divieto

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A ridosso degli ultimi tornanti della strada provinciale che conduce a Milo, il paesino alle pendici dell’Etna in cui ha vissuto Franco Battiato e dove aveva una casa persino Lucio Dalla, ci sono dei vistosi (quanto non ufficiali) cartelli “vietato suonare”. Pensate se i due – che non vi nascondo essere i miei cantautori italiani preferiti, ma immagino anche i vostri – avessero applicato la normativa alla lettera, di quanti capolavori ci avrebbero privato. Un divieto legittimo è invece quello che impedisce ai turisti più o meno sprovveduti di avvicinarsi alle zone più pericolose del nostro vulcanone nazionale, e sono tante. Crateri attivi, bocche che emettono suggestivi anelli di fumo e il costante rischio di esalazioni letali persino per chi calza scarpe da trekking old-fashioned come le mie. In una Taormina presa d’assalto da coppie che si sposavano e da turisti alla ricerca del resort di lusso impiegato come set di “The White Lotus”, ci sono cascato anch’io e ho scattato persino la foto che trovate qui sopra. In una viuzza del centro ho poi sostato al cospetto di una splendida vetrinetta stipata di teste in ceramica e altri manufatti tipici dell’artigianato locale. Anche lì dentro qualcuno aveva posizionato un cartello con un altro invito pensato per limitare la mia libertà di espressione. C’era scritto “vietato fotografare” e non vi nascondo che lo sforzo per trattenermi dalla trasgressione a quella sciocca regola è stato ciclopico. Mi sono anche trattenuto dal non capovolgere un libello sul mascellone giustamente appeso al contrario in una celeberrima piazza di Milano sfoggiato in bella vista nella sala colazioni di un b&b in cui ho soggiornato e non l’ho fatto solo perché il proprietario – nonché fan del più grande traditore del nostro popolo di tutti i tempi – fondamentalmente era una brava persona, un’idea che avrò di lui almeno fino a quando non me lo ritroverò armato di tutto punto a fare la guardia a me e a tutti gli altri elettori del PD raccolti in uno stadio dopo la definitiva sterzata nazifascista di cui il nostro paese si sta rendendo protagonista. Avete letto le minchiate sugli autori della strage di Bologna? Amici, sappiate che si tratta del solito trucco vecchio quando Walter Veltroni. A destra sparano provocazioni sulle quali noi democratici progressisti ci precipitiamo come belve affamate all’ora del pasto principale. E mentre facciamo a gara – dal vivo e sui social – a chi è più indignato (oggi per il 2 agosto, domani per i diritti civili, dopodomani per i migranti) gli artefici di questo regime, indisturbati, mettono a segno le peggio cose. Povera patria.

amaro

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Un collega della secondaria ha confessato di seguirmi su Instagram e di aver riconosciuto tra le mie recenti foto il paesino natio di suo nonno, scenario di indimenticabili estati di quando era bambino e destinazione iniziale delle mie ultime vacanze. Ho cercato così di riassumergli il viaggio itinerante di agosto ma mi sono visto costretto a fermarmi al primo bed&breakfast e, a questo giro, senza nemmeno poter prenotare una camera. Il blocco pensavo fosse dovuto in parte alla difficoltà dei nomi di certi borghi lucani, però poi mi sono ricordato delle stranezze della toponomastica lombarda e di quanta ilarità mi inducessero, quando ero ancora un giovanissimo cittadino ligure, certe forzature geografiche del calibro di Paderno Dugnano o, peggio, Bulgarograsso. Ne deduco che riusciamo, anzi, parlo per me, riesco a conservare in memoria stranezze linguistiche facilmente individuabili nelle query mentali perché indubbiamente originali ma solo se archiviate da ragazzo. I nomi bizzarri dei posti visitati quest’estate e di quelle degli ultimi dieci anni, senza la consultazione di una mappa stradale, mi mettono in forte difficoltà. Non ditelo ai miei alunni. La paternale con cui li gravo l’ultimo giorno di scuola è di rientrare a settembre con gli occhi pieni di cose belle viste in vacanza e la testa in grado di completare con efficaci didascalie i racconti del primo giorno di ripresa. Mi viene la tentazione, mentre scrivo, di consultare Google e farvi un bel resoconto di viaggio ma non mi sembra corretto nei loro confronti.

Per i nomi, mi limito a Venosa, Pietrapertosa (la desinenza comune aiuta) e Muro Lucano, ma ne mancano almeno una ventina. Per la gente è più facile: posso associare ogni borgo della Basilicata visitato a una persona incredibile conosciuta al momento, sul posto. Anziani al bar, guide turistiche, proprietari di strutture ricettive, artigiani, emigrati ritornati in Italia dopo il Covid, ex sindaci eletti da meno di cento residenti, salumieri, ciascuno con una storia fuori dal comune da raccontare. E poi la cornice, a dir poco straordinaria. Si fa presto a trovare la bellezza nei luoghi più semplici da raggiungere. Vi sfido quindi a scovarli, questi ammassi di case arroccate sulla cima di rocce impervie in cui ho soggiornato quest’estate, dopo strenue lotte con Maps che mi ha indicato strade che voi umani non potete nemmeno immaginare e che fanno capire che, davvero, Cristo si è fermato a Eboli anche solo per fare benzina, considerato il rischio di rimanere a secco – vista la totale assenza di infrastrutture – che nell’interno della Lucania non è così remoto, a differenza di quei paesi lì.

souvenir

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Anche i morti di fame come me, quando sono in viaggio, non resistono alla tentazione di portarsi a casa qualche ricordino della vacanza. Un fenomeno a spiegazione del quale ci dovrà essere per forza una teoria psicologica. L’aggravante delle origini liguri al bagno di realtà indotto dalla ricorrente esiguità del budget a disposizione non possono nulla di fronte all’efficacia del marketing percepito, quello che fa sembrare attraente qualsiasi stronzata imbellettata per chi non è del posto.

In vacanza sono molto più vulnerabili a questo fascino sia gli allocchi che cedono a qualunque tipo di gadget smaccatamente pensato per turisti allocchi, sia i turisti che si credono intelligenti – ma che sono allocchi tanto quanto gli altri – che spendono pensando di fare affari con prodotti che in patria non trovano, ma che sono gadget smaccatamente pensati per turisti allocchi tanto quanto i primi.

Io, per dire, non resisto a:

  • gli scaffali di alimentari e di birre dei supermercati olandesi e tedeschi. Non so a voi, ma l’abitudine alla varietà e all’organizzazione dei prodotti della nostra grande distribuzione fa sembrare anche il più economico discount del nord-Europa il paradiso del benessere enogastronomico. Nomi ed etichette sconosciute e variopinte, in reparti sedicenti bio e sostenibili, ci colpiscono come i pacchi colorati sotto l’albero di Natale. La gamma di prodotti mai sentiti – per non parlare di quelli etnici dei quali, da noi, non c’è nemmeno l’ombra – fa breccia nella nostra predisposizione consumistica e nella nostra accondiscendenza alla produzione locale industriale mascherata da specialità artigianale.
  • gli scaffali di vini e birre dei supermercati francesi. Spero di non offendere nessuno, ma a parità di prezzo il vino francese è nettamente superiore a quello italiano. O almeno a me sembra così. Sono stato in Francia e non ho avuto nessun problema ad assaggiare una varietà diversa al giorno senza svenarmi. Tutto buono e ad alta digeribilità.
  • i banchi di gastronomia e di spezie dei mercati. Avete mai provato l’esperienza di un mercato provenzale? Nel sud della Francia coesistono Europa, Africa e Asia in un miscuglio di lavanda, za’atar e curry che induce alla salivazione anche le più interrotte papille gustative.
  • i negozi di abbigliamento di seconda mano. “Episode” è una catena di negozi second-hand olandesi che ha almeno un paio di presidi in ogni centro urbano. Non credo che sia tra i più economici, di certo sono quelli più forniti e quest’estate sono entrato in tutti quelli che ho incontrato. In genere la qualità degli abiti è ottima e il rischio di lasciarci un rene è concreto. Nessuno, però, supererà i charity shop britannici ma adesso, con la Brexit, sembrano sempre più distanti.
  • le bancarelle e i negozi di dischi. C’è poco da aggiungere. Il boom del vinile sta mettendo i bastoni tra le ruote dei collezionisti come me. Solo dieci anni fa, tra le bancarelle del Mauerpark di Berlino, ho pagato una sciocchezza alcuni 33 giri che oggi valgono dieci volte tanto. Siamo in piena bolla, quindi fare veri affari è sempre più difficile. Scartabellare tra i contenitori di dischi richiede un livello di abnegazione superiore a qualunque altra passione, soprattutto quando non sono ordinati alfabeticamente. Ma io non demordo e qualcosina, ogni volta, riesco sempre ad aggiungere alla mia collezione.
  • le bancarelle di oggettistica varia dei mercati delle pulci. Non c’è sentimento di impotenza più doloroso rispetto a notare una sedia o un tavolino anni 60 che starebbe perfettamente a casa propria nella postazione di un rigattiere a migliaia di km di distanza, con l’impossibilità di caricarsi l’oggetto dei desideri in macchina (soprattutto se sei lì in aereo). Quindi se amate questo genere di cose mettevi nello stato d’animo giusto, prima di girellare tra i banchetti dei mercatini delle pulci, consapevoli del fatto che molti dei componenti di arredo che vedrete dovranno restare lì, pronti per essere acquistati da qualcuno del luogo.

Quando si pianificano le vacanze è fondamentale considerare nei preventivi la voce relativa alle proprie debolezze. Dovremmo finirla di fare finta di non conoscerci affatto e pensare di esserci trasformati in chissà chi. L’effetto delle ferie, purtroppo, svanisce con il primo estratto conto della carta di credito.

residenti resilienti

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Verso la fine degli anni 90 tra gli appassionati delle vacanze in Francia era d’obbligo la consultazione di Homelidays, uno dei primi siti web grazie al quale era possibile entrare in contatto con chi offriva in affitto case o camere e contattarli comodamente in inglese via e-mail, evitando momenti imbarazzanti al telefono a causa del nostro francese improvvisato. E lo so che sicuramente tra di voi c’è qualcuno che ha usato un altro portale simile prima di quello e non vi biasimo, d’altronde la frenesia di assicurarsi una posizione pioneristica dell’Internet, ai tempi dei socialcosi, è difficile da contenere.

Il successo di Homelidays è provato dal fatto che, con il tempo, è stato assorbito da un’organizzazione più strutturata e poi da un’altra più grande ancora, ma questo è stato il destino di tutte le iniziative del settore turistico fai-da-te che, pian pianino, sono convogliate tutte sulla piattaforma Airbnb, mentre anche i proprietari di strutture vi si trasferivano perché c’è più pubblico e i motori di ricerca ti ci riportano sopra, volente o nolente.

Lo scambio di case contiene l’essenza dell’ospitalità e del viaggio, sia che qualcuno vi lasci le proprie cose e si fidi ciecamente di chi vi soggiorni, sia che metta sul mercato appartamenti acquistati ad hoc, facendo diventare l’essenza dell’ospitalità di cui sopra un business. Saprete meglio di me che gli abitanti dei quartieri più caratteristici delle città sono su tutte le furie proprio per questo. Le case si svuotano di chi ci vive e si riempiono di turisti mordi e fuggi e i quartieri più caratteristici delle città attirano esercizi commerciali e servizi per i turisti mordi e fuggi snaturando l’essenza del posto. Un forma di gentrificazione a tutti gli effetti difficile da contenere perché fonda le sue radici nell’economia nata sul web e, quindi, per forza di cose, democratica, laddove è democratico tutto ciò che è impossibile da regolamentare perché voluto dal basso e sostenuto dalla gente. Il fatto è che la filosofia del CouchSurfing degli albori della rete non ha retto all’impatto della venalità. Un’epoca dorata in cui la smania di guadagno viaggiava sui modem a 56Kbps e c’era tutto il tempo per filtrare le cose con l’umanità.

In famiglia abbiamo ancora il vezzo di affittare gli appartamenti quando viaggiamo, preferendo di gran lunga questa formula all’albergo. La casa ti permette più intimità, la possibilità di usare la cucina, e nel caso in cui trovi qualcuno che ti lascia il posto in cui vive per i giorni richiesti, trovi quel calore che una camera di hotel, anche con decine di stelle, non restituirà mai. Le più accoglienti che ho trovato sono quelle francesi, forse perché sono loro ad aver inventato l’approccio di Homelidays e sono rimasti ancorati a quel modo di ospitare gli estranei. Anni fa, nell’appartamento a Parigi in cui ho soggiornato, c’era un pianoforte a coda pazzesco e vi giuro che non sarei più uscito di casa. In questo momento mi trovo a Lione nell’appartamento di un’artista che, oltre a tutti i suoi quadri in mostra sulle pareti, ci ha lasciato anche un formidabile gatto certosino. Da ospite, la cosa mi fa sentire doppiamente in vacanza, fermo restando che casa mia non la affitterei mai a nessun sconosciuto, ma forse nemmeno a gente che conosco, e tantomeno il mio gatto.

città che muoiono

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Il belvedere a ridosso delle prime scalette che conducono verso il ponte che collega la terraferma a Civita di Bagnoregio induce tutti i visitatori alla stessa reazione emotiva. È il primo punto da cui si vede il paese sulla rocca di tufo al centro del panorama e l’emozione è realmente forte. Poi ti avvicini alla città che muore, come è descritta nel suo pay off, e a freddo puoi notare qualche difetto. Sul ponte di poteva fare qualcosa di meglio, per esempio. I piloni bianchi che lo supportano, in mezzo a tutto quel tufo e a quel verde, sarebbero potuti essere di un materiale e di un colore differente. Provate a immaginare un’opera di quell’impatto in mano a un’archistar. Un ponte realizzato con le più moderne tecniche bioarchitettoniche o, addirittura, tutto trasparente. Ma nell’insieme l’orgoglio campanilistico della bellezza che abbiamo solo noi e tutta per noi si alimenta passo dopo passo, avvicinandosi a quel posto che ha dell’incredibile. La resa massima di Civita di Bagnoregio probabilmente è verso il tramonto, ma attenzione che ci fate la figura di quelli che non vogliono pagare i 5 euro del biglietto d’ingresso, obbligatorio dalle 8 alle 20 di sera. Noi siamo arrivati a pochi minuti dalla chiusura della biglietteria, felici di aver potuto contribuire alla sua manutenzione. Probabilmente altrove avrebbero messo dei tornelli, a metà del ponte, attivi 24×7, e una cassa automatica, in modo da rendere il giusto pedaggio sempre obbligatorio. Se pensate che il vicino bosco dei mostri di Bomarzo costa 11 euro, tutto sommato ci sta. Poi, una volta in cima alla rocca, Civita di Bagnoregio dà l’impressione di una città dai giorni tutt’altro che contati. Una Mont-Saint-Michel ma infinitamente più bella, anche se valorizzata la metà. Certo, in mano ai francesi sarebbe piena di botteghe con il rumore delle cicale finto, bancarelle di magneti e varia fuffa turistica. Invece, per il posto che è, ha mantenuto un certo rigore. Ci sono ristoranti e bed&breakfast ma niente di più. Salendo lungo il ponte, ho notato sulla cima della collina a destra una splendida villa immersa nel bosco dominare la vallata sottostante e ho pensato a cosa di possa provare, ogni mattina, a svegliarsi, affacciarsi dalla finestra più alta e godere di un panorama così. Tutto sommato, però, preferirei essere da questa, di parte. Uno degli undici abitanti della rocca. Ma cosa faresti tutto il tempo lì sopra?, viene da chiedere dopo un’affermazione così. Vivere bene, vivere e basta, mi sembra già un buon punto di inizio.

la vita spiegata a un turista che non voleva esserlo

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Dicono che certi imprevisti fanno germogliare il seme – latente in noi – della vulnerabilità. Occorre però prima dimostrare quali sono i fattori che ne aumentano le probabilità del manifestarsi, ammesso che esistano. Voglio dire, uno passa l’adolescenza a girare in lungo e in largo facendo l’autostop e il massimo che gli capita è respingere l’approccio innocuo di qualche esponente della terza età attirato dagli studenti delle superiori e poi, l’unica volta che noleggia un’auto di quelle che mai penserebbe di acquistare, qualcosa di non bene identificato gli si pianta nel parabrezza causando una crepa impossibile da occultare al proprietario e chissà a quanto ammonterà la riparazione. Ma le cose si susseguono senza capo né coda, così quando di corteccia ne hai poca paradossalmente sei più impermeabile di quando hai una scorza spessa quanto una noce di cocco e trasudare fuori le ansie in circolo costituisce un’operazione complessa quanto il monumento più duraturo del bronzo degli antichi romani. Ma cosa dovremmo fare? Passare il resto della nostra vita su divani Chateau d’Ax a far scorrere canali di televendite e a mettere su chili lasciandoci vivere solo nelle funzioni involontarie? No, ma fare i conti con il mix tra età e indole non c’è proprio nulla di male. La cassetta con il kit del pronto soccorso psicologico non la trovi in ogni frangente, e portarsi il proprio fardello da casa ogni volta che ci si muove fuori dall’ordinario – tra la gente, per il mondo, ma anche nell’inesplorato delle esperienze mai provate – purtroppo fuoriesce dai canoni accettabili del confort. La sensazione è la stessa di sbagliare clamorosamente l’abbigliamento per un viaggio con quelle giacche che ti fanno sudare la schiena ma non si possono legare in vita. Che volete farci, anzi, non c’è proprio nulla da fare. Io ho parzialmente risolto lasciandomi nella piacevole balia di chi ne sa più di me, se avete la fortuna di averne almeno uno a portata di mano accozzatevi come se non ci fosse un domani, anche se magari ce n’è più di uno.

c’e così tanto da vedere che poi alla fine guardi su, proprio come loro

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Io li capisco gli stranieri che fanno i viaggi nelle città d’arte italiane, perché ve la immaginate una famiglia che parte da un posto qualunque degli Stati Uniti dove c’è solo pianura, e non venite a dirmi che non è vero perché se provate a fare il gioco che faccio io quando ricerco il massimo disimpegno in Internet e lanciate a caso l’omino di Street View sugli USA ci sono ottanta probabilità su cento che vi capiti un paesaggio come questo, cioè strade diritte e case di quelle che si vedono nei film quando lo sceriffo va a interrogare a domicilio la sospettata di un omicidio però i due si conoscono da sempre, hanno avuto una storia da ragazzi e a lui spiace metterla nei guai ma la giustizia deve fare il suo corso.

Quindi gente che vive in posti che non sono New York, San Francisco o Boston o Chicago poi di botto si ritrova a Venezia, Firenze, Pisa, dove ogni pietra è intrisa di un passato di più di mille anni. E loro pur di dilatare questa full immersion nella storia sono disposti a farsi servire pizze margherite da quindici euro nei dehors che danno sulla cupola del Brunelleschi, dove intorno è zeppo di venditori di cineserie per bambini e di riproduzioni di opere decontestualizzate che condividono la piazza con l’arte gotica. Non ditemi che secondo voi gli stranieri in visita qui non vedono gli italiani come noi vediamo un suq. Perché poi rientreranno nella loro, di storia, gloriosa quanto breve perché di quello che c’era prima, nel nome di quegli edifici sacri a fianco dei quali si lasciano truffare dall’industria del turismo di massa, è stata fatta piazza pulita. Gli hanno formattato le origini.

Che poi non bisogna confondere il turismo di massa da quello massivo, che è così non solo in Italia ma dalle nostre parti non ci si può esimere dal farlo. Ti muovi in queste città dove tutto è vergognosamente bello e da fermarsi a guardare, tirare fuori la guida e leggere cos’è tanto che alla fine, compresso in qualche giorno, tutto resta come un unico indistinto bolo romanico-gotico-rinascimentale-barocco e va a sedimentare nel tuo vissuto insieme a quello che è rimasto delle altre volte in cui hai visitato Santa Croce o un’altra basilica e i dipinti che hai visto nei libri di storia dell’arte o alla tele in mille altre occasioni, a cui si aggiunge la diaspora dei capolavori italiani che si trovano nei musei all’estero e fai casino a ricordare se quella volta eri in cima al campanile di Giotto o sulla Torre di Pisa, e quando e con chi.

Così, se proprio dovessi trovare una sintesi di quello che è l’Italia dell’arte da lasciare a uno straniero che viene a scoprire che il David di Donatello non così grande come uno se lo immagina, gli lascerei una stampa che sono certo troverà appesa in ogni albergo in cui soggiornerà in tutte le future vacanze che trascorrerà nel nostro paese, non importa quale città né, a dire il vero, quale sistemazione. Perché se vuoi mettere a proprio agio un turista a cui affitti un posto letto, non puoi negargli la gioia di ammirare in camera o nell’ingresso una riproduzione degli angeli di Raffaello, quei due mini-semidei alati che osservano la scena sopra di loro nel celebre dipinto “Madonna Sistina”.

Ormai non mi stupisco più, è come quando accendo un canale televisivo e vedo gente che insegna a cucinare. Entro in un appartamento a Milano, a Roma, a Palermo, e in qualche angolo stai sicuro che un quadretto con i due putti assorti lo trovi, da qualche parte. Ed è proprio così, come ho scritto nel titolo di questo post. Arrivi a un certo punto in cui guardi in alto perché della gente e delle gite scolastiche e dei camerieri che servono pasti a qualunque ora del giorno non ne puoi più e speri che accada davvero un miracolo, e ti domandi come potesse essere la vita di tutti i giorni quando entravi in una chiesa qualunque e ti trovavi Giotto a impiastrare cappelle perché, da come sembra oggi, potrebbe anche non essere mai esistito nulla del genere, ma tutto frutto di una riuscita campagna di marketing del territorio.

Raphael-cherubini

ma poi, questo Carrà, era un pittore famoso?

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Sarebbe meraviglioso non avere tutte queste lacune in materie come storia dell’arte, perché poi vai a ritroso e ti ricordi di quando se ne approfittavano tutti di quella che era la cenerentola delle materie, bistrattata quasi peggio che educazione civica o musica, con insegnanti sempre i più bohemienne che non ci voleva nulla per strappargli una sufficienza risicata. Che ignoranti. Noi, dico. Io per primo. Metti una classe di adolescenti in una visita guidata a un museo e ti rendi conto di quanto sia tempo perso. E se già allora ascoltare in piedi la guida era solo lo scotto da pagare per qualche giorno di emancipazione e di concessioni, posso immaginare ora con gli auricolari piantati nelle orecchie e gli status da aggiornare con adeguata costanza. In entrambi i casi poi solo chi sente una profonda inclinazione per la pittura ha la costanza di ripartire da capo, con le incisioni rupestri fino a Cattelan o giù di lì. Tutti gli altri, me in testa, si sono arrabattati con gli approfondimenti fai da te. Qualche personale, le mostre più blasonate, il sentito dire o le lezioni gratuite in tv di gente del calibro di Daverio. Ma nulla di tutto questo ci mette nella condizione di distinguere chi, sostando dinanzi a un’opera di arte moderna o contemporanea, commenta a cazzo oppure no ma comunque sempre a voce alta, impattando sull’esperienza del visitatore che magari ci capirà anche poco ma preferisce viversi la metafisica altrui in santa pace. E se al cinema il silenzio è un dovere, non vero perché no al cospetto di quest’arte altrettanto visiva. Perché che importa se non ne so nulla, ma di fronte a un’oggettiva scomposizione della realtà, la sua soggettiva ricomposizione ci sta tutta. Rimettere insieme pezzi dell’interpretazione di una giornata qualunque in Piazza del Duomo e farne un’istantanea a proprio consumo. Giocare con gli -ismi degli altri ti fa sentire un disegnatore cad che sposta vertici con il mouse e mette in pericolo la stabilità di progetti la cui efficacia è data per scontato. Così è facile irrompere con interventi definitivi, tipo “questo l’ho già visto al Mart” o “questo alla Galleria d’Arte Moderna di Roma” o, il poker d’assi, “questo era al Guggenheim di New York in una mostra sul Novecento europeo”. Perché il resto, tutto appartenente a collezioni private, lascia sbigottiti. Voglio dire, c’è qualcuno che ha “La stazione di Milano” in salotto. Si sveglia di notte per fare pipì, passa nel soggiorno, accende la luce e può dare un’occhiata a “Penelope“. Ecco, sapere che c’è chi ha nel suo conto corrente il settordicimila per cento della ricchezza mondiale non mi altera quanto chi custodisce entro una proprietà privata cose che dovrebbero essere di patrimonio comune e visibili liberamente a tutti, in qualunque momento. Evitando così di costringere la gente come me a mettersi in casa le riproduzioni di Magritte e Chagall perché già dentro alle cornici acquistate all’Ikea. Mi piacerebbe usare il corretto termine per questa figura retorica, che non è il paradosso ma non mi ricordo, probabilmente oltre alla Storia dell’Arte mi mancano anche dei pezzi di Italiano. Nel mio piccolo ho appeso in salotto un dipinto di un pittore sconosciuto se non per essere stato un disegnatore di Diabolik che ho ereditato da mia zia, che è stata l’unica in famiglia ad avere un po’ di gusto in questo senso. Era lei che mi ha raccontato di un artista genovese che in estate soggiornava nella casa di campagna in cui era cresciuta, e che ha ritratto molti soggetti prendendo ispirazione da quell’ambiente bucolico e rurale. Le mucche nella stalla. I contadini nei campi sotto il sole, e lui all’ombra a dipingere con tela e tavolozza sotto il grande noce. L’arte e la vita di tutti i giorni, l’artista e gli individui normali. Quelli che pongono domande come quella in evidenza nel titolo di questo post (giuro che l’ho percepita con queste mie smisurate orecchie) abituati a sentire parlare di Carrà e di Morandi solo per le loro partecipazioni a Canzonissima, e che quindi è meglio che i quadri se ne stiano nelle ville con i dobermann, quelle di chi ha gli strumenti per goderseli.

Comunque, la mostra di Carrà alla Fondazione Ferrero di Alba è davvero imperdibile, anzi sbrigatevi perché chiude il 27 gennaio. E, soprattutto, è gratis.

finale pulcino pio igv santa giusta 2012

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Ok, comincio io. Tra le tante cose successe quest’estate su tutte voglio ricordare questa, a cui avevo già accennato più o meno qui. Non che sia l’esperienza più edificante, però devo dire che mi ha lasciato senza parole. A volte essere vicino al posto giusto al momento giusto aiuta. Ecco: quest’estate ho assistito dal vivo a questa performance. Ancora una volta chiedo all’Europa e ai tedeschi, prima di pensare se e come salvarci, di dare un’occhiata e domandarsi se ne valga la pena. E che serva di monito a chi vorrebbe togliere il potere alle banche e darlo al popolo, perché il popolo è anche questo. Via

ma lasciamo la parola ai lettori

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Visto che magari non passate spesso da lì, sappiate che Claudia è tornata a manifestarsi su queste pagine. Per i nuovi lettori, Claudia è una perspicace commentatrice alla quale, come premio della costanza con cui ha condiviso le sue riflessioni in una pagina anziché in calce ai post di questo blog a cui voleva probabilmente riferirsi, è stata dedicata un’intera sezione, quella lì appunto, che però a molti – me compreso – risulta un po’ in ombra. Così, con il suo permesso che non le ho nemmeno chiesto, inoltro qui sotto il nuovo spunto. E se vi va, in massa come sapete fare solo voi,  potete rispondere e cimentarvi per la gioia delle statistiche di accesso a questo sito.

Dice Claudia:

dunque, in questa estate ho (nell’ordine sparso che i neuroni mi consentono):
– sorvolato un oceano,
– scalato grattacieli (ma con ausilio di ascensori),
– toccato aceri,
– pedalato attorno ad un lago (dopo 18 anni che non toccavo un manubrio e non per vezzo d’equilibrismo),
– visti acrobati e musicisti,
– ballato ad un matrimonio in puglia,
– tornata a lavoro, poi andata, poi tornata e ripartita di nuovo.
Ora sono qui e aspetto i racconti delle vostre vacanze.
no?