american sniper, houellebecq e altri incidenti

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Omar è un amico siriano che mi ha insegnato a scegliere le cose e i cibi autentici della sua cultura. Mi ha accompagnato in uno di quei market stipati di roba – alimentare e non – che poi una forza lavoro poco definibile cerca di smerciare nei punti più redditizi della città e l’ho visto con i miei occhi parlare arabo con uomini provenienti da regioni differenti del nordafrica e del medio oriente. Seguivamo il tg a casa sua all’ora di cena e apprezzava la mia superficiale interpretazione della questione palestinese presa da uno dei tanti romanzi sulla Resistenza che ho letto, la cui sintesi è che non è possibile mettere sullo stesso piano invasori e invasi. Sua moglie è italiana, si è convertita all’Islam e ha sfornato un numero di figlie anomalo per famiglie a cui siamo avvezzi, il tutto perché prima o poi uscisse un maschio. Qualcuno sostiene che Omar sia una specie di nobile nel suo paese di origine e che sia fuggito per questioni politiche. Gli hanno perquisito un paio di volte l’appartamento, dopo l’undici settembre, ma lui sostiene che l’abbiano fatto con molto garbo, per non spaventare le bambine piccole. Lo hanno avvertito, guarda che domattina veniamo a fare un sopralluogo, fatti trovare in casa ma se vuoi allontana la tua famiglia, mandali a fare un giro. Ogni volta che succede qualcosa come l’episodio di ieri al Charlie Hebdo ripenso a questi fatti che sembrano accaduti più di un secolo fa. E probabilmente lo sono. Oggi si può parlare in termini diversi perché se è vero che c’è Obama e gli USA hanno smaltito una parte del loro peccato originale di essere americani, è altresì indiscutibile che avere un nuovo radicalismo cieco e irriducibile a spasso per il continente ha ampiamente rotto il cazzo. Siamo tutti più poveri e meno propensi all’indulgenza, e anche se la ragione di tutto ciò è frutto di un complotto geo-politico, una strategia di un nuovo ordine mondiale, il petrolio il gas l’informazione pilotata le banche la CIA il Vaticano e le cavallette, di certo non c’è più tempo per andare all’origine della contesa tra invasori e invasi di cui sopra. Quindi senti i pochi reduci di una stagione morta e sepolta che additano American Sniper come il peggio di una cultura guerrafondaia ed esportatrice di violenza e usurpazioni, d’altronde è una storia vera e mi domando il buon Clint Eastwood che taglio avrebbe dovuto dare al film. Poi c’è il nuovo romanzo di Houellebecq dietro l’angolo che chissà che tiratura avrà dopo quello che è successo. Infine ci sono le persone di una certa età che da giovani difendevano i deboli e da vecchi, probabilmente per il fascino del potere o semplicemente perché per non sbarellare devono assicurarsi un ambiente tranquillo, un po’ come i vecchietti che a tavola esigono silenzio e mettono a tacere i nipoti che sbraitano, si mettono dalla parte dell’ordine e della civiltà come la intendono loro, e così tenere un’opinione moderata e progressista – in quel senso lì che ci siamo capiti – diventa sempre più difficile.

la suburbia ha dell’incredibile e nel fine settimana dà il meglio di sé

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La suburbia ha dell’incredibile e nel fine settimana dà il meglio di sé. A me capita di soffermarmi ad ascoltare gli abitanti di queste aree decentrate quando si riversano, nel tempo libero, nei luoghi più frequentati, perché a volte parlano dialetti meridionali così chiusi che non è immediato capire se sono italiani o no. Non solo adulti e anziani, ma anche ragazzi, ventenni e trentenni. Provo a indovinare da quale paese del nordafrica o da quale ex repubblica sovietica provengano, fino a quando un ascolto più attento – ai limiti dello stalking – me ne rivela l’origine. Che poi per me è un generico sud, non sono così colto da distinguere Campania, Calabria, Puglia o Sicilia.

Ma la sorpresa è indifferente alla parlata, nel senso che mi meraviglio di questo culto del dialetto anche tra persone che magari hanno anche un’istruzione di base e che magari vivono nei pressi di Milano da qualche anno, dove frequenteranno scuole o lavoreranno con colleghi nati qui, e mi chiedo come faranno a capirsi. Quelli che mi hanno indotto a questa riflessione stanno sostando insieme a me di fronte a una vetrina di una bigiotteria di un centro commerciale. Ho appuntamento con mia moglie, così ho il tempo di decriptare la loro crittografia orale e venire a capo di quel codice linguistico apparentemente primitivo. Cerco quindi di seguire i loro commenti circa una serie di articoli in vendita proprio nel negozio di fronte al quale ci troviamo sui quali non avevo mai fatto caso prima, a prova del fatto che certe cose si notano solo il sabato pomeriggio.

A catturare il plauso di quella coppia di giovani dall’idioma incomprensibile, un uomo e una donna sui venticinque, è una specie di kit da tamarro dei nostri tempi. Un collier con la scritta love come ciondolo, una coppia di orecchini con un vistoso pitone dorato, anelli con l’effigie del dollaro che imbarazzerebbero persino uno come Flavor Flav. E in effetti sembrerebbero tutti monili da rapper old school di serie B se non fossimo in Italia. Ma poi osservando meglio il pattern grafico sui leggings di lei a forma di teschio capisco di trovarmi proprio qui, nella culla dell’orrore estetico.

Provo anche a paragonare tutto ciò con il senso dell’orrido che vigeva ai miei tempi. C’era un negozietto al mio paesello che si chiamava “La pulce nell’orecchio” e che era una sorta di “Inferno e suicidio” dei poveracci della provincia, ma che tutto sommato aveva una sua dignità e pur vendendo cose piuttosto kitsch non raggiungeva lontanamente le vette agghiaccianti di ora. Ma il peggio deve ancora venire. Dentro vedo un ragazzone supermuscoloso con una canottiera di una squadra di boxe – non so se reale o immaginaria – insieme a una bellezza da Maria De Filippi con pantaloni così aderenti che spiegano la presenza di quell’energumeno a suo fianco. Più ostentano l’inclinazione all’accoppiamento e più necessitano di qualcuno sufficientemente prestante da allontanare gli attacchi degli esemplari in calore. In natura funziona così. In cambio della protezione c’è più possibilità di usufruire dell’esclusiva dell’offrirsi.

Per fortuna la coppia che è lì fuori con me si ricongiunge finalmente con la famigliola di cui era in attesa, qualche parente immigrato con cui hanno pensato di stemperare il ricongiungimento in quel tempio della sintesi socio-culturale. Ma non posso non provare tenerezza per la figlia, già con evidenti problemi di alimentazione in eccesso così piccola, avrà dieci anni come la mia. Magari i genitori cercano di stare attenti ma, dovendo trascorrere tutto il giorno al lavoro e lontano da lei, non possono tenere sotto controllo i nonni che non si fanno tanti problemi nel chiudere un occhio su un boccone in più. Mi immagino il nonno che di nascosto divide il lardo in mezzo al panino con la nipotina, ma solo per una reminiscenza personale.

La suburbia milanese ha un altro primato: è l’unica zona in Italia con un microclima tale per cui a marzo gli adolescenti maschi indossano già le bermuda. Mi viene in mente l’episodio dello stolido che ha contestato il sindaco Pisapia qualche giorno fa che si è presentato in pantaloncini corti di fronte a un’autorità. Ma in quel caso, oltre al qualunquismo del suo intervento, era già abbastanza sconvolgente il rivolgersi a un adulto dandogli del tu. Mi sono immaginato così i genitori di quel Salvini o Di Battista in miniatura, quelli che quando il figlio va male a scuola se la prendono con gli insegnanti con il loro italiano stentato da visioni televisive di massa.

Finalmente arriva mia moglie e, prima di allontanarmi, vedo l’insegna di un protagonista dei non luoghi commerciali della periferia che è uno dei tanti franchising di “Piazza Italia”, più volte alla ribalta per campagne pubblicitarie basate su alcuni aspetti dello squallore della nostra miseria culturale. Mi chiedo, e lo chiedo a voi, se non avrebbe avuto più successo chiamandosi direttamente “Pazza Italia”, quasi quasi provo a proporglielo.

gioventù sbruciacchiata per adulti scottati

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Per qualche ignota combinazione mi trovo al centro di una seconda o terza media in viaggio dagli outskirt verso quella grande mela in stato di decomposizione che è Milano, in piedi nel vano da cui si accede all’uscita del treno dei pendolari. Sfortunatamente si tratta di maschi e femmine ancora in quella fase in cui sono più bassi di me ma di poco, stretti a formare una calca per cui mi ritrovo a poca distanza dai loro cuoi capelluti. Ragazzini forse in visita alla mostra del cervello al museo di storia naturale per contemplare i vantaggi che ricaverebbero usando quello che gli è stato fornito da genitori come me. Questo nel migliore dei casi. Gli altri non staccheranno la loro attenzione da sé stessi e dai compagni, considerando la scala delle priorità tipica della fase di crescita in cui sembrano piombati come sopravvissuti a un naufragio.

Una ragazzina con metà testa rasata e l’altra metà coperta da una folta e lunga capigliatura sfoggia un vistoso anello alla narice destra e porge la metà del proprio auricolare a un’amica. Considerando che mi trovo in mezzo, si avvicinano tra loro mettendosi a commentare con un silente feeling espressivo a pochi centimetri dalle mie orecchie. Il display dello smartcoso da seicento euro di quella con la doppia pettinatura riporta autore e titolo, così leggo quel Fedez che con la sua cattiveria commerciale ha così tanta presa sui più piccini alle prime esperienze con l’autodeterminazione.

Faccio finta di niente malgrado inconsapevolmente le due abbiano ridotto lo spazio che mi consente di leggere il mio libro in piedi evitando che i fili delle mie, di cuffie, non si aggancino a qualche accessorio sporgente altrui. Sto ascoltando il nuovo album di M.I.A. e poco prima di essere tirato nel mezzo di quella condivisione di emozioni pre-adolescenziali mi ero distratto osservando un altro studente con loro di origini cingalesi, chiedendomi giusto se almeno lui a questo pop italiano al vago aroma di rap preferisca la cantante di origini tamil che risuona nel mio microimpianto hi-fi da passeggio, ma forse pretendo troppo considerando il suo look che trasmette una vita di stenti molto più ordinari.

Ma mi rendo conto ancora una volta che il mio criterio di valutazione consolidatosi nel secolo scorso ora non vale più. Prendete ad esempio questa qui davanti a me con il piercing al naso e la testa divisa a metà da due pettinature così antitetiche. Tanto spirito di emancipazione estetica per poi ascoltare un mediocre canzonettaro al soldo di una major come Fedez e per di più tamarro all’inverosimile. Fingere di tifare rivolta per poi assoggettarsi a MTV Italia. Ecco, questa cosa dell’hip hop all’italiana che è diventato il terreno di non-espressione dei giovani d’oggi, considerando che a breve ci sarà pure mia figlia lì con loro che di nascosto da me coltiva già quel genere di ascolti malgrado i modelli che le ho proposto costituisce l’avverarsi di una delle mie principali paure, seconda solo al rimanifestarsi di una dittatura militare dai connotati cileni. Che smacco per uno della mia generazione: dopo il post-punk, l’eroina, il no-future, dover avvertire queste oscure avvisaglie di omologazione proprio dal sangue del mio sangue.

A quel punto mi distrae lo scemo della classe, che avevo già identificato come tale perché tutto preso dai tentativi di conquistare un po’ di visibilità malgrado la sua pelle coperta dall’acne a colpi di cazzate sparate a voce alta, che alle mie spalle legge la pagina su cui è aperto il mio libro dimostrando ai compagni e tutti gli altri pendolari che non dev’essere una cima a scuola. Mia figlia leggeva così in prima elementare, giuro. Anzi meglio. Faccio per farglielo notare ma vengo anticipato da un sagace rimprovero dell’insegnante che nel frattempo si è fatta strada per avvisare i ragazzi di non scendere alla prossima, ma alla fermata successiva. Nessuno però ha riso né durante lo scherzo del libro né alla battuta della prof che comunque era troppo sottile per una generazione così deludente, e tra me penso a quante soddisfazioni mi sarei preso, io, ad avere in classe uno così idiota. Magari me lo ritroverò come infermiere quando avrò ottant’anni e la mia vita sarà nelle sue mani, una cosa che mi fa rabbrividire.

Quindi si aprono le porte e il mio viaggio è finito, per farmi passare le due ragazzine sono costrette a spezzare il filo fisico e metaforico che le unisce in quel discutibile ascolto comune ma non sembrano particolarmente dispiaciute. Lo scemo della classe approfitta del fiume di gente che se ne va per cantare una canzone che dice “mi piace la Nutella, Nutella-a-a”, e ancora una volta penso che se fossi un insegnante delle medie sarei profondamente frustrato, che già come genitore mi aspettano tempi bui.

vade feretro

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A me questa faccenda che se fosse capitata qualche giorno prima poteva essere tranquillamente una parodia di “Weekend con il morto” mi ha fatto riflettere innanzitutto sul perché, come sostiene anche Gramellini – notate che ho usato “anche”, scusate l’immodestia, ma vi giuro che ci avevo pensato pure io ieri – le cose dalle nostre parti assumono sempre contorni farseschi. Voglio dire, era abbastanza verosimile che sarebbe emerso il problema di una salma così scomoda. Ora, non dico che uno debba pensarci tutti i giorni, ma insomma sul fatto che prima o poi un centenario per di più boia e nazista avrebbe raggiunto tutte le sue vittime a sessanta e rotti anni di distanza si poteva anche essere proattivi. Magari non noi ma il suo avvocato o chi di competenza, così da sbarazzarsi delle esequie altrove e mettere tutti di fronte al fatto compiuto. Dopodiché posso anche capire che ci sia ancora gente del calibro di Carlo Vichi, il proprietario della Mivar, che mostra con naturalezza il busto del mascellone oggetto della sacrosanta e meritata ostensione retroversa a Piazzale Loreto, ma che nel 2013 siamo ancora qui a leggere dell’esistenza di nazisti pronti a partecipare al funerale di un boia assassino non so. Ma cosa hanno in testa queste persone? Perché nessuno gli ha voluto bene da piccoli? Per non parlare della cronaca degli eventi che ci ha fatto fare i conti anche con la presenza in Santa Romana Ecclesia di personale investito di responsabilità officiante auto-definitosi lefebvriano. Perché il buon Francesco non tira su la cornetta e fa una telefonata anche a questi per fare il punto sul senso della loro presenza nel disegno divino? Ma se proprio uno vuol essere costruttivo e non criticare e basta, ecco la mia soluzione sul cadavere scomodo: gettarlo in discarica e tanti saluti. Con tutto il rispetto per le discariche.

graziani, quello senza pulici e in camicia nera

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È accaduto il mese scorso. Ad Affile, piccolo comune a est di Roma, la giunta di «centrodestra» – chissà quando ci libereremo di quest’eufemismo! – ha inaugurato un sacrario dedicato a Rodolfo Graziani (1882 – 1955). Graziani – che è sepolto nel locale cimitero – fu governatore della Cirenaica durante la «riconquista» fascista della Libia (1930-’31), comandante del fronte sud durante l’invasione dell’Etiopia (1935-36), viceré d’Etiopia nel biennio 1936-1937 e comandante delle forze armate della Repubblica di Salò durante la guerra civile del 1943-45.

Da “Affile, Grazianilandia. L’eredità razzista e il mausoleo delle sfighe”, di Wu Ming

la dismissione

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Qui non c’è un impianto industriale da rimuovere pezzo per pezzo e da portare in oriente, c’è solo un capitale intellettuale e professionale che fattori diversi stanno smantellando ma che non verrà ricostruito altrove con le stesse macchine, bensì con apparati e competenze anche meno convenienti di quelle che si trovavano qui. Vaglielo spiegare tu a ‘sti colossi delle multinazionali che mandare il loro personale in Italia dalla loro sede centrale per fare un lavoro da tradurre poi in inglese per poi ritradurlo in italiano costa molto di più che farlo direttamente in italiano con un’agenzia esterna che peraltro conosce meglio le tecnologie, i clienti per non dire il territorio e il mercato in cui la multinazionale opera da quindici anni. Così mentre mi sforzo di non mettere il mio valore aggiunto in un lavoro fatto da altri e che fino a l’anno scorso svolgevo io con un livello di professionalità e di qualità che vi sfido a eguagliare, ripenso a Vincenzo Buonocore, l’operaio che rilegge la sua vita nei brandelli di macchinari che va smontando per l’acquirente cinese nel libro di Ermanno Rea. Pezzo per pezzo, nel mio caso riga per riga, una vita di sforzi per limitare le ripetizioni e refusi nel racconto del lavoro degli altri, pensando che presto sarà un lavoro di altri anche questo.

vicini ma irraggiungibili

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Pochi cantanti non sopporto come Lucio Battisti. Forse Zucchero ma la lotta è dura. Vuoi la supponenza con cui siamo abituati a vederlo pervaso, in bianco e nero con il dolcevita o il foulard al collo nei programmi d’epoca. Vuoi la diffusione capillare delle canzoni del sole, quei fucking tre accordi zappati sulle corde della chitarra che so fare anche io. Vuoi la presenza forzata nel repertorio di qualsiasi musicista da pianobar – e io lo nacqui – che al momento di arringare alla folla le sue rime trite e ritrite erano le uniche conosciute da cani e porci – con il dovuto rispetto, eh – e quindi la scaletta non poteva esimersi dal comprenderlo in lungo e in largo. E infine la svolta intellettuale post-mogol che boh, voglio dire se ho bisogno di ermetismo fine a se stesso al limite ripiego su altro, Battiato è il primo che mi viene in mente. Quello che non reggo poi è la sovraesposizione estiva nei palinsesti televisivi pubblici, quando c’è da coprire un buco o da tirare tardi e non ci sono idee né risorse per programmi nuovi ecco che dal nulla parte questo o quel presentatore che lascia il microfono e la scena a momenti claustrofobici come quello sotto, che già farebbe venire caldo in macchina al freddo di novembre mentre torni a casa con la nebbia e il riscaldamento che nella centoventisette a malapena era stato inventato e una sbornia triste dopo che la fidanzata ti ha lasciato. Figurati con gli anticicloni africani in casa e le vacanze ancora da fare. Che poi ti rimane in testa tutto il giorno.

pesci piccoli e pesci piccoli

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Che non è detto che siano meno dannosi dei pesci grossi, e vi giuro che mentre la concomitanza dell’altro post un po’ me l’ero preparata prima, questa è una pura combinazione anche se la notizia è di qualche giorno fa ma sarebbe stata perfetta per il primo di aprile, e io ne sono venuto a conoscenza solo oggi. Succede che dalle mie parti una pescheria puzzasse di evasione totale lontano un miglio, tanto che le Fiamme Gialle dopo un controllo hanno rilevato oltre 700 mila euro di introiti non dichiarati al fisco e circa 80 mila euro di Iva non versati all’erario. E a dimostrazione delle sue manchevolezze con l’Agenzia delle entrate, il commerciante aveva ottenuto pure un appartamento di edilizia agevolata a canoni ridotti, beffando quindi anche una famiglia realmente bisognosa. C’è da chiedersi perché il reato, che risulta esser stato perpetrato con continuità dal 2007, non sia mai stato accertato prima. Di certo non si può dire che il tema della gravità dell’evasione non sia salito di priorità negli ultimi tempi. Sarà cambiato davvero qualcosa?

coda allegra

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Questo pomeriggio, lungo la via che costeggia il porto di Savona in cui è ormeggiata la Costa Allegra per le operazioni di riparazione dopo l’incendio dello scorso febbraio, c’era la coda di auto ferme con le quattro frecce – in quel punto della litoranea non c’è nemmeno lo spazio per una sosta di emergenza – a fotografare la nave. Io ho preferito non fermarmi per fotografare la coda di auto ferme a fare le foto, ma se siete passati di lì spero vi siate goduti lo spettacolo di quelli che immortalavano uno spettacolo che non c’era.

passare in vantaggio competitivo

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Certo che, una partita iva dopo l’altra, le aziende possono scalare la classifica del loro mercato e raggiungere il primato tagliando tutti i costi del lavoro per il profitto. Che poi uno gli dice che va bene, posso anche considerare di trasformarmi in un libero professionista a patto che io sia libero veramente, libero di scegliere come e quando e dove lavorare e con la flessibilità di orari che dico io, avere più clienti contemporaneamente perché altrimenti a che serve la partita iva. E poi è questo il bello del procedere a obiettivi, no? Eh, apriti cielo. In campo occupazionale, nessuno è arbitro del proprio destino. Ma non si può pretendere che uno faccia parte di una squadra in esclusiva quando l’esclusiva non è biunivoca, le sostituzioni prima della fine della partita fanno parte addirittura della strategia di gioco.