza, tra allora e oggi, probabilmente la fa anche l’esistenza di Mtv. Perché questo fenomeno è diventato materia prima per l’ennesimo docu-reality “dedicato a ragazzi un po’ in carne che vogliono perdere peso prima di iniziare il college”. E capisco che il problema dell’obesità negli adolescenti (americani) sia di estrema attualità. Però messo lì, nel paradiso dell’immaginario commerciale adolescenziale, dove tutto è sexy e cool, fa l’effetto opposto. Così fuori luogo, magari dopo uno spot di McDonald o della bevanda gassata o dell’ennesimo prodotto di food entertainment seguito dalla pubblicità di abbigliamento trendy interpretato dalla modella taglia 38. Ecco, di incongruenze è pieno il mondo, le persone obese talvolta ne sono le vittime. E nulla riuscirà a convincermi che c’è qualcuno che si sta davvero prendendo cura di loro.

l’erba della vicina è sempre più verde

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Spero di non dover mai lavorare alla creatività per un adv di un detergente intimo.

io personalmente

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Io personalmente è un chiaro segno dei tempi. Un tentativo di rafforzare una qualsiasi propria posizione su una qualunque cosa, o forse più un modo per limitare la responsabilità di una opinione entro i limiti della propria fortezza individuale, un mettere nero su bianco che oltre il ponte levatoio che raramente si lascia aperto – e comunque onde evitare spiacevoli inconvenienti ci sono coccodrilli travestiti da avvocati pronti a prendere le difese intorno – il concetto che si sta per esprimere non ha nessun valore, è pura interpretazione dell’ascoltatore. D’altro canto, io personalmente è anche il copyright sull’idea, sul principio o sul parere, come me non c’è nessuno io sono l’unico al mondo, l’introversione di ogni possibilità di confronto, la massima chiusura nel bunker, tiro la sicura poi lancio la bomba dalla feritoia quindi mi tappo le orecchie e aspetto il botto, tanto ho detto io personalmente e sono cazzi tuoi. È una iper-prima persona singolare, un ego spropositato che non ammette confronti, un “mio Io, senti cosa sto per dirmi”. Oltre che un bel errore di grammatica. Io personalmente lo detesto, quasi più di un attimino.

titoli a rischio

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