Ecco il primo estratto dal nuovo album dei The National, Trouble Will Find Me, in uscita il prossimo 21 maggio.
gruppi in cui vorrei suonare
the foals – my number
StandardUn nuovo estratto dal disco che sarà.
and her iPod started to melt
StandardMorrissey ha smentito di rimettere insieme la banda ma chi se ne importa, perché c’è gente come Johnny Marr che non sembra soffrire di nostalgia. E in questo tourbillon di ricorsività i gruppi che hanno copiato gli Smiths ora fanno altro e gli ex componenti degli Smiths si trovano a copiare i gruppi che hanno copiato gli Smiths che ora fanno altro e se arrivate in fondo e non vi gira la testa ecco il primo estratto dall’ellepi dell’ex chitarrista dell’ex quartetto di Manchester (in uscita però nel 2013) che, quarda un po’, sembra esserne la titletrack. Ah, l’ho letto su Pitchfork, neh.
robot da collezione
StandardHo pensato a tutto. I biglietti per il volo su E-dreams con Ryanair costano tredici euro a passeggero, che è davvero una sciocchezza. Con tredici euro andata e ritorno non vai nemmeno a Genova in treno, per dire. Basta solo scegliere la data che più è congeniale, perché invece i biglietti per il concerto costano 55 euro e, insomma, più di uno con i tempi che corrono si fa una certa fatica. Ma l’evento di sicuro merita un piccolo investimento. Certo non sarebbe stato per niente male vederli live al Moma, ma una trasferta a New York sarebbe stata più complicata. Invece Milano – Dusseldorf sono meno di due ore di viaggio. Che poi a Dusseldorf ci si può fare anche un giretto, ho letto su Wikipedia che c’è una delle vie per lo shopping più eleganti di tutta la Germania, non che mi interessi fare shopping, però magari anche voi siete fan dei Kraftwerk come me e vi serve qualche elemento per convincere qualcuno a seguirvi nella trasferta. Perché non è da tutti i giorni che un gruppo ormai attempato come il quartetto tedesco si metta a riproporre dal vivo i loro primi otto album della loro carriera. E già mi immagino come possa essere un concerto al museo Kunstsammlung, nella loro città natale, che già li avevo visti qui vicino a Milano qualche anno fa e mia hanno fatto una tenerezza che non vi dico. Quattro impiegati di mezza età, anzi, piuttosto anzianotti sul palco con i loro pc portatili e dietro un tripudio di ogni ben di dio di visual ed elettronica, vestiti con tute che nemmeno Tron. Comunque questo è il programma, scegliete l’album che vi pare e beneficiatene tutti. Io, se andrò, opterò per la serata dedicata a The Man Machine (inutile dire che ne ho una copia originale su vinile e in ottime condizione acquistata all’epoca), un po’ per via di uno dei miei loro brani preferiti che è Neon Lights, un po’ per la copertina che costituisce la sintesi – è proprio il caso di dirlo – estetica di quegli anni talmente post-moderni che, se ci pensate, devono ancora venire. Ah, dimenticavo, ecco le date dei concerti:
Freitag, 11. Januar 2013
1. Autobahn (1974)
Samstag, 12. Januar 2013
2. Radio-Aktivität (1975)
Sonntag, 13. Januar 2013
3. Trans Europa Express (1977)
Mittwoch, 16. Januar 2013
4. Die Mensch-Maschine (1978)
Donnerstag, 17. Januar 2013
5. Computerwelt (1981)
Freitag, 18. Januar 2013
6. Techno Pop (1986)
Samstag, 19. Januar 2013
7. The Mix (1991)
Sonntag, 20. Januar 2013
8. Tour de France (2003)
the foals – inhaler
StandardIl primo singolo del nuovo album dei Foals, che uscirà però il prossimo anno. Vabbè, io non ho fretta.
il primo giorno del mondo
StandardTra tanto pop emerso grazie alla laboriosa industria musicale italiana, che su quel fronte non si può certo dire sia mai stata con le mani in mano, anzi, stupisce il fatto che un gruppo come i Delta V non abbiano mai raggiunto vette di popolarità per le quali avevano tutte le carte in regola e qualcosina di più. Anzi, le ragioni di questo vanno forse proprio ricercate nell’eccessiva raffinatezza per i palati anestetizzati del pubblico di riferimento e di alcune anomalie alle quali il nostro mercato non era sicuramente pronto. Intanto l’assenza di una cantante fissa, ne hanno cambiate tre per cinque album. Poi il fatto di puntare spesso su cover come singolo radiofonico, un prodotto di elevata qualità ma dal ciclo di vita brevissimo perché poco rassicurante, lo sapete che rapporto di odio-amore hanno gli italiani con il loro passato. Tutto bello, ma meglio passare ad altro. Quindi il fatto di strizzare l’occhio al circuito underground, troppo “choosy” per mescolarsi con la semplicità armonica delle loro composizioni, e lungi da me qualsiasi accezione negativa di ciò. E so che in molti storcono il naso a sentire solo parlare di loro, mentre a me sono sempre piaciuti molto soprattutto per la componente elettronica, per la scelta dei pezzi da rivisitare – su tutti “Un’estate fa” in quella bellissima versione semi drum’n’bass – e per il gusto che hanno sempre dimostrato. Poi chissà cos’è successo, peraltro l’ultimo disco “Pioggia Rosso Acciaio” offriva numerosi spunti interessanti ma è passato praticamente inosservato. Non mi stupisco, visto il posto in cui abitiamo. Così, cari Bertotti e Ferri, da qui lanciamo un appello volto al vostro ricongiungimento. E, se devo scegliere una delle tre cantanti, insisterei su Lu Heredia, ma non me ne vogliano le altre due, entrambe superlative. Questa è una delle loro composizioni che preferisco. Sì, lo so, sono un po’ commerciali, ma non si vive di solo indie.
carisma e charisma
StandardQuando i gruppi si formano dovrebbero pensarci a non scegliere cantanti così, che poi decenni dopo le tribute band si trovano in grossa difficoltà a emularli.
iniziare qualcosa e non poterlo finire
StandardUn altro anniversario che ricorre in questi giorni del 2012 è il venticinquesimo della pubblicazione di “Strangeways, here we come”, il capitolo conclusivo di una delle esperienze musicali più significative della parte meno oscura degli anni ottanta. Dappertutto si è letto che si tratta del long playing più sofferto, funestato dall’aria di dismissione del gruppo, le tensioni interne, la pressione di scrivere canzoni migliori di quelle incluse negli album precedenti. Vi consiglio un illuminante articolo su Stereogum e la stessa pagina di Wikipedia che raccoglie una completa reportistica piuttosto agiografica del disco con il faccione di Richard Davalos in copertina, che quando lo comprai ero convinto che in realtà si trattasse di Elvis. E mi fa piacere leggere che sia Marr che Morrissey lo considerano il loro album preferito, perché tutto sommato è anche il mio. Non a caso, se mi dicessero di salvare un solo pezzo degli Smiths perché si stanno disintegrando tutti i supporti musicali fisici e virtuali del mondo è c’è spazio solo per una manciata di mega, sceglierei il pezzo qui sotto. E fermatemi se qualcun altro l’ha già detto prima.
untitled, ma quella vera
StandardDieci anni fa usciva “Turn on the bright lights”, il primo long playing degli Interpol nonché il primo vero segnale che tutto quel rimescolamento di piani curtisiani (perdonate il neologismo) che c’era in giro stava realmente portando a qualcosa di nuovo nell’aria, anzi di antico ma rivisto. C’era già stato qualche epigono qui e là dei gruppi che mi avevano accompagnato durante l’adolescenza e in alcuni casi la somiglianza era troppo smaccatamente derivativa. E nella maggior parte di quello che si legge in giro e delle opinioni poi consolidatesi nel tempo con la pubblicazione degli album successivi, non era solo il timbro di Paul Banks a fare il verso ai Joy Division ma c’era di più. Un giudizio tutto sommato superficiale e non perché piacciono a me. Gli Interpol, già solo per il fatto di essere newyorkesi, hanno quella patina un po’ ruvida e distorta addosso che agli inglesi – sarà per questione di accento – non riesce mai, e soprattutto nel loro primo lavoro che, come tutti gli esordi, è ad oggi considerato il loro disco migliore. Lessi la recensione non ricordo dove senza aver mai sentito nulla. Lo stesso giorno entrai al Libraccio di Via Vittorio Veneto e indovinate un po’ che pezzo stavano ascoltando lì dentro. Ero convinto si trattasse proprio dell’album di cui ero appena venuto a conoscenza e che mi aveva colpito per alcune parole chiave che potete immaginare. Il pezzo era il seguente, chiesi informazioni ed estrassi all’istante la carta di credito.
senza voce
StandardOgni tanto i gruppi te li piazzano nella tracklist del loro ultimo album e un po’ ti trovi spiazzato le prime volte perché non capisci il senso di inserire un brano senza la voce quando il cantante spesso è tutto in una band. Mi riferisco ai pezzi strumentali. A volte ti lasciano quel sapore agrodolce di un’esperienza interrotta, l’impressione è quella che manchi qualcosa o addirittura si tratti di riempitivi per completare lo spazio a disposizione soprattutto un tempo, quando era necessario riempire i solchi del vinile. Poi gli strumentali sono diventati vera materia prima per i campionatori e i produttori di musica elettronica e rap, si potevano sfruttare parti già pronte all’uso per digitalizzarle, scomporle e ricicciarle per nuove canzoni. Ma gli originali i gruppi poi non li suonavano nemmeno dal vivo, o magari li utilizzavano come sigla di apertura. Ce ne sono molti ed è un’impresa ricordarli tutti. A me piace molto questo “Someone up there likes you” dei Simple Minds tratto da “New gold dream”. Atmosfere da pioggia in macchina, con i finestrini chiusi naturalmente, un bel giro di basso di bordone e poi un cambio-refrain per riempirsi di beatitudine e crogiolarsi in malinconia ad libitum.