c’è una tipa nuova in città

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Se fantasticate ancora al ricordo alla storia della cameriera che a trent’anni suonati e con un figlio dodicenne fa armi e bagagli dal New Jersey e si trasferisce a Phoenix, Arizona, cambiando radicalmente vita, ma poi non comprendete la scelta della maestra di vostra figlia che dalla Basilicata si è spostata per lavoro nella peggiore delle periferie nord di Milano senza nemmeno il tempo di imparare la lingua, c’è qualcosa che non va. Il sogno americano in salsa di pomodoro e mozzarella non vi piace? Saranno forse le strade che non sono certo quelle del coast to coast ma si pagano a suon di soldoni in tangenziale per poi rimanere imbottigliati alla barriera, con la gente comune che non sa di essere ripresa per la sigla di un telefilm di successo e cerca di fottervi il posto in coda e si sa, di questi tempi è meglio lasciare correre i soprusi automobilistici, non si sa mai chi ci sia alla guida. Per dire, qualche settimana fa ho assistito a una rissa qui sotto tra due contendenti alla pole position del traffico locale e, avvertendo le sirene della Polizia in arrivo, uno dei più cattivi si è premurato di darsela a gambe portando con sé un cannone da non so quanti millimetri che gli teneva compagnia nel cruscotto. La gente non sta bene. Ma non saranno nemmeno i TIR da superare in colonna uno via l’altro, più concilianti rispetto ai truck americani per l’effigie di Padre Pio che ostentano sulle aperture posteriori del rimorchio ma, anche qui, è tutta una questione di punti di vista. Se siete rimasti impressionati dagli inseguimenti di Duel, una certa iconografia dell’aldilà montata su colossi stradali (potenziali armi di distruzione di massa) non è altrettanto rassicurante. O sarà lo specifico delle autostrade italiane che vietano l’autostop e che ci mettono al riparo dal Rutger Hauer di turno che rovina la giornata a noi o, al contrario, è la nostra pazienza che va in tilt e che rovina la giornata degli altri in una kermesse di ordinaria follia per gli ingorghi, il caldo, il divorzio, il lavoro che non c’è più, le cavallette. Ma, a parte gli inconvenienti del viaggio, a partire dalla Reggio Calabria – Salerno, cambiare vita così come si fa negli Stati Uniti è una pratica piuttosto diffusa dalle nostre parti da almeno 70 anni e si chiama emigrazione interna, forse il fatto di spostarsi orizzontalmente anziché da nord a sud ha tutto un altro fascino e impone ben altra tipologia di narrazione. Strapparsi dalle radici per un posto da insegnante, come il caso che vi ho sottoposto prima, dividere un appartamento in affitto con qualche collega e trascorrere il tempo a cercare occasioni di viaggio per pagare il meno possibile il rientro al paesello di origine nei giorni di festa ha una prospettiva piuttosto differente, e raccontare una storia così al cinema probabilmente non interessa a nessuno.

l’invidia del Fallon

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Il Post, che è una gran bella invenzione soprattutto per l’intelligenza dei suoi commentatori, ha due grossi limiti: il marito renziano della presentatrice renziana del Grande Fratello che lo dirige e, talvolta, un certo modo un po’ provincialotto di presentare le cose degli altri, all’interno di articoli senza capo né coda su tematiche lasciate allo sbando ad autori un po’ meh. Non che io lo sappia far meglio, eh. Però, insomma, per scrivere sul Post secondo me occorre avere i numeri. Ieri per esempio ho letto questo articolo qui su Jimmy Fallon, e se gli avete dato un’occhiata possiamo permetterci un paio di riflessioni.

Delle tonnellate di entertainment televisivo in salsa talk e rotti che viene prodotto e trasmesso dalle reti USA, a noi che resistiamo solo con la tv pubblica e digitale ci arriva ben poco. Il Letterman in differita su RAI5 e una marea di link grazie al web, ai feed dell’informazione americana a cui siamo registrati, e ai rilanci dei nostri siti di news. Grazie a uno di questi canali ho conosciuto tempo fa Jimmy Fallon, presentatore comico attore ballerino cantante tuttofare di una serie di programmi della NBC che portano il suo nome e che fanno il pieno di spettatori da un bel po’ di anni. L’ho conosciuto per la forte connotazione musicale del suo show. Ci sono ottime esibizioni dal vivo, un po’ come da Letterman, ci sono i Roots in pianta stabile come orchestrina “resident”, ci sono intelligenti trovate di buon gusto come le cover eseguite con i veri interpreti del brano accompagnati da “classroom instruments”, gli strumenti musicali suonati dai Roots che si usano a scuola o, meglio, nelle scuole americane durante l’ora di musica, e considerate che qui da noi ci sarebbe solo un’orchestra di flauti dolci.

Ora, l’articolo in questione prende di mira lo showbiz a stelle e strisce che fa showbiz su se stesso partendo da Madonna che, in uno di questi siparietti di Fallon, canta “Holiday” nella riduzione per melodica, kazoo, glockenspiel e via dicendo. Non entro nel merito del senso dell’articolo perché – è un mio limite – non c’ho capito un cazzo. Ma, se posso permettermi, “la celebrazione della celebrità” e “la reiterazione di un meccanismo promozionale in cui l’oggetto della promozione sparisce” temo siano lo specifico della narrazione televisiva di programmi come questo, e il successo che ha sul pubblico – e non dobbiamo sottovalutare gli americani perché gli americani sono molti di più di quelli che possiamo immaginare – lo si deve proprio a un indotto che è costituito dalla fama delle star fuori contesto, applicata a ogni tematica specifica dei vari programmi. Quindi Madonna, ma anche Meghan Trainor o Mariah Carey o la cantante di Call Me Maybe messe a nudo su una base acustica e infantile. O Justin Timberlake coinvolto da Fallon a cantare e ballare la storia del rap in più puntate.

La morale della storia è che, in USA, con le mezze calzette non si va da nessuna parte, non è possibile attirare pubblicità, fare ascolti, guadagnare soldi e ricapitalizzare il capitale dell’industria musicale. Lo so che a noi sembra strano, se pensiamo che qui a tentare di mettere un po’ alla berlina i famosi ci sono solo i reality sulle isole esotiche, i balletti con le stelle, i programmi di Fiorello o le interviste un po’ azzimate di Fabio Fazio. Che poi sappiamo tutti quanto si faccia a gara a farli stare comodi, a non suscitare dubbi sulla lobby cui appartengono, a non rischiare di assottigliare il loro marketshare che, come sappiamo, in Italia è già risibile di per sé. Quindi accontentiamoci delle differite di Letterman e Fallon, di quello che purtroppo a noi non ci è toccato in sorteggio, qui dove gira che ti rigira vedi sempre le stesse facce – in tv alla radio al cinema e su Internet e anche su Il Post – celebrità di provincia nel consolidato ruolo di se stesse, e guai a metterlo in discussione.

chrüterchraft

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L’ottimismo esageratamente sopra le righe con cui i partecipanti alle call del venerdì pomeriggio si accomiatano gli uni dagli altri dovrebbe avere un nome tutto suo. Ma anche il senso di smarrimento individuale con cui il lunedì mattina ci apprestiamo a riconnettere i fili delle attività che ci consentono non solo gli entry level del sostentamento ma anche tutti quei surplus esistenziali a partire da passatempi come questo necessiterebbe di un modo esclusivo con cui essere definito. E non sono in pochi quelli che credono che la lingua tedesca sia la più appropriata per questo genere di cose. Solo con la lingua di Angela Merkel e soci si possono mettere in fila e più o meno a ritroso tutti i termini più appropriati per definire un concetto e dare vita a una chilometrica espressione che, anche se a pronunciarla o a scriverla ci vuole impegno, tuttavia è in grado di offrire grandi soddisfazioni alla filosofia, all’arte della narrazione e alla nostra soddisfazione di pensatori indipendenti e silenziosi, quando notiamo quello che abbiamo dentro e ci monta su la voglia di comunicarlo al prossimo ma, in italiano, ci perderemmo in dispersive locuzioni ed esempi poco calzanti. Così, cari germanisti, berlinesi e non, allievi del Goethe Institute o madrelingua tedeschi seguaci di questo blog, a voi l’arduo compito. Avete presente la pubblicità della Ricola? Ecco, da voi ci aspettiamo grandi cose.

canzoni stonate

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A quel bellimbusto del cantante gli direi che non accetto paternali, arringhe – al massimo aringhe che da quando le ho mangiate a colazione in Olanda è cambiato il mio approccio al risveglio – accuse e sollecitazioni alla rivolta, da nessuno e tanto meno da uno che non ha mai lavorato in vita sua. Ma chi si credono di essere questi lazzaroni che al massimo devono portarsi appresso un microfono e il libello con le loro poesiole scritte a penna mentre il resto della band si spezza la schiena con strumenti pesantissimi e amplificatori? Poi si mettono lì in posa a pontificare su questo e su quello e sotto i più fanatici che sbavano a raccogliere le emanazioni corporee. Che schifo. E che ingiustizia, soprattutto. Anche solo a sentirli predicare in italiano nelle loro composizioni ascoltate alla radio, sullo stereo o in cuffia, con quelle consonanti pronunciate fintamente come se fossero inglesi madrelingua che in confronto la dizione di Don Lurio o di Shel Shapiro è al livello di Vittorio Gassman. Per non parlare delle storie che cercano di comporre nei testi. Io proprio non le riesco a seguire. C’è davvero un capo e una coda? Un flusso narrativo? O sono parole messe solo per bellezza? In Italia le parole delle canzoni si chiamano anche liriche, una sorta di “falso amico” tradotto a cazzo dall’inglese, che nella nostra lingua capita a fagiolo perché gli autori delle canzoni possono far intendere che hanno scritto una cosa che sta a metà tra una poesia e un componimento di prosa, ognuno può intenderlo come vuole e loro possono al contempo esimersi da qualunque responsabilità. Ah ma mica sono un poeta, io. Ah ma mica sono un narratore. Sono solo canzonette, si diceva una volta. Quindi non chiedetemi un’esegesi delle corbellerie che mettete nelle vostre canzoni italiane perché proprio non ci arrivo, se poi non siete espliciti come Guccini o gente di quel calibro lì potete anche trovare qualcun altro. Io poi mi perdo a separare linee di basso, suoni di synth, zappate sulla chitarra e scomposizioni ritmiche per cui le parole proprio ciao. Non è il mio mestiere. Ecco perché ascolto musica cantata in inglese: la voce è solo un suono in più, non capisco una mazza, mi godo la beata ignoranza delle vibrazioni che percepisco, e al massimo ai concerti accompagno i miei brani preferiti con dei versi sperando di non avere intorno qualcuno che prende le cose sul serio.

a colpi di decine di migliaia di euro

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Ormai consolidato l’entusiasmo per la perfezione degli accessori di cui si dotano i tedeschi quando sono in viaggio o in campeggio, giacché probabilmente da loro la qualità made in China resta nei container fuori dalle dogane e dirottata sui paesi poveri, privi di gusto e di controlli fiscali e di qualità come il nostro, è facile cadere nella tentazione di misurarsi con le loro macro-strutture a partire dalle automobili, dai camper e dalle roulotte, cose che noi non potremmo permetterci nemmeno se provassimo a vivere due vite di lavoro e metter da parte i soldi così. Partiamo dal presupposto che è bene non farsi trarre in inganno da ciò che si rivela essere alla nostra portata. Ho notato per esempio una famigliola tedesca con degli ombrelloni mai visti nei negozi italiani, con il palo composto da elementi flessibili come quelli che formano il telaio delle tende, i tubicini con l’elastico dentro, per intenderci. Pensavo costassero chissà quanto, e invece si trovano a 8 euro per di più in un discount tipo quelli dove io non comprerei nemmeno il cibo per i gatti. Allora anche loro hanno la fuffa usa e getta, mi sono detto. Ma questa non è nemmeno l’eccezione che conferma la regola. I loro oggetti di qualità entry level sono comunque di fattura migliore del ciarpame con cui riempiamo le discariche ogni volta che si rompe qualcosa. Comunque questo induce a umanizzare il loro irragiungibile livello di civiltà, almeno fino a quando raccogli informazioni sul modello di Volkswagen mai visto in Italia che sarebbe perfetto per le esigenze tue e della tua famiglia, o sull’ingegnosa soluzione di carrello tenda da campeggio con apertura a portafoglio, lavabo e cucina integrati a scomparsa e sistema interno di soppalcatura per i letti. Bello questo sistema, chiedi, e quanto costa? La risposta ti riporta con i piedi per terra, peraltro sempre cordialissimi e col sorriso sulle labbra alla faccia di quelli che li ricordano solo mentre invadono la Polonia e mai per la loro superiorità morale. I tedeschi viaggiano su altri livelli che per noi restano remoti e irraggiungibili. Per questo bisogna imparare a chiedere informazioni soltanto a greci e spagnoli.

finale col botto

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La bomba sta per esplodere, e non è un messaggio in codice. Se ancora non ve ne foste accorti il conto alla rovescia è partito, non so dirvi come e quando ma il timer procede inesorabile verso l’ora x, e poi non avremo più scuse. Italiani contro italiani che a loro volta sono contro altri italiani, e tutti insieme a lagnarsi degli italiani. Gli italiani sono al governo, gli italiani sono cittadini che vivono tra elettori italiani e astenuti italiani. Tutti ce l’hanno con tutti, nessuno escluso. Ma chi l’ha votato quello lì, si sente chiedere continuamente. Gli italiani, rispondono italiani agli italiani che hanno rivolto la domanda. Poi un altro italiano chiosa che quello lì che è stato eletto è pure lui un italiano, che prima di essere un italiano ministro o parlamentare o presidente del consiglio è stato un italiano cittadino ed elettore, un italiano comune insomma. Allora gli italiani provocatori sono pronti a chiedere agli italiani so-tutto-io se è nato prima l’uovo o la gallina, ovvero se sono nati prima gli italiani ka$ta magna magna o gli italiani evasori totali? Ma chi ha votato gli italiani cittadini ladri in pectore elevandoli al ragno di italiani parlamentari magna magna? Questo o quello, che additiamo come esempio di italiano marcio spaghetti mafia mandolino, prima era come noi, con l’auto personale intestata all’azienda, con l’amico dell’amico dell’amico che IVA no grazie. Nessuno è sbarcato da Marte per conquistarci e imporci le sue nefandezze. Tutti italiani nati in Italia, nemmeno oriundi. Tutti a dare addosso a questi italiani e indicare altri italiani che, tempo qualche Expo o qualche consulenza o qualche grande opera, saranno italiani nuovi che si comporteranno come quelli da cui sono stati preceduti. Gli italiani che tifano contro gli italiani che giocano al pallone nelle competizioni mondiali e che stimano gli italiani che scelgono di non vivere più tra gli italiani, differenziando però quelli che si portano un po’ di Italia all’estero – da evitare come la peste a meno di non aver bisogno della loro ospitalità – da quelli che abiurano le loro origini e che poi, però, si rivolgono esclusivamente in inglese ai loro ex connazionali e se non hai studiato sono cazzi tuoi. Italiani giornalisti contro italiani nelle ONG, italiani che delocalizzano contro italiani che chiudono, italiani indignati contro italiani altrettanto indignati di italiani che se ne fottono della stima degli italiani tanto più dell’indignazione, che con l’indignazione non si mangia, non si sposta un voto e non si causa nemmeno un attacco di dissenteria all’italiano a capo del partito degli indignati, i secondi diciamo, quelli che si attirano l’indignazione di chi rivendica il pedigree dell’indignato doc. Un bel casino ma mettetevi comodi anzi state pure dove siete, che non dubito che non siate già spaparanzati sulla sdraio sotto l’ombrellone che ricorda le spiagge dei tropici. Rimanete lì a fare nulla ché tanto nulla si può fare perché siete italiani come me, parlatene di questo con il vostro vicino di fila, italiano come voi, leggete quello che scrivono gli italiani degli altri italiani sui giornali degli editori italiani magari senza nemmeno comprarli, gli scaffali dei supermercati traboccano di quotidiani intonsi con cui potete informarvi a scrocco, poi mettetevi in fila alle casse dietro un cittadino tedesco, in villeggiatura come voi, e osservate attentamente la spesa che si appresta a pagare e provate a chiedergli, in italiano che tanto ormai ci capiscono, vi piace venire in vacanza in Italia eh?

i sette pilastri dell’ignoranza

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Al settimo chilometro di corsa, sono circa le sette del mattino del giorno di ferragosto, mi taglia la strada un idiota vestito da Robin – sì, proprio il subalterno di Batman – che fa ingresso nel villaggio dei ricchi. Potete mettere la mano sul fuoco che né sono sotto doping, né dall’altro estremo della sopportazioni fisica ho le visioni per la fatica. Comunque il villaggio dei ricchi sta qui a fianco del mio campeggio, che io chiamo, come antitesi al villaggio dei ricchi, il campeggio dei tedeschi, quelli che ostentano giustamente la loro superioritá morale recandosi nei bagni comuni a piedi nudi. Giá due testimoni oculari assicurano di aver avvistato al villaggio dei ricchi Amadeus con il figlio, una di quelle dichiarazioni d’intenti altrui alle quali si potrebbe rispondere con una bestemmia senza intaccare il proprio punteggio utile per il passaggio nel regno dei cieli. Non a caso il fatto che in un posto così soggiorni uno che si chiama Amadeus – nomen omen – la dice tutta. La divinitá pop che permea un ambiente di eletti – almeno dal punto di vista dell’opulenza sprecata in posti come i villaggi dei ricchi – ed eleva il rango di un esercizio commerciale tanto da richiamare persino demiurghi del calibro degli eroi di Gotham City. Non si spiegherebbe il fenomeno soprannaturale del vento che spira dalla parte delle griglie a ferro e fuoco con i maialini sacrificali infilzati per il lungo – in barba a voi vegetariani questo campeggio potrebbe chiamarsi il villaggio dei dannati o, meglio, degli infedeli – e anziché portare emanazioni gassose di carbonella giunge la voce del sommo sacerdote, il solito animatore dall’accento smaccatamente toscano che ogni volta che lo sento mi verrebbe da dirgli che se avesse studiato anziché guardare i programmi su Italia 1 con Fiorello non farebbe quel mestiere lì. La sua voce urla che manca poco, e non so a cosa manca poco perché ora sono le dieci del mattino e la musica, al villaggio dei ricchi, pompa come se non ci fosse un domani. Manca poco a cosa? Sulla spiaggia del villaggio dei ricchi sta per fare la sua comparsa la coppia celebre, cioè non Amadeus e suo figlio ma i due altrettanto insopportabili e presuntuosi paladini della giustizia di Gotham City, o per lo meno due idioti vestiti come loro la mattina di ferragosto, nel sud della Sardegna, con più di trentacinque gradi e un’umiditá da sud est asiatico. C’è anche una postazione da dj radiofonici sulla spiaggia del villaggio dei ricchi in uno dei mari più belli d’Italia, una roba che sarebbe altro che da commissariamento europeo, a ridosso della quale ci sono persino sdraio e ombrelloni. Mi chiedo quale livello di ignoranza possa indurre a pagare fior di quattrini per farsi bombardare di decibel in vacanza in un posto così, quelle sdraio e ombrelloni proprio a fianco delle casse da cui si dirige il divertimento, solo per dire di aver soggiornato nello stesso posto di Amadeus e suo figlio, di un animatore dall’accento toscano e di due comparse stipendiate da un noto network di viaggi e turismo che ballano vestite da Batman e Robin. Penso così al numero sette perché qualcosa mi rammenta che ci devono essere sette livelli di ignoranza al mondo e tra questi, non saprei in quale posizione della classifica, si posiziona anche un tipo di vacanza così. Il sette è una specie di numero magico, no?

camerieri d’europa

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Il piombo come causa della caduta dell’Impero Romano, che è un po’ la madre di tutti i complotti, non è nulla in confronto a ciò che ha fiaccato il popolo italiano in alcuni anni cruciali della sua storia, ovvero il periodo a cavallo tra la fine degli anni 70 e i primi anni 80. Altro che terrorismo, gruppi neofascisti, legami tra stato e mafia, P2 o gladio e stragi di stato, Io che sono uno dei più importanti studiosi dell’argomento, mica cazzi, posso dimostrarvi che una delle cause principali che ci ha ridotto così va tutta identificata nelle hit parade e nelle classifiche dei dischi più venduti di allora. Non ci credete? Volete qualche esempio?

Nel 1978, nel pieno del caos, tra autonomia ed estrema sinistra da una parte e infiltrati neofascisti sparatutto, tra manifestazioni contro la repressione e Brigate Rosse al top in un tripudio di sampietrini e proiettili volanti, ecco che in Italia canti di protesta come Heidi di Elisabetta Viviani, UFO Robot interpretata dagli Actarus e altre pietre miliari come Tarzan lo fa di Nino Manfredi o Furia soldato di Mal fanno scendere Miss you dei Rolling Stones al 54esimo posto. Non ho dubbi che le canzoncine per bambini siano state importanti per la nostra crescita, ma che abbiamo venduto così tanto lo trovo inconcepibile.

Nel 1979 ci fu una sorta di apoteosi, una vera e propria escalation e io me lo ricordo bene. Senza tirare in ballo tutto il post punk che si stava producendo in Inghilterra, nell’anno di successi comunque dignitosissimi del calibro di Pop Muzik degli M, Don’t stop till you get enough di Michael Jackson, il celeberrimo Breakfast in America dei Supertramp o, per rimanere in Italia, un bel pezzo come Milano e Vincenzo di Alberto Fortis, tra i primi sei posti troviamo Tu sei l’unica donna per me di Alan Sorrenti, Soli di Adriano Celentano, Pensami di Julio IglesiasSuper superman di Miguel Bosè.

Il 1980, pur registrando alcune anomalie come Don’t stand so close to me dei Police al 20esimo posto e addirittura una sorprendente Many kisses dei Krisma al 23esimo, un’eccellenza della nostra canzone come La puntura di Pippo Franco viene prima di Could you be loved di Bob Marley, la futuristica Moscov discow dei Telex, Call me di Blondie e persino l’onnipresente Whatever you want degli Status Quo. In vetta c’è si Video killed the radio star dei The Buggles, ma ecco che al quinto posto la presenza di Remi (le sue avventure) dei I Ragazzi di Remi che stacca di sei posizioni Another brick in the wall dei Pink Floyd e di otto My Sharona dei The Knack ha dello straordinario e non ho dubbi che abbia dato il colpo di grazia alla chiusura del decennio.

E il 1981 non è stato da meno. La triplete Sarà perché ti amo dei Ricchi e Poveri, Gioca jouer di Claudio Cecchetto e Maledetta primavera di Loretta Goggi si piazza sopra Tunnel of love dei Dire Straits, mentre altri capolavori come Sharazan di Al Bano & Romina Power, Semplice di Gianni Togni, Malinconia di Riccardo Fogli, Cicale di Heather Parisi, Chi fermerà la musica dei Pooh e l’immancabile sigla Anna dai capelli rossi dei Ragazzi dai capelli rossi risultano più meritori di Every little thing she does is magic dei Police, la bellissima Per Elisa di Alice, un successone commerciale come In the air tonight di Phil Collins o (Just like) Starting over di John Lennon. E ancora Start me up dei Rolling Stones, in posizione numero 55, risulta più bassa in classifica di Ti rockerò ancora di Heather Parisi, Daniela di Christian e Cervo a primavera di Riccardo Cocciante.

Termino il mio futile excursus con il 1982, che con la vittoria dell’Italia ai mondiali ha chiuso un’epoca ma non ha, purtroppo, interrotto la produzione di musica di merda che, vi ricordo, è una componente fondamentale della nostra cultura e sono certo non ce ne libereremo mai. L’anno di Tardelli e di Zoff lo ricordiamo principalmente per Avrai di Claudio Baglioni e Il Ballo del qua qua di Romina Power rispettivamente al quinto e sesto posto, quando Da da da dei Trio è al 22esimo, Wordy rappinghood delle Tom Tom Club è al 34, More than this dei Roxy Music in posizione 77 e uno dei tormentoni dell’estate, Carbonara degli Spliff, 87esima.

Ecco, quest’ultimo pezzo sintetizza con il suo testo quello che abbiamo rappresentato per il resto del mondo in quegli anni, il paese dei limoni, le Brigade Rosse e la Mafia che cacciano sulla strada del sol (che poi chissà che cosa volevano dirci ‘sti tedeschi), la distruzione della lira e i gelati Motta con brio, persino tecco mecco con ragazza ecco la mamma de amore mio, un sentimento grandioso per Italia baciato da sole calda, ma borsellino e vuoto totale percio mangio sempre solo spaghetti carbonara e una Coca Cola. Vedete, prendevamo in giro i tedeschi per i sandali con i calzini e gli accostamenti alimentari, ma noi, con i gusti che abbiamo in fatto di musica, dove pensavamo di andare?

i 10 migliori modi per ammazzare il tempo quando ti resta l’auto in panne lungo un’autostrada tedesca

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1. La seconda cosa che rende evidente il fatto che proprio non ce la potremo mai fare (la prima era quando si diceva qualche giorno fa sui cartelloni pubblicitari lungo le nostre strade) è la densità abitativa che ci contraddistingue e la conseguente urbanizzazione e industrializzazione del nostro territorio ubicato in pianura.

2. Avete presente, vero, quegli spazi infiniti perfettamente suddivisi in differenti colture che fanno somigliare Germania e Francia, viste dall’alto, a una bizzarra trapunta patchwork o, percorsa in macchina, quella sensazione che non ci sia anima viva a perdita d’occhio e nel caso in cui vi si rompa la pompa della benzina mentre vi state godendo il panorama sulla strada delle vacanze trovare un meccanico il sabato prima di Pasqua conferisca un’aura miracolosa al tutto, facendolo somigliare più a un’epifania.

3. E proprio il fatto che si avveri una delle peggiori cose che il proprio immaginario considera tra gli accadimenti fatali più temuti – l’auto che ti si rompe lungo un’autostrada di un paese straniero per giunta non anglofono quando hai tappe e orari e soprattutto budget da rispettare – le ore trascorse protetto dal guardrail, in attesa del carro attrezzi dell’equivalente dell’ACI tedesco, ti consentono di valutare, nel paesaggio sconfinato che hai tutto il tempo di contemplare, il perché noi italiani abbiamo conciato il territorio così, anziché lasciare quell’impronta agricola da “Albero degli zoccoli” che ci avrebbe attirato sicuramente sentimenti più benevoli da parte degli automobilisti dell’Europa che conta di passaggio sulle nostre strade ma non in panne, perché certe Wolkswagen non si guastano. Mai.

4. Ma l’aver voluto emanciparci da proprietari terrieri e latifondisti per gettarci nelle braccia tentacolari di imprenditori dalla delocalizzazione facile in cambio di un bagno in comune sul piano di case di ringhiera al posto delle buche nei prati – l’impianto contadino antesignano delle fosse biologiche – è stato, oltre che illusorio dal punto di vista politico, anche deleterio sul piano dell’impatto idrogeologico. Il tutto per avere i soldi per poterci permettere le vacanze in posti come quello in cui mi sono trovato fermo a riflettere perché non ho i soldi per potermi permettere un’automobile a cui non si rompe la pompa della benzina nella sconfinata pianura tedesca.

5. Ma voi non invidiate un po’ quei terreni di pianura estrema con cavalli, mucche e pecore che pascolano lieti preparando il sacrificio del loro latte e delle loro carni a vantaggio della supremazia organolettica della mitteleuropa?

6. O le rare fattorie che punteggiano la campagna ordinata con mezzi agricoli altamente innovativi che costituiscono il tessuto economico del settore primario oltralpe e ne fanno uno dei loro punti di forza?

7. Insomma, agli italiani mettigli a disposizione una pianura e subito la riempiono in modo disordinato di capannoni industriali che poi, con la crisi, costano troppo a essere smantellati, e poi ripetitori, pali elettrici e un bel centro commerciale che non guasta mai. Nel migliore dei casi eh, perché all’hinterland milanese poteva andare peggio e ospitare tutta una bella discarica con vigneti e campi di pomodori utili solo a nasconderci sotto i rifiuti tossici della camorra.

8. Il tutto perché abbiamo questa cosa per cui sporcarci le mani di terra ci fa schifo, piegarci a coltivarla ci fa venire mal di schiena, percorrerla per controllare se non ci sono parassiti da debellare ci inzacchera le Todds di fango che poi non viene più via.

9. Ma poi arriva il carro attrezzi a interrompere i sogni di un’Italia civilizzata da francesi e tedeschi e mentre ti ritrovi nell’abitacolo del mezzo di soccorso con quella strana sensazione di essere inseguito da vicino dalla tua stessa macchina – non so se vi è mai successo ma vedere ricoverata la propria vettura anche se è un catorcio come la mia con destinazione ignota mette una certa tristezza – pensi che gente come quella a cui stai per versare un quarto dello stipendio per un intervento risolutore, loro hanno la fortuna di potersi prendere il meglio dell’Europa per undici mesi l’anno e il meglio dell’Italia, quella che spremono solo per ricavarne un concentrato turistico e culturale, per i trenta giorni di media l’anno che resta, in vacanza.

10. A noi nemmeno quello, perché andiamo in Toscana o in Sicilia e poi ci sentiamo derubati dai nostri stessi compatrioti e finiamo per trascorrere le ferie all’estero, con la consapevolezza che almeno i meccanici delle pianure tedesche non cercano di fregarti gonfiando il costo della loro manodopera.

beato il popolo che non ha bisogno dei cartelloni pubblicitari lungo le strade

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È una delle prime cose che si nota oltrepassando i confini italiani, almeno in direzione ovest, nord-ovest e nord, e probabilmente viceversa arrivando nel nostro paese da Francia, Svizzera e Austria, non so dall’est perché non ci sono mai andato. Facile supporre il giro di affari intorno ai cartelloni pubblicitari che, con una densità abitativa superiore a quella delle metropoli dell’estremo oriente, sottraggono agli automobilisti di passaggio la tetra vista dei capannoni industriali delle suburbie del nostro opulento settentrione, se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno. Se vogliamo vedere il lato negativo, rendono il nostro territorio ancora più una merda di quello che è. Strano, perché i paesi del piano di sopra stanno messi economicamente molto meglio di noi eppure non mettono a soqquadro senza nemmeno un minimo di linee guida grafiche gli spazi pubblici per spartirsi gli introiti. Anzi. Osservi le caratteristiche balle di fieno cilindriche riposare su immensi campi battuti dal vento e sentieri ordinati che tagliano le campagne appena al di là delle Alpi e pensi perché a Cinisello Balsamo non possa essere così. Perché è chiaro che con tutti quei supermercati e mostruosità iper-commerciali non ci sia altro mezzo per indurre chi percorre quelle strade nella tentazione di mettere la freccia e correre a digitare il pin del bancomat alla fila delle casse. I cartelloni pubblicitari sono inversamente proporzionali al nostro amore per il territorio e espressione del nostro gusto estetico, e meno male che siamo un popolo di artisti e poeti. Eccolo il genio italiano, il genio del male.