anche prima esperienza

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Uno potrebbe dire che si tratta di esseri in via di estinzione se non fosse che è paradossale, perché almeno loro la continuità della specie se la sono assicurata e quel marmocchio che spingono su un carrozzino vecchio modello ne è la prova tangibile. Incontrare giovani coppie che si sono riprodotte potrebbe essere una nuova disciplina, una branca dello human watching, esemplari che si scorgono raramente ed è bene appostarsi e munirsi di binocolo e borraccia perché l’attesa potrebbe essere lunga. E a quel punto fotografarle in barba alla privacy, perché quando le vedi ispirano tenerezza con quello sguardo ancora incredulo che dice diamine, non ci possiamo credere, ce l’abbiamo davvero fatta. Che poi non è che siano proprio giovanissimi. Gente di trent’anni che indossa la maglietta dei Radiohead e che viene da pensare che almeno con l’educazione musicale quel bebè è a posto ma si sa, se hanno atteso così tanto non è del tutto colpa loro. Un po’ forse è proprio l’abbigliamento ancora da sciamannato che trasmette inadeguatezza ma non è che una volta che diventi papà e mamma devi tapparti con quel decoro di apparenza quando dentro sei ancora un tumulto tutto da liberare. Così uno pensa in che modo quella coppia che avanza portando con sè quella sorta di trofeo honoris causa sia riuscita a emanciparsi dalla schiavitù socioculturale che lega un progetto privato come quello del moltiplicarsi (per uno) a una disponibilità economica più o meno costante e, in altri casi, a una realizzazione personale per la quale il sacrificio genitoriale costituisce un ostacolo. Oppure semplicemente sono due che a un certo punto si sono detti chi se ne fotte, in qualche modo ce la caveremo. Ecco, spero sia così perché se stai a fare calcoli e aspetti a vedere che succede alla fine ti ritrovi che la natura ti mette i bastoni tra le ruote e non c’è più niente da fare. E ciò non vale solo per la famiglia, perché comunque si tratta di un’esperienza che come tante altre può essere anche perdibile, però se un minimo minimo ce l’hai dentro e hai tutte le carte in regola e pensi che ci puoi credere veramente, è bene di darci dentro e farlo. La coppia che vedo ora deve solo acquisire un po’ più di dimestichezza con la situazione a tre, si vede che entrambi non sanno da dove sia meglio sottrarre l’attenzione che il nuovo arrivato richiede, se da sé stessi o dal partner o un po’ e un po’, è solo questione di prenderci la mano. Il caldo è quello delle migliori occasioni e i due, anzi, i tre si fermano all’ombra di un albero, c’è la tregua che precede l’invasione delle zanzare e c’è pure l’aria che si muove e che porta ristoro. Lei prende tra le braccia il piccolino e poi lo passa al compagno che gli fa il solletico con la barba. Vedete, non è difficile, proprio per niente.

di cotte e di crude

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L’estate più profonda si distingue dalle altre stagioni e dalla porzione più light della bella stagione stessa per la facilità con cui si riconosce la musica inappropriata, quella che ti rimane appiccicata come lo schienale di una poltrona di pelle a torso nudo quando ci sono pressappoco 35 gradi e la ventola del nuovo pc rimesta l’aria calda sui tuoi piedi che non ne vogliono sapere di vincoli, infradito comprese.  L’effetto di una canzone dal sapore invernale, anche solo per il suo carattere riflessivo e evocativo, è analogo alla prova di un cappotto di lana acquistato coi saldi di agosto, indossato direttamente sulla t-shirt e le bermuda, quindi se volete che non vi venga da prudere fate come me e prestate molta attenzione alle playlist. Lo so, suona un po’ come un’innaturale imposizione se anche voi siete di indole a sfumature di grigio, ma oltre le cinquanta più blasonate di questi tempi, si spera. Perché i brani invernali non è che portino freddo e sollievo, anzi ti impiantano quella coltre di nembostrati o come diavolo si chiamano a formare il tipico controsoffitto grigio milanese con quell’afa che in estate ti piglia dentro e non ti lascia più. Ma noi siamo fatti così, ci mettiamo sui canali della musica on demand e inseriamo come parole chiave le peggio cose che solo a pensarle ti fanno sudare. E non sempre si tratta di atmosfere oggettivamente respingenti, voglio dire è chiaro che ascoltare “Last Christmas” il 3 di agosto è da ricovero. Mi riferisco a tutto ciò che riguarda – almeno questo è il mio caso – quella fase dell’esistenza in cui si è in piena metamorfosi, e ci si pone le prime domande relative agli sfarfallii intestinali che si accusano quando ci parla una persona anziché un’altra, sempre che ragazzine e ragazzini vivano ancora struggimenti proto-amorosi di questo tipo. E a rivivere quegli stati d’animo a perdere che si provano a dodici o tredici anni, ora che ogni frazione di secondo la tratteniamo avidi perché è bene fare un po’ di scorta, è un bel farsi del male, no? Proprio per questo noi, che nello spleen ci sguazziamo, masochisticamente alziamo pure il volume delle casse e ci beviamo pure su una bevanda a temperatura ambiente, che fredda non abbiamo più l’età.

sgoccioli

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Le rare telefonate, da qualche giorno a questa parte, si suddividono in due macrocategorie, con la sola eccezione della collega che raccoglie gli ordini di tutti per il bar, la seconda colazione da fare in ufficio. Ci sono quelli che hanno l’ansia di non portare a termine in tempo il lavoro prima di partire, con la variante del cliente che sclera perché deve chiudere il budget e fa fare gli straordinari o comunque guasta l’atmosfera molle di questi giorni che per tradizione dovrebbero essere dedicati alla melina professionale pre-vacanziera. Sempre nella stessa casistica ma lato fornitore, cioè noi, ci sono quelli che devono concludere una lavorazione e sclerano perché i riferimenti lato cliente sono uccel di bosco, non ancora in ferie ma latitanti in una sedicente modalità telelavoro perché i figli sono a casa ma comunque scrivimi che controllo la posta ogni tanto. Certo virgola certo. Ci sono invece le telefonate che trasudano relax da entrambi i lati della conversazione, e anziché discutere di facezie come i progetti in corso ci si scambiano informazioni business critical sulle rispettive località di destinazione. Il sorriso sulle labbra, che poi è la mimica da manuale della pubblica relazione telefonica, e via di risatine e disimpegno, perché se c’è qualcosa in ballo se ne riparla a settembre. Come se il mese prossimo fosse un armadio in cui gettare abiti alla rinfusa perché non c’hai voglia senza pensare poi al giorno in cui ti occorreranno e dovrai stirare tutto di fretta. Tu quando rientri? è la domanda più comune che rimbalza da un ufficio all’altro. Allora divertiti e ci vediamo al ritorno, la telefonata si chiude e contestualmente il sorriso si smorza, in altri momenti potrebbe trasformarsi nella più perplessa delle espressioni e a volte, in circostanze speciali, si potrebbe sentir proferire persino un sommesso mavaffanculova. Ma non oggi. Non è il caso della stagione lavorativa che va concludendosi, da stasera ognuno si restituirà a se stesso. Non tutti perché ci sono quelli più sfortunati che lavorano anche la settimana prossima. Ecco, io, per esempio.

difficili usi, facili costumi

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A chi si lamenta dell’uso a sproposito dei Clash come colonna sonora di una manifestazione che con lo spirito di Joe Strummer poco ci azzecca, ma si sa che con il tempo si è più inclini a perdonare tutto a tutti e a stringersi collettivamente in un globale volemose bbene, una grande chiesa che va dalla Regina Elisabetta a Johnny Rotten passando per Malcom X e San Patrignano nonostante Mr. Bean, pensate a cosa sarebbe successo se qualcuno avesse messo come sottofondo da qualche parte “Inglan is a bitch” di Linton Kwesi Johnson. Anche solo recitata così.

ancora un post sulla strage di Bologna

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Quelli non proprio ricchi, quelli che hanno una casa per le vacanze ma solo perché è la vecchia casa in campagna dei bisnonni, dove ci finisce tutto ciò che nella casa di città non trova più posto. Le cose vecchie, magari rotte e poi aggiustate. I doppioni e le seconde scelte, adatte per la seconda casa. A meno di non avere risorse tali da potersi permettere la massima qualità e il comfort ovunque, e c’è gente che può farlo. Ci si trovano quindi vestiti, lenzuola e coperte, stoviglie, mobili e mobiletti, elettrodomestici che, pur trasferendo un legittimo senso di provvisorietà, finiscono per arredare in modo definitivo i locali in cui si trascorre qualche settimana all’anno o poco di più. Si tratta di cose che con il tempo si impregnano dell’odore di quegli ambienti paralleli alle nostre vite, e se provate a promuovere alla massima divisione questi oggetti di serie B difficilmente lo perderanno, anche in senso lato. Una volta avevo portato in città la mia bicicletta che, per motivi di sicurezza stradale, utilizzavo solo in campagna, ma è successo una volta sola. Sembrava fuori dal suo ambiente, costretta a percorrere asfalto urbano anziché terra battuta mista a pavimentazione rurale. Poi un teppistello mi aveva pure fregato lo specchietto retrovisore, e a dirla tutta non mi trovavo nemmeno così a mio agio nel traffico con quel mezzo a due ruote pensato per il fuoristrada. Ma il caso più eclatante di beni di risulta che di certo non miglioravano l’esperienza di villeggiatura era la tv. La tv della seconda casa, la tv di riserva, era una Magnadyne portatile arancione che oggi fa la sua bella figura con il suo design anni 70 a casa mia, e se non fosse per colpa del digitale terrestre funzionerebbe ancora. Su quel televisore in bianco e nero e a 4 programmi ho assistito a tutti i principali eventi estivi della mia infanzia, a partire dalle olimpiadi e i mondiali di calcio anche se l’estate per me era principalmente all’aria aperta, e a parte qualche appuntamento obbligatorio con cartoni e telefilm trasmessi all’ora di cena la sfruttavo solo nei giorni di pioggia. E da quella scatola arancione sono passate anche le notizie di cronaca, che a cavallo tra i 70 e gli 80 non erano mai piacevoli. Nemmeno in estate c’era un po’ di tregua.

cronache del 32 luglio

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Siamo nella stagione dei saldi più profondi, 50 e 70 per cento e fuori tutto, anche la merce da riproporre ogni anno che non si sa mai. Una madre molto giovane accompagna la sua bimba in un pomeriggio di shopping nell’alternanza tra il caldo torrido fuori e l’aria surgelata dei grandi marchi della moda usa e getta. È la più piccola a esprimere pareri su quello che vorrebbe indossare e ciò che non le piace tra i numerosi capi confezionati da suoi coetanei in un altro emisfero e per ora rimasti invenduti nell’occidente del mondo. La figlia sceglie i vestiti e imitando un modello appreso in parallelo con gli adulti della sua famiglia da ore e ore di esposizione televisiva, estrae l’abbigliamento succinto ancora sugli appendiabiti e lo sovrappone al suo corpo esile chiedendo alla sua versione maxi un parere. La madre, prima di giudicare, getta intelligentemente uno sguardo al prezzo. In alcuni casi dice che è carinissimo, in altri casi, se la convenienza non è sufficiente, cerca di distrarre la bambina offrendole alternative che non sortiranno alcun effetto, vista la determinazione maturata in stagioni di acquisti al ritmo della techno.

Ma di lì a poco c’è ben altro di cui occuparsi. Un ragazzo si lascia cadere sul divanetto e inizia a contorcersi nell’inequivocabile gesto di chi accusa dolori alla pancia, piegandosi in avanti con le mani giunte sul ventre. La giovane fidanzata ripone gli stracci che stava per provare e si siede al suo fianco, accarezzandogli la pettinatura molto di moda e facendo attenzione a non schiacciare il suo borsello di un noto brand Made in Italy. I due attirano l’attenzione dei commessi loro coetanei la cui preparazione professionale non contempla i fondamentali del pronto soccorso e di come ci si comporta con clienti in quel genere di difficoltà. La più intraprendente suggerisce al giovane di andare in bagno, la causa potrebbe essere l’aria condizionata dopo mangiato. Il colore del volto, sarà l’impressione, ma vira verso una tonalità anomala per la stagione in corso.

Qualcuno chiama il responsabile che accorre a decise falcate accompagnato dall’addetto alla sicurezza africano, a cui viene chiesto di tenere d’occhio che nella situazione di emergenza le normali attività commerciali seguano il loro corso. Forse hai mangiato troppa della mia torta, gli va chiedendo nel frattempo la fidanzata che ha ricevuto una salvietta da una commessa per tamponargli il sudore sulla fronte. Qualcuno propone di chiamare un’ambulanza, meglio non sottovalutare la portata del disturbo che sembra intensificarsi.

La madre e la figlia, appurato che la situazione non sembra essere poi così spettacolare, un banale mal di pancia, approfittano del momentaneo diversivo e si dirigono ai camerini con le braccia colme di abiti da teenager.

Gli ho fatto una torta per il suo compleanno, racconta intanto la fidanzata del ragazzo – che sembra stare sempre peggio – alla responsabile, gli ho detto di non mangiarne troppa perché non sapevo come fosse venuta, non sono molto brava a cucinare ma lui l’ha divorata lo stesso, sembrava che gli piacesse. La gente intorno si lascia scappare qualche commento, deve amarla davvero per aver ingurgitato tutte quelle schifezze, dice uno. Un altro, molto cinico, si chiede se avrà voluto avvelenarlo.

Di lì a poco si profila il finale di quel siparietto da letteratura da ombrellone. Due volontari fanno il loro ingresso di gran carriera con una lettiga su cui caricano il giovane che esce nel solleone per essere condotto al pronto soccorso a sirene spiegate. Dentro al grande negozio la situazione torna alla normalità, madre e figlia si avvicinano alle casse, della montagna di abiti provati alla fine ne andavano bene solo un paio e la bimba sembra essere tutt’altro che soddisfatta.

ti faremo sapere

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Ieri a un colloquio qui in agenzia si è presentato un ragazzo che conoscevo e frequentavo saltuariamente almeno vent’anni fa, ora uomo adulto e poco più giovane di me. Il caso ha voluto che ci fossi io dall’altra parte del tavolo insieme a una collega (più in virtù del fatto che sono tutti in ferie che alla mia seniority), e che ci fosse lui di fronte. Non mi ha riconosciuto, però. Vuoi il tempo, vuoi la barba, vuoi il fatto che concentrarsi troppo su sé stessi – cosa che non biasimo se non nelle conseguenze – impedisce di fare propri molti dei dettagli esterni e quando tra i dettagli trascurabili e trascurati dal prossimo ci siamo noi, un po’ la nostra autostima ne risente. E non è un problema di personalità che impressiona o no la pellicola sentimentale altrui. Sono convinto che catturare l’attenzione dipenda solo in parte dal soggetto, mentre subentri spesso la sensibilità dell’oggetto.

Era da qualche giorno che mi rigiravo in mano il suo curriculum e il nome e la foto, oltre alla città di nascita, mi sembravano famigliari. Così quando me lo sono trovato davanti e lui, senza capire chi fossi, è partito con la presentazione standard in ordine cronologico dal liceo all’altro ieri, ho lentamente riordinato tutti i collegamenti e ricostruito una mappatura di esperienze davvero remote perché provate con un corpo e una mente così differenti da quelli che ho in dotazione ora. Lui e i suoi amici artistoidi tiratardi mantenuti e quel modo di vedere il futuro che si è palesato come presente davanti a me, scorrendo la lista delle sue esperienze professionali e raccontate in diretta con un po’ di incespicamenti, il tutto a decretare un fallimento umano se confrontato con il manifesto artistico di allora fatto di provocazioni del calibro di “se non ho successo mi sveno” per uno statuto di norme più che altro estetiche che si vede che con il tempo è stato soggetto a cambiamenti, vista la sua presenza in carne, ossa e liquidi venosi e arteriosi a un metro da me, tutt’altro che avvolto dall’aura della fama. Anzi, messo piuttosto malino.

E io che invece mi ricordo tutto e nei minimi particolari – cose minuscole come la compagna di corso che avvalendosi delle sue canottiere striminzite mi ha estorto il libro di Storia Medievale per dare un esame senza mai restituirmelo o la quantità di mix dei Depeche Mode che una mia ex ha tenuto immeritatamente per sé al momento della separazione dei beni a conclusione del nostro rapporto, quindi fate attenzione a come vi comportate nei miei confronti – sono stato tentato di svelare la mia identità. E lo avrei fatto se man mano che la sua inadeguatezza al profilo qui ricercato, che si andava confermando parola dopo parola, sguardo dopo sguardo, non avesse reso uno spostamento del piano relazionale su un livello più profondo molto pericoloso. Non volevo introdurre elementi tali da rendere poi difficile l’ammissione dell’incompatibilità che si stava profilando. D’altronde sono fatto così, mi sobbarco il lato umano quando invece è importante non lasciarsi coinvolgere. Per esempio poco prima si era presentato un ragazzone che ha dovuto abbandonare gli studi al Politecnico al primo anno per motivi economici e diceva di essere pronto ad accettare qualunque cosa. Se dipendesse da me l’avrei preso subito perché mi ha fatto tenerezza, ma non è così che si conduce un’azienda, non sta a me dispensare ammortizzatori sociali.

E a fatica ce l’ho fatta: sono giunto indenne al “grazie ti avviseremo anche in caso negativo” senza svelare la mia identità, tutti noi presenti a quell’incontro eravamo consapevoli che nulla era andato bene e che non ci saremo rivisti mai più. Così ho pensato a come si è prima, come si diventa dopo, come si cresce durante. E pur avendo dimostrato che è possibile mettere a tacere questa parte di noi solo perché si sta lavorando e si indossa un abito temporaneo professionale, ho pensato che no, l’addetto alle risorse umane non è proprio un mestiere che fa per me.

jaz dove sei?

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“Jaz Coleman, frontman of British post-punk act Killing Joke, is allegedly missing, the Quietus reports. According to posts on the band’s Facebook page, the band pulled out of a tour with the Cult and the Mission, and now other members of the group say Coleman’s whereabouts are unknown.” (via)

città aperta, orario estivo

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Ci si può amare anche se si è poveri, un po’ meno se si è soli. In generale l’essere in due e almeno non proprio entrambi spiantati aiuta, ma pretendere una visura camerale o una dichiarazione dei redditi in fase conoscitiva uccide la passione. Chi si vuole bene e ha le possibilità in questo momento è su una spiaggia della Sardegna o di ritorno da una camminata sulle Dolomiti, è vero ma fino a un certo punto. Così se li vedete per mano in un parchetto di periferia, all’ombra di un gelso che lenisce solo in piccolissima parte l’affanno della canicola, sappiate che ho appena colto uno stralcio della loro conversazione in un italiano usato come campo neutro di confronto, e mi è sembrato proprio di sentir proferire parole d’amore. Entrambi in pausa da un lavoro che nessuno di noi accetterebbe mai di fare, le ore centrali della giornata, quelle più calde, sono il massimo che si possono concedere. Eppure lui osserva compiaciuto il corpo di lei quando lei non vede, lei racconta qualcosa e riesce anche a farlo ridere. Questa è la loro estate perché è la prima che trascorrono insieme, a piccoli sorsi, giorno dopo giorno. Poi raggiungono la fermata del tram, quella con i rivenditori di fiori cingalesi che attendono imperturbabili il primo cliente quotidiano. Due baci sulla guancia che a malapena di sfiorano, forse sussistono implicite barriere etnico-religiose e non possono ancora toccarsi, se non fosse per la globalizzazione del mercato del lavoro provenendo da stati così distanti le probabilità di incontrarsi sarebbero state nulle. Lei sale mostrando il biglietto anche se non è necessario e lui aspetta che il tram riparta. E mi viene in mente la figlia di una signora ucraina che conosco, che da laggiù è emigrata in Svezia, si è diplomata infermiera, ha conosciuto un ragazzo egiziano e si è sposata e non vorrei sbagliarmi ma sono tutti cittadini svedesi ora, e non solo i figli che hanno avuto. Qui c’è il tram giallo, c’è Milano, ci sono quaranta gradi, c’è la miseria, ma il dopoguerra dovrebbe essere finito già da un pezzo.

questione di packaging

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No ma la tweet-querelle tra Courtney Love e Lana Del Rey circa il contenitore ispiratore di “Heart-shaped box” dei Nirvana me l’ero persa, ed è piuttosto esilarante.