il senso del corriere per il plurale

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Chi è senza refuso scagli la prima pietra.

nell’intimo delle aziende

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Chi lavora nel marketing e nella comunicazione utilizza a man bassa i siti di foto e grafica privi di diritti d’autore, le immagini Royalty-Free, una risorsa vantaggiosissima per campagne pubblicitarie online e offline a budget ridotto. Ed è inutile che vi spieghi perché le aziende chiedono alle agenzie come la nostra progetti di comunicazione cercando di spendere il meno possibile. Ma, a dirla tutta, negli archivi generati dagli utenti è tutt’altro che difficile trovare immagini o spunti di qualità, che se supportati dalla bravura e dalla creatività di chi deve abbinare il visual con il copywriting possono generare prodotti finali di alto livello. Considerando la vastità dell’archivio che è messo a disposizione degli utenti da quei siti, non è nemmeno il caso di assicurarsi l’esclusiva della foto scelta, ammesso che sia possibile. La mega-azienda che investe budget copiosi per campagne pubblicitarie e le mega-agenzie che ricevono i budget copiosi non si affidano certo a quel tipo di risorse. Invece, nel nostro ambiente fatto di piccole iniziative, la prima cosa che si fa è cercare quello che ci serve lì, prima di suggerire al cliente un set fotografico ad hoc e aumentare il preventivo. Ma non è detto.

La scelta della immagine giusta da un sito di immagini libere da copyright (il cui utilizzo è comunque a pagamento, seppur irrisorio) è a discrezione del gusto di chi cura la campagna pubblicitaria. Per esempio, per un mini-sito dedicato a un evento sul risparmio energetico che le aziende che scelgono un sistema intelligente di gestione della propria infrastruttura IT possono ottenere, si può puntare sulla sensibilità green del target a cui ci si rivolge e scegliere la foto del profilo di una graziosa e speranzosa fanciulla sdraiata in un prato verde punteggiato di fiori. Quindi chi si iscrive a quell’evento vede come prima cosa una green ambassador che si gode la freschezza della natura incontaminata. Ecco, freschezza è la parola chiave, una delle tag con cui si rintraccia quella foto nell’archivio di quel sito, oltre a green. Può succedere quindi che, contemporaneamente, un’altra agenzia incaricata di pubblicizzare un prodotto dedicato all’igiene intima femminile, cercando una testimonial della sensazione del sentirsi in perfetta armonia con il proprio corpo, scelga la stessa foto con la stessa ragazza sorridente sul prato fiorito. E che i maxi-poster della crema che lenisce irritazioni delle parti intime siano collocati anche nei pressi della location dell’evento. Ci sarà qualche misunderstanding? No, in entrambi casi è sufficientemente chiaro il posizionamento del prodotto.

chi ben inizia

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Dopo la morte di Amy Winehouse ho ricevuto molte telefonate di persone addolorate che mi chiedevano perché tanti cantanti muoiano così giovani di droga. E, ricordando Jim Morrison, Adam Goldstein, Sid Vicious, Jimi Hendrix fino a Elvis Presley, mi è venuto spontaneo fare un confronto.

Questo era l’editoriale di Francesco Alberoni sul Corriere di ieri. Immaginiamoci la scena. Alberoni nel suo studio, seduto alla scrivania, e tutti i suoi libri che gli fanno compagnia dall’alto di una libreria gremitissima. Anche i libri suoi nel senso di quelli che ha scritto lui e sui quali gli studenti universitari preparano gli esami. In una qualsiasi parte del mondo accade l’irreparabile sociologico, oppure un avvenimento che può avere ripercussioni sulla emotività della massa, un fatto inaudito e imprevedibile. Roba mai sentita. Per esempio, un uomo che uccide la moglie per spianare la strada alla sua relazione fedifraga, oppure un fanatico di qualunque pensiero religioso che fa una strage o si immola per varcare da eroe le colonne dell’aldilà, oppure una popstar dedita alla droga, o all’alcool, o agli psicofarmaci o a tutti questi insieme che, in un momento di debolezza o di down calca un po’ troppo la mano e muore.

Ecco, succede uno di questi anomali fatti di cronaca, così dannatamente anomali per il nostro tempo, e uno stuolo di fan del professor Alberoni, o di studenti, o di curiosi, o di mitomani, come prima e naturale reazione afferra il telefono, compone il suo numero privato e lo bersaglia di domande per approfondire la notizia del momento. “Professore, come mai così tanti giovani cantanti muoiono di droga?”.

Già, l’estate è di per sé un periodo di fiacca per l’attualità. Voglio dire, non accadono certo in periodi come questo fatti determinanti per l’economia mondiale, o per la stabilità del nostro paese. Quindi cosa c’è di meglio che avere in diretta telefonica il parere dell’esperto? Questo significa che posso chiamare Tremonti con la voce addolorata e chiedergli un parere sul debito americano? Detto ciò, sin dai tempi delle scuole elementari, per chi è alle prese con un tema, o con articolo, o con un post, la cosa più difficile è proprio l’incipit. Ma su, che diamine: uno sforzo, soprattutto se si viene pubblicati in prima pagina sul Corriere, bisogna pur farlo.

il senso del corriere per l’immigrazione

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congiuntivite

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In una sala riunioni che definire asettica è fargli un complimento, perché vabbè che hai una società che si potrebbe chiamare Mortedeisensi spa, che operi in un settore triste, che hai dipendenti ammorbanti, che ti rivolgi a clienti grigi, che occupi una sede ubicata in un non-luogo con vista su furgone carbonizzato e il bar più vicino è a 600 metri e per di più gestito da cinesi. Ma almeno l’arredo sceglilo un po’ vivo, anziché mobili che in confronto gli uffici della pubblica amministrazione negli anni ’80 erano di design, per non parlare degli scaffali nudi con riviste verticali che leggete in quattro, targhe che attestano le partnership che sfigurerebbero persino a una riffa di regali natalizi indesiderati. Ecco, in questa splendida cornice un direttore marketing logorroico sta argomentando un monologo sullo stato dell’azienda da cui è stipendiato, in un italiano anglo-markettese con tutti i topoi della sua materia di studio. Il linguaggio è forbito, l’uditorio è estasiato, la curva di attenzione è al suo apice. E proprio in quel momento il direttore marketing canna in pieno un congiuntivo. Uno di quelli che quando la prof di italiano li sentiva dai bidelli imprecava dicendo che per lavorare in una scuola almeno il minimo sindacale della lingua italiana occorreva conoscerlo. “Dasse”. Una creatura deforme che esce dalla bocca posta poco sopra della cravattona a righe diagonali e rimane lì, ferma con un effetto 3D tra il direttore marketing e gli astanti, scolpita in uno di quei font che i neofiti della videoscrittura usano compiaciuti per vedere prendere corpo le proprie parole testé digitate sulla tastiera. Un impact, per esempio, bold e colorato con l’effetto sfumatura da un colore all’altro, come i cartelli “domenica aperti” che stampati autarchicamente trionfano appiccicati con nastro adesivo trasparente sulle vetrine dei negozi, ormai nessuno si pone più il problema del soggetto, ma scrivere “il negozio è aperto” va oggettivamente contro i criteri della comunicazione superveloce della moderna era digitale. Qui invece si è materializzato un “Dasse”. Tutto il resto dell’analisi sul bilancio e sulle previsioni di espansione, peraltro fuori luogo in quella sede, con quell’uditorio, per quel tipo di lavorazione, improvvisamente si riduce a un volume infinitesimale, come dopo il boato di un’esplosione l’udito resta sordo per un tempo variabile, a seconda dell’intensità e della sensibilità del timpano. La bocca continua a muoversi malgrado il mute, il pomo d’adamo va su e giù, ma invano perché il volume è a zero. Resta solo un ologramma, un rendering lì, in alto, sul tavolo della sala riunioni. “Dasse”. Il futuro non sarà mai più come prima.

trailer di un trailer

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il senso del corriere per le donne – edizione del 19/7

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non riesco a resistere

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dei diritti e delle pene

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Negli ultimi 20 anni il mondo è andato sottosopra, e tutto sommato individualmente ce la siamo cavata, non trovate? Voglio dire, anche mia mamma a 74 anni mi manda gli sms con spazi e punteggiatura corretta, abbiamo sdoganato i video scaricati da Youtube in qualità Commodore 64 e utilizzati al tg tra i servizi con quei pixeloni che sembra un muro di Tetris (al che ti chiedi che senso abbia possedere un televisore hd), e prima o poi anche io passerò dal libro all’e-reader. Insomma, l’evoluzione serve a sopravvivere. Le aziende stesse, non tutte ma siamo a buon punto, lo hanno fatto. Chi stenta ad accorciare il divario con la società contemporanea, Chiesa a parte perché è un altro paio di maniche, sono le strutture che invece, più di ogni altra, avrebbero dovuto precorrere i cambiamenti epocali. Prendiamo la SIAE, per esempio, che ancora oggi fa i capricci e pesta i piedi sulle tematiche dei diritti d’autore, quando gli autori, decidendo di digitalizzare le proprie cose – musica, visual, scritti – sono i primi, o meglio, dovrebbero essere i primi a sapere che la diffusione si fa solo a colpi di copia e incolla e, non me ne vogliano, non c’è soluzione al problema. E che la SIAE pensi di avviare un dibattito comprando pagine di quotidiani (cartacei) nel 2011 la dice lunga. Siamo proprio fuori strada. Ma dal web gli si vuole dare una mano, così Mantellini, su il Post, ha tentato una risposta ai 10 quesiti che la Società pone, la cui formulazione – sacrosanta – è però fuori luogo se si pensa alle contraddizioni insite nell’organizzazione formulante. Chi ama invece gli interventi un po’ cialtroni, e se leggete il mio blog so di sfondare porte aperte, trova qui i miei 5 centesimi di facezie sul tema.

dio li fa, la redazione li accoppia

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