ti dico di si

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Ho deciso che voterò SI al referendum sul taglio dei parlamentari. Sono un convinto sostenitore del NO, credo che la democrazia sia una macchina complessa e che una riduzione delle sue componenti porterebbe inevitabilmente a una semplificazione. Ma la semplificazione è l’anticamera del totalitarismo. Poche persone fanno in fretta a decidersi ma possono anche dimostrare modi sbrigativi. Per dire, liberarsi di Matteotti è stato un gesto sbrigativo. Con tante persone si fa più fatica e magari costa anche di più, però c’è una maggiore probabilità di considerare le istanze di tutti, in questa folle ma preziosa democrazia rappresentativa. E se costa di più, sono comunque soldi ben spesi. Sta a noi cittadini cogliere questa complessità e, se non abbiamo i mezzi per capire (io per primo non li ho) occorre trovare qualcuno più capace di noi nel far funzionare la macchina. Io, per dire, ho scelto il PD, anche se mi considero di estrema sinistra. Sono sicuro di non essere capace a fare di meglio di Zingaretti o di Conte, per dire. Quindi mi rimetto alla loro esperienza.

Ma allora perché voto SI? Perché questo referendum si è trasformato in una scelta di campo politica. Il referendum è stato voluto dai grillisti, che sono la peggiore iattura capitata al nostro paese nel secondo dopoguerra, una tacca sotto a Renzi – in gravità – ma una tacca sopra Berlusconi. Contro il PD di Zingaretti è in corso un tiro al piccione da destra e da sinistra. Il PD di Zingaretti, che a partire da Zingaretti stesso voterebbe in disinvoltura NO, è costretto a votare SI per non destabilizzare l’alleanza con i grillisti. In caso di vittoria del NO i grillisti addosserebbero al PD di Zingaretti la responsabilità del fallimento del referendum e di uno dei principali obiettivi del loro programma. Il governo si indebolirebbe, come se non bastassero le batoste che PD e grillisti prenderanno alle amministrative. La lega dice di votare NO per far cadere il governo. Zingaretti dice di votare SI, e io voto SI. Il Partito, prima di tutto, ma poi anche il paese.

L’attuale legislatura, imperfetta ma che comunque ci sta portando a riva in questo momento storico che ha dell’incredibile, cadrebbe lasciando il posto a un governo tecnico (sulla cui efficacia non nutro dubbi) ma che, alle prossime politiche, aprirebbe le porte a una maggioranza schiacciante di destra. Mi sono immaginato così i miliardi del Recovery Fund in mano ai commercialisti della lega e agli squadristi della Meloni. Ho pensato che un compromesso val bene la democrazia. Sono certo che un taglio dei parlamentari, comunque con la supervisione del PD, è il minore dei mali.

non capisco perché se uno invecchia tutto il resto del mondo non debba invecchiare con lui

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Non capisco perché se uno invecchia tutto il resto del mondo non debba invecchiare con lui. Ve l’immaginate? Le case abbandonate con i tetti che crollano, i vetri spaccati e dentro qualche animale selvatico che si ripara dal freddo o, in città, gli sbandati che si sistemano con cartoni e sacchi della spazzatura un posto per dormire. Tutti gli impianti e le infrastrutture che si guastano e nessuno le aggiusta più perché chiudono le fabbriche dei pezzi di ricambio – la manodopera va in blocco in pensione – e gli stessi manutentori si ritirano nei loro garage a dedicarsi al fai da te. Le auto come a L’Avana che rimangono degli anni 50 anche se in teoria dovrebbero sfrecciarti intorno gli ultimi ritrovati della tecnologia. Se tutto invecchia con te diciamo anche basta al progresso. Basta ai vecchi che non sanno adeguarsi alle novità perché le novità sono quelle di quando eri ancora sulla cresta dell’onda tu, quindi basta figure di merda con quei boriosi adolescenti che ti prendono in giro perché non capisci il loro mondo smart. Con la tua vecchiaia tutto diventa decrepito, fa fatica a muoversi, non importa l’estetica perché tanto anche se importasse avresti la vista dei vecchi che ci vedono male, la cataratta, quindi meglio così. Intorno solo anziani, uomini e donne che anche se hanno cinquant’anni in meno di te accelerano il loro deterioramento mentale e fisico per raggiungerti, una cortesia d’altri tempi che ti lascia sbalordito. Ma non va così. Seduti da soli nel parco finché c’è un barlume di sole con indosso un abbigliamento inadeguato in eccesso per una stagione di mezzo osserviamo cose e persone sprecare la loro esuberanza a sbracciarsi in attività di cui già sappiamo a menadito l’irrisoria valenza ai fini del computo costi-benefici esistenziali. Come contorno la solita natura verdastra punteggiata di germogli, madri che redarguiscono esseri che a malapena stanno in piedi, palle di gomma che rotolano e altre che centrano tondi in ferro battuto con retine appese. C’è persino un fontanile secco undici mesi l’anno che ha pensato bene di gonfiarsi di acqua proprio mentre siamo lì che facciamo fatica ad alzarci con il bastone e rientrare in un appartamento vuoto. Passa un uomo sulla cinquantina di corsa, rallenta e senza chiedergli nulla ci dà una mano a riconquistare la posizione eretta.

se vi occorre dello spleen ne ho a pacchi giù in garage, fatemi solo controllare la data di scadenza

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Come avrete capito questo è un blog depresso. Seduto davanti al portatile con due dita (in orizzontale) di cognac nel bicchiere e mi manca solo la siga accesa all’angolo della bocca e il posacenere stracolmo di mozziconi che impuzzano l’ambiente ho la conferma che quello dello scrittore di grido – mi si perdoni la presunzione – è uno dei pochi mestieri in cui ci si può permettere di guardare le cose dall’alto dell’incapacità di adeguamento al mondo reale. Cercavo un emoji o una faccina qualunque anche fatta con caratteri ASCII per dare un’espressione scritta al disprezzo, che sta all’inquietudine come i vizi stanno all’ozio. Ma che ci posso fare. Sono gentile, garbato, educato, do persino del lei alle persone con cui non ho confidenza. Sono paziente e modesto, come vedete. Mi chino quando mi raccontate ma è perché sono sordo e nove volte su dieci siete più bassi di me, ma so che apprezzate perché è una postura che viene vissuta come di slancio verso il prossimo. Sono il re delle cortesie agli altri, soprattutto ai potenti, e il principe della pazienza, questo devo ammettere con i più deboli. E tutto perché mi è toccato un volto solare, simpatico, il che è paradossale per il tenutario di un blog depresso. Un viso di quelli che mi vedi e ti viene voglia di raccontarmi tutto. Questo però è un problema perché alla fine a me nessuno chiede mai nulla quindi finisce che sto lì ad ascoltare senza possibilità di replica o magari, quando viene il mio turno o l’interlocutore porta alle labbra il suo di cicchetto di cognac per bere finisce che mi sono dimenticato che cosa volevo dire, quindi siamo daccapo. Questa mia proverbiale seraficità mi impone di disprezzare il prossimo appunto sui socialcosi e poi, sfogata l’invidia perché quasi sempre si tratta di invidia ecco che torno qui ancora con il cognac e ancora senza siga a dare una descrizione appropriata al disagio esistenziale frutto della mia natura sensibile. Poi cerco sul web come facessero cento anni fa i nostri antenati a far convivere lavoro nei campi con lo spleen, vacche da mungere a meno dieci gradi nella bassa con lo spleen, a curare malattie che noi umani non possiamo nemmeno immaginare con lo spleen e il problema è antico quanto gli studi di psicanalisi. Si guarda al peggio, si finisce il cognac, si spegne la candela, si dice buonasera. Ecco, se però un giorno tornate qui e al posto della scritta “da grande voglio fare lo scrittore americano” trovate “questo è un blog depresso”, come ho già scritto in un commento qualche giorno fa, andate sotto nei commenti e per favore scrivetemi che ho fatto bene.

non ci sentiamo spesso e quando la chiamo sta per iniziare un nuovo episodio di “Un posto al sole”

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Non ci sentiamo spesso e quando la chiamo sta per iniziare un nuovo episodio di “Un posto al sole”, che credo segua dalla primissima puntata. Non lo faccio apposta ma finisce che telefono sempre alla stessa ora, a meno che la più longeva delle fiction italiane non abbia contratto il morbo della “Signora in giallo”. Provate ad accendere la tv a qualunque ora in un giorno qualsiasi e state pur certi che almeno su un canale ne stanno trasmettendo una replica. Ma nel mio caso si tratta di una coincidenza: è il momento in cui abbiamo smesso di cenare e mia moglie mi ricorda di sentire mia mamma perché anche questa volta è da tanto che non abbiamo più sue notizie, dove con da tanto si intende sempre e comunque meno di una settimana. Ho amiche mie coetanee che sentono i genitori ogni sera e vi assicuro che non si tratta di una precauzione per avere la certezza che va tutto bene. La frequenza è comune anche a chi ha papà e mamma tutto sommato giovani, è una questione di attaccamento. Probabilmente non sono così affezionato? Volete scherzare? Non voglio bene a mia mamma? No amici, siete fuori strada. La vita a una certa età e dopo certe cose che ti succedono, come rimanere vedova, non riserva troppe sorprese e l’opinione comune vede questo scorrimento rassicurante come un ottimo segnale. Così si ripete ogni volta lo stesso standard di comunicazione. La salute reciproca, i voti della nipotina, l’autunno che sembra primavera, i colori che finalmente si vedono perché per quest’anno niente pioggia e alluvioni, la zia ultranovantenne alla casa di riposo, e qualche altro aggiornamento che va a ricalcare fedelmente la telefonata della settimana prima, che era già stata come quella della settimana precedente e via così. Cosa ci dovremmo dire mia mamma ed io? Anche se parliamo al telefono la vedo seduta sulla stessa poltrona in pelle coperta da teli di risulta mentre davanti scorre la sigla di “Un posto al sole”, la conoscete vero? Poi squilla il telefono e lei sa che sono io e probabilmente se non fosse per me non risponderebbe ma richiamerebbe poi dopo al termine dell’episodio. Ovvio chiedersi, a questo punto, se quello che ci aspetta è proprio questo sedersi a vedere la vita che si rincorre quando le aspettative sono al minimo. Non c’è più suo marito, non ci sono più i figli, tanto meno i nipoti, non accetta di trasferirsi con qualcuno di loro. Per questo non rischio di telefonare ogni giorno, mi scapperebbe di raccontare qualcosa di più e ho paura che non ci sarebbe nessuno a raccogliere le mie considerazioni dall’altra parte, troppo fuori a uno schema ormai consolidato ed estremamente rassicurante.

il senso di qualcuno che so io per la neve

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Le cose dovrebbero essere come dovrebbero essere, a partire dagli inverni. L’inverno è quello delle illustrazioni dove ci sono intere civiltà barricate in casa con il camino acceso perché fuori si gela. Ve lo dice uno che viene da un posto in cui il riscaldamento lo usi un mese l’anno, un po’ perché c’è il clima mite e un po’ perché lì la gente ha la fama di avere il braccino corto. Chissà chi ha ragione. Ma chi viene al nord e spera finalmente di trovare il grande freddo ma non nel senso del film rimane a bocca asciutta, senza le labbra screpolate. Quando salgo in macchina, che oggettivamente è uno dei pochi posti in cui ci capita a colpo d’occhio un dato certo dei gradi che ci sono fuori, spero sempre di vedere un valore negativo perché è lì che un termometro in inverno al nord dovrebbe posizionarsi. Viaggio di notte, il punto estremo dell’escursione termica del clima padano che è più continentale di quello della Liguria, e prego che la temperatura scenda sotto lo zero e che nevichi perché è così che dovrebbe essere. Ma al massimo, anzi, al minimo ci sono cinque o sei gradi, c’è stato un paio d’anni fa un fenomeno record – ricordo un meno dieci – ma è durato poco e poi via con questo eterno autunno che proprio non mi va giù. Ho provato invece l’ebbrezza del freddo sulle Dolomiti e per la prima volta nella mia vita ho vissuto un meno quindici, almeno così diceva la macchina. Ecco, se mi chiedessero di trasferirmi per lavoro a Bolzano andrei di corsa. A Milano no perché fa caldo, senza contare che ci vivo già. Ieri mattina per dire ci siamo svegliati sommersi dalla nebbia e allora ero tutto contento e sono andato persino al lavoro con il loden blu per attenermi al più rigoroso situazionismo padano, ma poi alle nove sembrava di essere di nuovo in primavera. Io vorrei invece che venisse giù tanta di quella neve da bloccare tutto, come succede nei film girati nel nord degli Stati Uniti. La tempesta di ghiaccio. E pensare che la neve mi fa paura. Se sto guidando vado nel panico e mi fermerei subito a mettere le catene, se solo fossi capace. Una volta ho trascorso persino un weekend in montagna con Elisa, ci aveva prestato la seconda casa un’amica comune, ma siccome nella notte aveva nevicato ed ero con la macchina di mio papà sono andato in ansia e ho rovinato tutto. Mi sono comportato da ignorante, perché nelle località turistiche come quella appena scendono due fiocchi partono subito gli spazzaneve e gli spargisale e le strade le liberano subito. Colpa mia che faccio casino, riesco persino a confondere l’estate di San Martino – quella che è tornata proprio ieri – con i giorni della merla.

la vita nelle copertine dei libri

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Se avete abituato i vostri pargoli a leggere libri sin dalla tenera età avrete senz’altro osservato come l’editoria per ragazzi cambi e segua la loro crescita cercando di soddisfarne man mano il gusto, per ovvi scopi di marketing ma non è un aspetto che ci offende più di tanto, a noi puristi della letteratura. Anzi, devo ammettere che le pubblicazioni per le età dai zero a sedici anni tutto sommato sono le più curate, da un mero punto di vista estetico. Motivato come tutti voi a esercitare il diritto di selezione all’ingresso, tuttavia non ho controllato tutto quanto mia figlia ha chiesto di leggere e anzi, negli ultimi anni ho incautamente abbassato la guardia sui contenuti, consentendole maggiore autonomia sulla scelta dei titoli.

Ma, ancora oggi, quando entro in una libreria o mi reco in biblioteca provo un po’ di invidia per la cura con cui si attira l’attenzione dei ragazzi mentre, a noi adulti e vaccinati, si riserva un trattamento standard basato – giustamente – su autori, titoli, copertina e fascetta con endorsement più o meno altisonante per indurci alla scelta. Il punto è proprio questo: la capacità di attrattiva dei libri è inversamente proporzionale all’età a cui sono rivolti, non sembra anche a voi? Questa parabola la possiamo osservare nelle nostre case, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. I nostri figli crescono e le letture si fanno sempre meno colorate e illustrate, questo perché ci saranno studi che provano che più si diventa grandi e più si amano le righe fitte e le edizioni tradizionali, anche perché sarebbe impensabile impaginare un qualsiasi romanzo come un testo qualunque per la pre-adolescenza a meno che non sia pensato in fase di stesura proprio così. Ma ve lo immaginate un Jonathan Franzen che farcisce le sue Correzioni con illustrazioni, iniziali miniate, caratteri a fumetti?

Ecco: nel giro di poco tempo mia figlia ha compiuto proprio questo giro di boa. Prima ha portato a casa dalla biblioteca della scuola qualche testo per le vacanze che, impilato di costa sullo scaffale, si confonde tranquillamente con la narrativa che mia moglie ed io abbiamo scelto da portare in ferie. Stessa altezza, stesso spessore, stessi colori. Dove sono finiti quegli album alti e così pieni di fascino che veniva voglia anche a noi genitori di immergerci nelle storie in essi contenuti? Sembra che tutto, in questa società, sia volutamente indotto a convergere verso un’estetica e un’etica seriosa perché, probabilmente, al netto di tutte le stupidaggini della fanciullezza, nella vita c’è ben poco da scherzare. Oggi poi ho ricevuto dal servizio abbonamenti della Mondadori un’offerta per confermare l’iscrizione a Focus Junior, rivista che mia figlia legge da qualche anno. Mi sono trattenuto dall’acquisto dell’abbonamento per il 2016 perché ho pensato che, sull’onda di tutti i cambiamenti a cui stiamo assistendo, era meglio chiedere prima le sue intenzioni. Provate a indovinare qual è stata la risposta. Un altro pezzo di storia che se ne va, un nuovo capitolo che inizia, nuovi interessi che si fanno spazio nel carattere di una persona che cambia di giorno in giorno.

corsi di laurea dell’università della strada, sessione estiva

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La focacceria, l’all-you-can-eat cinogiappo, il baretto all’angolo, il kebabbaro, la piadineria, i piatti pronti dell’Esselunga, l’altro bar di fronte, il nuovo posto che fa gli hamburger. Undici mesi di nutrizione approssimativa si vedono tutti sotto la maglietta di Batman mentre si vaga nel quartiere vuoto alla ricerca di qualcosa di aperto. Si notano perché il dodicesimo mese, che è agosto, c’è poco di interessante da fare e da vedere rimanendo in città, allo stesso modo in cui i telegiornali si allineano al mood che Studio Aperto invece segue tutto l’anno. I colleghi salutisti che principalmente si portano il cibo da casa si riconoscono anche parzialmente dalla forma fisica e sono loro i primi ad accusare un sistema economico che si interrompe per troppi giorni e così spesso, in occasione delle ferie estive e delle vacanze di Natale, come elemento che ci differenzia dai paesi del nord. Poi ci sono i figli che seguono le mamme al lavoro per non restare a casa da soli e, seduti alle postazioni libere a giocare con il pc, si distinguono a malapena dai colleghi più giovani che indossano bermuda e magliette in ufficio. Le porte chiuse celano invece gli amanti delle temperature estreme che mandano al massimo i condizionatori come pratica di mortificazione corporale. Ci sono compiti fondamentali da svolgere. Il back-up della posta, la pulizia del desktop, la copia sul server dei lavori, pratiche che sono la versione LinkedIn di bere molta acqua, non uscire nelle ore calde, consumare cibi leggeri. Ci si saluta tutti come se non ci si dovesse più vedere per anni, d’altronde è il minimo in un ambiente lavorativo in cui ci sono colleghe che, al rientro dal weekend, quello per il quale si sono augurate reciprocamente “buon uik” non più di 48 ore prima, si abbracciano come se fossero trascorsi decenni. In queste dinamiche quelli che non amano le smancerie scappano al volo l’ultimo giorno fingendo un treno da prendere o un aereo che si sta per perdere per evitare l’appuntamento annuale dei baci sulla guancia a persone che, per il resto del tempo, schifano nemmeno fossero infette da malattie contagiose. Anche il tempo perso dà un senso di perdita differente perché tanto, se è vero che si ferma l’economia, la pennichella in più non aumenta certo il debito pubblico. Poi arriva il punto più nero, il segnale che più in basso di così non si può scendere: persino la portinaia va in vacanza e il palazzo resta sempre chiuso, a sottolineare chi occupa veramente il piano terra della società contemporanea.

visto da qui è tutta un’altra cosa

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Certe lenti da presbiopia senile sono utili anche quando si ha difficoltà nel leggere da vicino la nostalgia ancestrale negli occhi delle persone, quel sentimento di rimpianto verso la confort zone per eccellenza che è il guscio della propria famiglia d’origine. Si tratta della storia a cerchi concentrici come nelle sequoie di una vita intera, impressa però con un carattere piccolissimo nell’iride di ognuno di noi e ammetto che se già si fa fatica con i libri, con queste note a margine della personalità umana ci vuole molta perizia per metterle a fuoco e capire che cosa l’animo altrui nasconde. Quando ci siamo sviluppati tra le mura di casa ci sembrava tutto normale, con genitori e fratelli come pressoché unico punto di riferimento da emulare. Il modo in cui gli si vuole bene è molteplice e va oltre il comportamento che i componenti di quelle micro-società adottano nei nostri confronti. Senza tirare in ballo casi limite di violenze fisiche e verbali e di tutta la gamma dei soprusi che si fanno ai più piccoli, pensate a quanto abbiamo amato la nostra famiglia senza pensare che un giorno, quaranta o cinquant’anni più tardi, comparando i comportamenti di mamma e papà con quelli degli altri, qualcuno ci avrebbe dimostrato che siamo cresciuti in mezzo a gente completamente fuori di testa. Ne conosco almeno una decina di nuclei che hanno imposto la loro piccola follia come il naturale divenire delle cose. Fino a quando poi vivere con i genitori distanti, o quando mamma e papà non ci sono più, ci consente alla fine di ripartire da zero per ripercorrere con la lucidità dell’essere adulti quel periodo fondamentale della nostra vita e fare un po’ d’ordine, attività che da grandi o quasi vecchi, fidatevi, riesce molto meglio.

se vuoi sopravvivere alle hit parade di quando facevamo le medie clicca qui

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L’estate è a tutti gli effetti la stagione dell’ansia e questo è uno dei paradigmi della mia visione delle cose, del modo in cui conduco la mia esistenza in pubblico ma soprattutto in privato e, di conseguenza, di questo blog. Si tratta di un concetto che si cela piuttosto grossolonamente tra le righe di un post su quattro o cinque nel periodo compreso tra il 21 giugno e e il 23 settembre. Non chiedetemi perché la penso così mentre tutti vivono la gioia del sole del mare e delle belle giornate. Non è che non mi piaccia, me la vivo male punto e basta. La combinazione tra lo stare ai margini della società produttiva per cause di forza maggiore (il fatto che non esiste più la sincronia tra le ferie alla fine da giugno ad agosto ciascuno fa un po’ quello che vuole e così la mole di lavoro cala) con la pressione bassa, i piedi costantemente roventi, la carne umana nuda che esonda da ogni dove, l’eccesso di luminosità e le giornate lunghissime non creano certo i presupposti per condizioni di vita dignitose. L’estate però è l’unico periodo in cui ci si può divertire con quella sensazione nello stomaco che io definisco il contrario delle farfalle (o bollicine) di quando ti innamori. Potrebbe essere se non cemento a presa rapida una cosa tipo alghe che vanno a comprimere l’addome spingendo il corpo umano verso la profondità delle domande esistenziali che ogni uomo a una certa età comincia a porsi. Una sensazione che, se riuscite a controllarvi, ha comunque una sua dignità e ci si può divertire a provarla, altro che droghe leggere.

Io riesco a suscitarla a comando e mi basta consultare un sito come quello in cui qualcuno ha raccolto anno per anno tutti i singoli più venduti in Italia in pagine web che solo ad aprirle si sente quell’inconfondibile odore di umidità da cantina dove si tengono le cose che non si vogliono buttare ma che è meglio dimenticare. A me piace cercare i titoli di certe canzoni dal 78 all’82 circa e quando ne trovo una nuova che avevo temporaneamente rimosso ecco le alghe che si agitano e una scarica di chissà che cosa diffondersi per tutte le membra. Una sorta di elettrochoc light ma controllato in quanto auto-indotto. Oppure ancora vado su Google Street view a cercare luoghi dove sono stato in vacanza da bambino con mamma e papà, e quando li trovo inalterati – un albergo che non ha cambiato ragione sociale o una stradina che non è stata ancora asfaltata che abbiamo percorso insieme non saprei dire quanti decenni or sono – ecco ancora una botta di quelle lì che mi scuote da capo a piedi. Vi consiglio di approfittare di queste esperienze di regresso emotivo finché il freddo dell’autunno non ci ghermirà di nuovo e ci riconsegnerà al patrimonio delle responsabilità che ci competono. Se avete paura di perdere il controllo, vi consiglio questo giochino ma in un ambiente ben rinfrescato, senza uscire nelle ore calde, non fate il bagno dopo mangiato, bevete tanto e tutti gli accorgimenti triti e ritriti che ci fanno sentire ancora importanti per qualcuno.

ok google adesso ho un figlio che cosa devo fare

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Cattura

Il clic di troppo è quel gesto impulsivo o involontario o perché non sappiamo usare bene i dispositivi che su certi socialcosi, dove non c’è il diritto di modifica o di recesso da un consenso di qualunque natura, ci fa fare una figura di merda. Ci sono numerosi altri frangenti in cui metti una firma o ti registrano un sì detto di troppo e poi son fatti tuoi e in generale la vita è piena di queste strade a scorrimento veloce in cui nessuno ha mai pensato uno svincolo per le inversioni di marcia. Come quella volta che da Forlanini non so che ingresso della tangenziale est ho cannato per trovarmi in piena notte sulla BreBeMi da cui è noto che non ci siano uscite fino a destinazione e se la imbocchi puoi chiamare tranquillamente casa avvisando che non rientri per cena. Al contrario, considerando che non siamo delle bestie, ci ricordiamo senza rimpianti e nel modo più lucido il momento in cui abbiamo percepito quel radioso senso di irrimediabilità a seguito di cui di lì a qualche mese saremmo diventati genitori.

Non so se sono le lineette sul bastoncino del test di gravidanza o la vostra compagna che lievita o la creatura aliena nella pancia che si muove di vita propria o l’ecografia con quel battito velocissimo che poi finisce per andare perfettamente a tempo con il vostro o il parto stesso o le impiegate dell’anagrafe che aggiungono il nome che avete scelto o, anzi, il momento in cui entrati in casa con ‘sto fagottino nelle braccia vi siete guardati intorno e vi siete chiesti “OK GOOGLE E ADESSO COSA DEVO FARE?”.

Poi succede che i bimbi diventano addirittura più alti dei genitori, solitamente della mamma perché sfido mia figlia a superare il mio uno e ottantasei, finiscono anche la prima media, iniziano a interessarsi al sesso e ad altre questioni di cui non si libereranno mai più e malgrado siano finiti gli anni in cui tutto sommato crescerli era solo una questione di allevamento, se vi fermate a riflettere – io lo faccio più di una volta al giorno – sul perché vi siete imbarcati in questa avventura senza ritorno non vi stupirete di essere sempre lì in prima linea pronti a supportare e sopportare, aiutare, accompagnare, guidare, correggere, pazientare e spazientirvi, cucinare lavare stirare ma anche consigliare, raccogliere opinioni e persino chiedere consigli, il punto di vista di un ragazzino può essere la risposta meno banale con cui risolvere un problema.

La decisione se farli o non farli non è facile, a volte è un non-decisione ma un dato di fatto, a volte ci si impegna tanto ma i figli per qualche ragione non arrivano, altre è una cosa che si deve fare perché la fanno tutti e si va avanti così dai tempi della scoperta del fuoco con quella scusa della specie che si deve perpetuare. Qualunque sia il modo in cui ci siete arrivati ora non vi sognereste mai di farne senza. Intanto perché non si può, secondariamente perché i figli sono una parte di voi che arriverà dove a voi non vi è consentito, e poi ce ne sarà una più piccola nei loro figli, poi una ancora più sottile nei figli dei figli dei figli e così via finché non resterà davvero più nulla forse un soffio di qualcosa, più ragionevolmente dei detriti da qualche parte, ma che importa. Di tutto sto futuro non sappiamo che farcene, chissà quali diavolerie ci saranno e altro, davvero, che clic di troppo perché non le sapremo usare e per me, in quanto a figure di merda, sono a posto grazie.