un club esclusivo

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La religione è un’esperienza personale, questa è una affermazione che manda in bestia gli integralisti e gli ortodossi perché la fede è quella, il rito è ben definito, prendere o lasciare. Ma se avete frequentato persone religiose, saprete come me che basta essere in quattro per scoprire quattro idee differenti del credo comune. Un mio amico credente e praticante un giorno mi disse che ognuno ha il suo posto nella chiesa ed è una vision che se fossi credente e praticante farei mia in modo molto opportunistico, ma qui si va fuori tema, perché volevo semplicemente dire che se la religione è un’esperienza personale anche le feste religiose forse sono tali. Cioè uno vive il Natale come vuole e lo fa suo, perché è il compleanno di Gesù ed è il momento in cui ci si impegna a essere buoni e ad amare il prossimo e così via, oppure è solo un’opportunità per manifestare i nostri sentimenti alle persone a cui vogliamo bene spendendo la tredicesima. La Pasqua pure, e via così.

Ma non credo sia mai successo nella storia dell’umanità che qualche organizzazione all’interno o meno della Chiesa o qualche singolo esagitato si sia arrogato lo status di figlio di Dio. Non si è mai visto, in processione o durante la via crucis con il Papa, qualcuno alzare uno striscione con su scritto cose tipo “Ieri Apostoli, oggi Comunione e Liberazione”, o piuttosto “Ieri Gesù, oggi tocca a me salvare il mondo”. E neppure mi risulta che qualche gruppo italiano abbia pubblicato una cover di “Tu scendi dalle stelle” che col tempo è stata eletta col tacito consenso dell’opinione pubblica a versione ufficiale, tanto che alla radio e in tv durante le feste si sente solo quella.

E niente. Io sono un integralista delle feste laiche. Per me c’è un solo 25 aprile che è l’anniversario della Liberazione, in cui si celebrano i Partigiani e l’associazione che tutt’ora li rappresenta, che è l’ANPI. Oggi c’è stata una bellissima manifestazione qui a Milano, c’è stato il primo discorso di Pisapia da Sindaco, mi è sembrato persino di vedere più partecipanti del solito. Poi ho letto uno striscione che mi ha fatto venire il mal di pancia e che diceva “Ieri Partigiani, oggi NoTav” che, oltre a essere ingiustificato, fuori luogo e fuori contesto, era pure falso perché non esiste proprio nessun nesso tra le due categorie. E, poco dopo, la versione demago-rock di Bella Ciao dei Modena City Ramblers, così popolare che le giovani generazioni pensano sia una loro composizione, che se gli chiedi anche solo un altro titolo della loro produzione non ti sanno rispondere. Sono contrario a fare propri simboli comuni, a reinterpretarli e a farne un cavallo di battaglia. E chissà, forse c’è qualcuno che dice che ognuno ha il suo posto nella sinistra. Ecco, io quelli lì, quelli che si sentono i nuovi Partigiani e quelli che ballano Bella Ciao perché è un pezzo dei Modena li accompagnerei gentilmente fuori. Mi spiace, oggi c’è il tutto esaurito.

di luce propria e di luce riflessa

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Oggi parliamo di comportamenti provinciali. Io vengo dalla provincia più grezza e profonda che si possa immaginare e malgrado abiti qui da tempo sufficiente per considerarmi milanese al cento per cento (cit.) provo quel pruriginoso sussulto quando per strada incontro un Vip. Questo è un comportamento molto provinciale, perché se sei nato e cresciuto a Milano invece ci sei abituato e non ci fai più caso perché a tua volta è facile che tu sia un Vip o che tu abbia a che fare con le star fin dalla scuole elementari. Magari pure tu che leggi lo sei e non sai di esserlo. Se lo sei e sai di esserlo lascia un commento sotto che così mi si alza il traffico.

Ma, scherzi a parte, essendo qui il centro della moda, dello spettacolo, dello sport e di tante altre attività lecite e illecite non è difficile notare Sallusti che fa jogging, il Leone di Lernia che passeggia in Piazza del Duomo o Cristiano Malgioglio nel quadrilatero dello shopping. Tutta gente di un certo livello. A me è capitato addirittura di sedere allo stesso tavolo di Alex Britti, pensate un po’. Ero a pranzo in una di quelle trattorie tavola calda cosiddette radical chic, di quelle che talvolta vengono scelte pure come location per riprese di spot o cinematografiche. Mi trovavo lì con una collega in un tavolo di quelli cumulativi che fa molto intellettuale di sinistra che mangia con i muratori ma la voce che sentivo al mio fianco non aveva nessuna inflessione albanese bensì romana. Ma sapete che non è sempre facile riconoscere i personaggi famosi fuori dal loro contesto e dagli studi televisivi, così ci ho messo un po’ a capire di chi si trattava e quando ho capito e ho fatto cenno alla mia collega che nemmeno lei lo aveva riconosciuto poi ho avuto l’equivalente della Sindrome di Stendhal nei confronti degli esseri umani tanto che la meraviglia e la sensazione di impotenza di fronte a cotanta importanza hanno avuto persino il sopravvento sul disprezzo per un più che discutibile poppettaro. Continua a leggere

esercizi di stile

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Insomma che alla fine non ce l’ho più fatta, ho preso coraggio e al termine dell’ora ho raccolto materassino asciugamano e pesi e sono andato dalla coach (mi fa ridere chiamarla così, ma la chiamo coach solo qui) e le ho proposto con voce alquanto suadente “Ma se ti preparassi un paio di cd? Che ne dici?”, una domanda cordiale che in realtà nascondeva mesi di frustrazione.

Il mio rapporto con lo sport è di mutua e muta sopportazione, se non fosse che la natura non è stata così fortunata con me – oddio non mi posso lamentare ma lo faccio lo stesso – me ne starei da mane a sera a farmi sigarette autoprodotte con l’Old Holborn e le cartine OCB e tracannare bottiglie da 66 di Menabrea con le Pringles, ma potete immaginare a lungo andare gli effetti di una dieta di questo tipo. Così con l’avanzare degli anni, non potendo più contare esclusivamente sul mantenimento fisico entry level, quello dell’inerzia dovuta a metabolismo regolare e tutto sommato buona salute e forma fisica, mi sono dedicato al minimo indispensabile per non rimanere bloccato con la schiena a ogni movimento più impegnativo di portare aiuto a mia figlia in momenti delicati della vestizione, per non annaspare in caso di scatto e volata finale per saltare sul treno, e per rimanere nell’equilibrio delle stesse taglie di abbigliamento che ho più o meno dalla terza media pur passando buona parte del mio tempo seduto con un terminale elettronico di fronte a me. Continua a leggere

ancora una questione privata

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È una vita che voglio fare la tessera dell’ANPI. Uno di quei buoni propositi che mi pongo con l’approssimarsi del 25 aprile o addirittura, come è successo proprio lo scorso anno, a Natale, quando una mia cara amica ha regalato l’iscrizione a sé e alla sua compagna e mi è sembrato proprio un bel gesto e così mi dico con autorevolezza che devo assolutamente farlo anche io. L’ANPI è una di quelle organizzazioni di cui non si dovrebbe mai fare a meno e che spero siano sempre attive per permetterci di ricordare il sacrificio che si è consumato e il valore intrinseco dell’antifascismo che dovremmo avere tutti noi già dalla nascita, quando impariamo a camminare, nelle prime letture, diventando ragazzi e poi adulti e poi vecchi perché è con l’antifascismo che ci siamo ritagliati una prima parte di libertà e democrazia. Chiaro che c’è ancora da fare, ma senza quel primo passo, quel rendere chiaro quel primo basso livello di garanzia e di tutela dell’essere umano dall’odio primitivo e fine a se stesso, senza il quale non saremmo qui a discutere di banche e di spread.

È bello che ci sia un passaggio di testimone tra chi ha combattuto e ha fatto la Resistenza in prima persona e le successive generazioni, ed è giusto sostenerlo anche economicamente affinché ci siano sempre risorse sufficienti a tramandare memoria e fonti. Nel mio piccolo do il cinque per mille anche se è difficile ogni anno scegliere quale progetto sostenere, e anche in questa occasione mi dico che appena ci sarà la possibilità farò la tessera proprio per fare di più. Perché, a parte il valore in sé dell’ANPI, ci sono molti momenti della mia vita in cui quello che ho appreso dai racconti – nei libri e nelle testimonianze dirette – e dai film sui Partigiani ha svolto un ruolo importante nella formazione della mia coscienza civica, ancor più che politica. Per non parlare di quando, un ricordo più che vivido nella memoria, mi trovai faccia a faccia con Sandro Pertini Presidente della Repubblica e mi feci avanti stringendogli la mano, ero poco più che un bambino in prima fila con la sua classe a una commemorazione di un cippo dalle mie parti, a pochi chilometri da dove Sandro Pertini era nato.

Questo per dire che se a fatica oggi mi affilierei a una formazione politica, ritengo la tessera dell’ANPI un gesto significativo, un offrire se stessi a sostegno di un pezzo di passato che dev’essere sempre qualcosa di più di capitolo sul libro di storia da fare in fretta e in furia in quinta a poche settimane dalla maturità. E giusto ieri, in occasione di una manifestazione che si è tenuta al mio paese, mi si è presentata una opportunità concreta. Tra numerosi stand di associazioni presenti ho notato proprio quello dell’ANPI. C’erano totem con foto e articoli d’epoca, e c’era l’invito a iscriversi più o meno per tutti i motivi che vi ho elencato sopra. Così mi sono affrettato per confermare con i fatti la mia adesione ideologica al progetto, poi ho visto la persona che avrebbe ritirato la mia quota di offerta, e ho tirato dritto ripromettendo di iscrivermi non appena si ripresenterà l’occasione.

laurea in customer care

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Avete presente, vero, quelle cose che siete abituati a vedere di continuo e vi appaiono così familiari che vi sembra superfluo prestare la dovuta attenzione. Un po’ perché non attirano la vostra curiosità o il desiderio di approfondimento, un po’ perché le trovate sempre allo stesso posto e così finite di non farci più caso perché tanto se un giorno vi viene la smania di capire esattamente di cosa si tratta sapete dove trovarle, le loro coordinate sono un dato di fatto.

Poi succede che giunge la loro occasione, perché un bel momento vi colpisce una caratteristica particolare tale per cui vi risulta anomalo il fatto che siano state poste proprio in quel punto, così diverse da tutti gli altri elementi con cui condividono una mensola, un cassetto, una cartellina, un ambiente qualsiasi. Continua a leggere

gobba? Quale gobba?

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Oggi lasciatemi solo dire che certa gente dovrebbe pagare il doppio se non il triplo per viaggiare sui mezzi pubblici con tutto lo spazio che ingombra, e non mi riferisco alla mole fisica bensì al bagaglio appresso che certa gente indossa con nonchalance sulle spalle pensando che sia naturale occupare il doppio se non il triplo della cubatura a cui si ha diritto con zaini che, a vederli chiusi e da fuori, uno si chiede cosa ci possa essere dentro. E una volta pensavo fosse una prerogativa degli Invicta ripieni sulle curve spalle degli studenti, quelli che almeno ti divertivi a leggere le dediche scritte sopra, che poi che senso abbia fare avanti e indietro con tutto il necessaire per la scuola tutti ma proprio tutti i santi giorni, che nemmeno Eta Beta ci riuscirebbe. Ma anche gli adulti, la certa gente di cui sopra, amano portare con sé utile e superfluo in zaini di discutibile fattura e facili da essere piantati nelle sterno altrui durante i momenti di maggior calca. Che poi a uno viene la voglia di aprire le cerniere così a portata di mano anche solo per curiosità, solo per vedere cosa può essere contenuto in tale estrusione perché è facile stilare il valore complessivo di un pc portatile di vecchia concezione, altrimenti non si giustificherebbe tutto quello spessore, l’ombrello portatile di quelli che al primo colpo di vento abbandoni al primo cestino apposito, magari un contenitore di plastica con gli avanzi della cena della sera prima, un best seller scandinavo di mille pagine con la copertina rigorosamente cartonata, il completo per andare in palestra dopo l’ufficio composto da salvietta, scarpette, maglietta, pantaloncini e calzini, e copie varie di quotidiani free press a colmare gli interstizi. Un mix promiscuo e letale che a pensarci solo fa rabbrividire, calzature in gomma con cibo, inchiostro fresco di stampa con indumenti sportivi. Ma questo non è affar mio, io vittima cerco solo di sopravvivere sia al soffocamento che al fastidio di non poter sfruttare al meglio, da un punto di vista logistico, lo spazio a disposizione, così mi guardo intorno cercando un bambino dell’altezza giusta che possa infilarsi li sotto allo zaino, tra me e il suo possessore, e dare almeno un senso di completezza a una giornata grigia e un buon punteggio a questo Tetris umano itinerante, un placebo di realizzazione e di vittoria quando intorno c’è solo sconfitta e scarso rispetto del prossimo. Tutta colpa di certa gente, tsk.

rai 6

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Ieri sera per puro caso (e per pura fortuna) ho acceso la tv e mi è capitato di assistere a Rock’n’rai, un programma curato da Blob andato in onda a un’ora impossibile, come vuole la tradizione delle trasmissioni interessanti, e dedicato alla musica trasmessa alla televisione pubblica nella sua storia, quelle cose che noi appassionati ora cerchiamo su youtube demandando alla buona volontà di qualche utente altrettanto maniaco che abbia avuto il tempo e la dedizione di digitalizzare la propria collezione di vhs. Roba tipo Peter Gabriel ospite a Sanremo che canta Shock the monkey, i Talking Heads a Discoring nel 1980, i Dire Straits e i Depeche Mode, tutte apparizioni per lo più in playback alternate a presentatori del passato con look improbabili e all’immancabile Claudio Cecchetto. Ora non so voi, ma io sono uno di quelli che accende la tv solo per cercare cose del genere, vado su Rai Storia e se non trovo un documentario sulla Resistenza o qualche programma in bianco e nero spengo e faccio altro. E ogni volta penso alla sensazione che si può provare a trovarsi negli archivi della Rai. Qualcuno di voi c’è mai entrato? Sa come sono fatti? Come per il 100% delle persone che conosco, l’idea di lavorare nella principale organizzazione culturale italiana ha occupato uno dei principali sogni almeno dai tempi dell’università in poi, e, come per il 100% delle persone che conosco, il sogno è andato infranto. A dir la verità uno c’è riuscito ed è anche molto ben inserito, ma si tratta di un’eccezione che non conferma nessuna regola però. Comunque, per farla breve anche perché non c’è molto da scrivere, se io fossi a capo della Rai affiderei nientepopodimeno che a plus1gmt la direzione artistica di un nuovo canale sul digitale terrestre tutto dedicato alla trasmissione 24x7x365 solo ed esclusivamente di rock’n’rai e programmi analoghi. Plus1gmt lo farebbe con passione e si divertirebbe un mondo, e so già con quale estratto comincerebbe i programmi. Anzi, forse la sigla stessa dell’inizio trasmissioni sarebbe proprio questa qui.

per dirla in breve

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Tempo di riassunti, siamo a tre quarti della terza elementare. Non ho idea di quale sia la corretta collocazione nel percorso didattico e nel programma di Italiano della scuola primaria di questa fondamentale tappa, mia moglie ed io e un gruppo di altri genitori della classe di mia figlia ci siamo imposti di non mettere mai in dubbio l’autorità e la professionalità delle insegnanti né arrogarci la presunzione di saperne più di loro. A ciascuno il proprio mestiere, c’è anche un detto in milanese che nel nostro lessico famigliare in cui nessuno conosce il dialetto locale tantomeno il sottoscritto che ogni tanto ha rigurgiti di ligure storpiamo con “firulin firulè fa el to mestè” (ma basta cercare sul gogol per trovare la corretta dicitura che è “ofelé fa’ el to mesté”). Ma in matematica siamo ancora alle moltiplicazioni a due cifre mentre altrove già dividono e frazionano come se non ci fosse un domani e una scuola media, così a volte il sospetto che tutto sia lasciato al caso ci coglie impreparati come i nostri piccoli studenti alle prese con le grandi verifiche della vita e così, quando ci mettiamo alla scrivania per capire quale metodo sia stato trasmesso per entrare nel favoloso mondo della sintesi, rimaniamo interdetti di fronte a come maestra e alunni si sono esercitati insieme in classe. Continua a leggere

che ne dici

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Cercare conforto tra la folla o nel raggio di sole sotto il quale catturare un po’ di calore come in quel film dei miracolati milanesi inoperosi e per questo neorealisti poco realisti, è un’esperienza fallimentare e ne ho le prove. Intanto perché il sole in questi giorni non funziona o è difettoso. Secondariamente, tra il brusio della calca urbana e fintamente multietnica del mattino non si percepiscono belle parole. “Commercialista” è una delle esclamazioni più facili da cogliere, basta fare attenzione e prima o dopo qualcuno la pronuncia, ma converrete con me che non si tratta certo di una parola di quelle che uno la sente, sospira e si guarda davanti speranzoso nel domani. Anche “Maroni” è un termine che se si potesse dare vita a una nuvoletta con le keyword più hot del momento avrebbe un fontsize spropositato almeno da queste parti, che poi tutti lo collegano solo al Nuovo Ordine Padano ma come sapere i maroni qui sono sulla bocca di tutti, sopratutto la mattina e se fa freddo e vai al lavoro. Le occasioni non mancano. Stamane era molto in voga anche “contratto”, si dice che quando uno parla tanto di sesso è perché ne fa poco e tutti parlano di rapporti di lavoro perché non ce n’è. Infine in “home” c’è sempre qualcosa, lo trovi in home, se scorri la home in basso trovi il link, si danno indicazioni sui siti e tutti non vedono l’ora di arrivare e accendere il pc ma nel frattempo si sono dimenticati del consiglio. Quello che manca è la poesia, magari ce l’abbiamo dentro ma è talmente ben nascosta che non si vede, se la sussurriamo a chi ci cammina a fianco è inutile perché con tutto questo baccano non si sente nulla. O se ci scappa mettiamo la mano davanti come quando chi pensa di avere cose riservate da dire al cellulare si copre la bocca, qualcuno potrebbe pensare che parliamo una lingua straniera e allontanarsi diffidente.

solitario.exe

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La rete inizia ad avere maglie sempre più ampie da quando i socialcosi ci hanno disabituato a filtrare quello che ci siamo lasciati alle spalle. Strumenti come Facebook sono diventati agglomerati di contatti in cui colleghi delle precedenti aziende in cui abbiamo lavorato siedono a fianco dei compagni del liceo inframezzati da emeriti sconosciuti che abbiamo raccolto a bordo perché condividono con noi la passione per una band o perché hanno messo un like a un pensiero condiviso, decontestualizzando una conversazione tra due che qualche grado di separazione ha reso di pubblico dominio. Centinaia di fototessere che vanno a comporre un quadro di relazioni improbabili tanto ne abbiamo perso il controllo, la causa di cui va ricercata nella nostra bulimia di stringere mani e presentarci come se là fuori non aspettassero altro che seguire i nostri aggiornamenti. Il problema quindi torna ad essere di qualità e non di quantità anche nei rapporti interpersonali virtuali, ma costretti a un sistema economico che ci impone di fare numero nei manufatti fabbricati come nei clic a una pagina web o come nelle persone da trascinare dentro a una discoteca abbiamo acquisito una forma mentis tale per cui la possibilità di scelta ci manda in tilt e così scegliamo tutto, per non sbagliare. Tutto quello che c’è a disposizione lo mettiamo nel piatto probabilmente perché siamo nati poveri anche nello spirito e il concetto distorto di amicizia sublima nel calderone del web, dove seguiamo gli schiamazzi e ci mettiamo dove c’è più rumore, per sentirci meno soli. E pensare che un tempo era sufficiente tenere la tv accesa.