abbiamo scherzato

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Un concerto degli Offlaga Disco Pax in una sede pregna di valori come il Carroponte in una località altrettanto significativa che è Sesto San Giovanni il 28 luglio, cinque euro per il biglietto, un temporale estivo all’orizzonte con i lampi che sembrano effetto di un light designer ma poi si spostano grazie al vento. Il pubblico è quello degli Offlaga Disco Pax in una sede pregna di valori come il Carroponte eccetera eccetera, cioè basterebbe solo questo a descriverne la portata emotiva. Alcuni che si lanciano addirittura nella danza delle rarissime occasioni ritmate, i più si rincorrono a voce con i passaggi più memorabili dei racconti musicati del gruppo proprio come fosse un vero concerto rock, la parola detta scagliando il braccio verso il palco come ad accusare gli Offlaga Disco Pax di essere la causa del disagio e non i portavoce. Sul palco e sotto una generazione, quelli che hanno fatto l’esame di seconda elementare nel 1975 come chi sta scrivendo qui, che è protagonista e almeno lasciatecela, questa soddisfazione, quella di essere i primi senza futuro e a dover pagare tutto. Perché è proprio così. Hanno creato tutto un sistema educativo tale da assicurarci che c’era un insieme di cose che nessuno avrebbe dovuto mai più riconquistare, a partire da noi e per i giorni a venire. Così per una sera abbiamo fatto finta che ricordarci quello che non ci è stato mantenuto poteva essere anche divertente, con Max Collini che mette al corrente il suo pubblico delle sue angosce, che poi gliele condividiamo in pieno. La famiglia, la scuola, il partito, la società, gli amici, la musica. Ma non c’è un cazzo da ridere. Ci siamo svegliati tardi, oggi, perché ieri sera il concerto è finito a mezzanotte. Ci siamo alzati e ci siamo ricordati delle Olimpiadi. Ma le Olimpiadi non le trasmettono sulla tv pubblica. Bisogna pagare. Per seguire la più popolare manifestazione sportiva e godere dei significati che le sono propri – lo sport come bene gratuito per il corpo, per la mente, per il carattere individuale e per la comunità – bisogna pagare. La RAI ha poche ore, tutto il resto accade in differita come le cose che vediamo nei programmi di storia che sono già successe. Ci hanno detto che c’erano dei beni che potevamo dare per scontato, che ci erano stati regalati. Ma poi, chissà perché, se li sono ripresi indietro.

dov’è la vittoria

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Il conto alla rovescia è agli sgoccioli. Cinque, quattro, tre, due, uno, via! Iniziano ufficialmente le olimpiadi di Roma 2012. Il regista Gabriele Muccino ha allestito una cerimonia che a detta di tutti sarà indimenticabile. Lo spettacolo ha inizio con un montaggio video mozzafiato, riprese accelerate di un viaggio allegorico che nasce con le sorgenti del fiume Tevere che i commentatori televisivi nemmeno sanno dove sono ma tanto a nessuno interessa, la geografia quasi nemmeno si fa più a scuola. La telecamera corre veloce lungo gli argini ricchi di discariche abusive e di accampamenti di nomadi, in alcuni punti ci sembra che si immerga addirittura sott’acqua e lì non si vede nulla se non qualche pantegana. Lungo il percorso si intravedono alcuni simboli del made in Italy nel mondo, il logo di Dolce&Gabbana e l’inconfondibile marchio della comunità massonica. Un passaggio sotto a un ponte ci rivela un’opera d’arte raffigurante i cinque cerchi olimpici composti da lucchetti, chiusi gli uni dentro gli altri. Prima di giungere a destinazione nello Stadio Olimpico in cui decine di migliaia di esponenti del mondo della politica, dei sindacati e delle istituzioni hanno avuto un posto omaggio per assistere all’inaugurazione, la telecamera si sofferma a Castel Gandolfo, dove Papa Benedetto XVI concede la sua benedizione affinché le gare possano compiersi secondo i valori di Santa Romana Ecclesia. Vinca chi ci crede di più, insomma.

Ma eccoci nel vivo dello spettacolo. Il regista, ricordiamo che si tratta di uno dei massimi esponenti del cinema italiano contemporaneo, ha cercato di sintetizzare nel poco tempo a disposizione l’orgoglio nazionale attraverso tutte le nostre principali eccellenze. Il latifondismo, la camorra, il fascismo (superlativa la metafora della fiamma tricolore/fiamma olimpica sempre accesa), la corruzione, le stragi di stato, l’evasione fiscale, e i casi delle più recenti personalità assurte a modello di italianità come Berlusconi e Grillo, si succedono rappresentati in gag e balletti interpretati dai nostri principali esponenti dello spettacolo, gente del calibro di Panariello, Carlo Conti, Paolo Bonolis, Ezio Greggio, le veline di Striscia la Notizia, il Gabibbo, le Iene. Ed ecco un momento di grande commozione: si celebra il sistema sanitario nazionale proprio nei giorni in cui è stato messo a segno un colpo significativo alla lotta contro l’errore medico.

Ma non è tutto. Muccino ha voluto anche sottolineare l’enorme considerazione in cui il nostro Paese tiene i nostri giovani dedicando un capitolo della cerimonia alla musica giovane, che ha fatto dell’Italia un leader dei trend da seguire in tutto il mondo. Grazie all’escamotage di uno dei telefilm più seguiti dai teenager, Don Matteo, ecco il meglio di quarant’anni di It-Pop: dagli anni ’60 di Celentano e Morandi agli anni ’70, di Celentano e Morandi, fino agli anni ’80 e i ’90 di Morandi e Celentano, fino all’ultimo ventennio, dominato da un revival di Morandi e Celentano e alle recentissime apparizioni televisive di Celentano e Morandi, oramai tornati di moda. E la musica italiana è ancora protagonista mentre i rappresentanti di tutte le nazioni e di tutte le discipline olimpiche fanno il loro ingresso nello stadio, al ritmo dei nostri interpreti rock che il mondo ci invidia di più, a partire da Bocelli, Pavarotti, Gigi D’Alessio, Dolcenera e Laura Pausini. Gli spalti, non omologati per accogliere un numero così imponente di spettatori in tripudio, esultano al passaggio della nazionale italiana, il cui vessillo è portato da una gruppo di calciatori scelti tra gli esempi meno attendibili di comportamento lecito e coinvolti nello scandalo delle scommesse. E sulle note di “O sole mio”, interpretata da uno dei tanti cantanti vincitori di Amici, la cerimonia volge al termine. Da domani sarà già tempo di medaglie d’oro, di agonismo, di voglia di emergere, di guidare l’Europa e il mondo intero.

i più comuni segni della sofferenza

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Sono certo che non sarebbe la stessa cosa se io mi sedessi vicino a te e con invidiabile quanto ostentata indifferenza mi cambiassi come stai facendo tu ora le scarpe, qui sul treno del ritorno. Intanto perché indosso un paio di clarks numero 45, piuttosto borderline nei mesi estivi ma mica per altro le chiamano desert boot, ed è per questo che le metto e anzi tutto sommato sono le meno peggio. Poi c’è l’annoso dubbio dei calzini: saranno a posto o avranno qualche – diciamo – imperfezione? E quindi come essere sicuri che con il caldo la pelle costretta al chiuso non si sia ribellata spandendo fuori il peggio di sé? Senza contare che a quel punto i più curiosi, come me, noterebbero la forma poco standard dei miei piedi, di sicuro non sono il mio forte. Subentrerebbe quindi il problema dello scambio di calzature, perché intanto dovrei avere con me una borsa sufficientemente capiente da garantirne la portabilità. E poi, soprattutto, quale potrebbe essere l’alternativa? Le snickers da mezza stagione? I sandali che non sono proprio il massimo per andare in ufficio? No, gli uomini certe comodità se le possono proprio scordare. Basta solo seguire la perizia e la velocità con cui sbrighi la pratica: via i laccetti, sfili la destra con tacco alto perché ormai la riunione di lavoro è terminata con una mano, mentre con l’altra estrai dalla borsa l’infradito corrispondente al piede libero, quindi esegui la seconda parte dell’operazione con la sinistra e il cambio è eseguito con successo. Un paio di sandali 35 stanno ovunque, niente calzini quindi nessun rischio buchi, pelle inodore perché la calzatura è aperta, ampia varietà di modelli per la stagione, anche da asporto e take away. Così una volta raggiunto il completo relax con la pianta a livello del suolo puoi goderti la tua lettura, un libro di Pasolini di cui non riesco a cogliere il titolo vista l’inclinazione del dorso, e mentre in fretta torno sulle mie pagine – molto meno impegnate delle tue – non posso non notare un piccolo rilievo proprio sotto l’occhio, che da qui sembra una lacrima perenne.

ci hanno davvero preso tutto

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Mi fanno notare che noi che riempiamo il web e i socialini annessi e connessi di citazioni degli Offlaga Disco Pax siamo solo la versione più indie di quelli che creano i gruppi su Facebook dedicati alle più colorite locuzioni di Elio e le Storie Tese. Può essere, anche se vuoi mettere la raffinatezza. Nel dubbio, tutti stasera al Carroponte di Sesto per ballare la cinnamon (come dice una mia amica).

do ut des

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Lo scambio di sguardi è stato più che eloquente. Vedevo solo il suo viso attraente oltre la mia automobile dalla quale ero appena sceso e oltre due o tre vetture a fianco, allineate in quel parcheggio, e avevo notato che mi osservava e così l’ho osservata anche io. Che strano, ho pensato. Una donna così piacente che mi fissa in un luogo così particolare. Non mi sono quindi stupito più di tanto quando, perseverando in quella sorta di flirt oculare, mi si è rivelata nella sua figura intera con quei vestiti eccentrici che mi hanno palesato la sua appartenenza etnica e il motivo della sua presenza lì, con un neonato a tracolla e una mano inequivocabilmente intenta in una questua di solidarietà. Che sciocco, ho pensato, meglio non raccontarlo a nessuno per non essere vittima delle burle altrui. Che già quell’altra volta in quel locale dove si diceva fosse comune incontrare i calciatori del Genoa e della Samp ero stato avvicinato al bancone da una tipa davvero superlativa tutta fasciata in una tuta aderentissima nera, roba da teatro off ma indossata in un modo smaccatamente provocatorio, anzi, provocante viste le forme, e le ho viste eccome le forme. Insomma io stavo aspettando la mia consumazione e questa mi ha detto qualcosa e io non ho capito, poi mi ha chiesto se le volevo offrire da bere e allora ho capito e le ho detto di no, grazie. Nessuno fa niente per niente.

scegli la uno o la due?

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Che soddisfazione quando, svegli da poco, ci viene servita su un piatto d’argento la possibilità di sistematizzare un insieme ampio e anni fa variegato come l’universo femminile under 20 attuale in due macrocategorie. Quelle smilze e slanciate con i capelli lunghi e lisci modello Elisabetta Canalis/Nicole Minetti, ray ban che un tempo metteva solo gente del Fronte della Gioventù, canotta su short striminziti di jeans e stivali estivi, e più volte abbiamo discusso quanto il concetto stesso di stivale estivo sia contraddittorio. Poi ci sono quelle un po’ meno smilze e slanciate con pettinatura elaborata, corta, tinta e pirotecnica modello Emma Marrone/Amici di Maria, ray ban che un tempo metteva solo gente del Fronte della Gioventù, canotta su short striminziti di jeans e stivali estivi, e più volte abbiamo discusso quanto il concetto stesso di stivale estivo sia contraddittorio. Quindi la difficoltà in fase identificativa consiste solo nel registrare acconciature discutibili, se non altro per i modelli umani che ricordano, perché come avrete capito il resto va via semplice. E meno male che almeno nella dicotomia della pettinatura c’è qualche elemento differenziante, perché se guardiamo all’altro genere, quello maschile, non sussiste nemmeno questo minimo imbarazzo della scelta. Così, dolcemente complicate, stanno tutte ferme in piedi sul binario con il loro fido trolley accucciato a fianco in attesa di partire per le vacanze ma con le gambe già abbronzate e l’inseparabile smartphone in mano che c’è sempre qualcosa da controllare o da laicare, uno status da aggiornare, un tentativo di rimorchio online da cui schermirsi, un commento da fraintendere. Be’, nell’augurare buone vacanze anche a voi, mi chiedo come faranno i vostri genitori a distinguervi dalle vostre amiche quando tornerete a casa. Se non dal tatuaggio, ma forse nemmeno quello.

gli artisti anche dopo

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Non è certo quello che, chi non suona, immaginerebbe come la fine perfetta della serata di un concerto, ma chi suona e non si chiama Mick Jagger sa che una volta smontati gli strumenti restano solo i buoni per i drink, l’unica cosa che ci è concessa consumare nel locale. Ma quella sera, era pieno agosto e in giro di facce conosciute nemmeno una, io e Peo – Peo era una specie di bassista – e anzi quella notte perché in estate si comincia sempre tardi a suonare e non si sa mai quando finisce, io Peo sulla via di casa ci siamo fermati in un forno che spacciava focaccia senza scontrino e fintamente di contrabbando perché non avrebbe potuto vendere al dettaglio fuori dall’orario degli esercizi commerciali. Comunque abbiamo abbondato perché era un po’ che non passavamo un po’ di tempo insieme, almeno cinque anni che non ci capitava di suonare più sullo stesso palco, e altrettanti da quando entrambi non vivevamo più da quelle parti. E come ogni rievocazione storica che si rispetti, abbiamo seguito alla regola la degna conclusione di una serata inconcludente, proprio come quando quello faceva parte del nostro mestiere. Focaccia e birra, due bottiglie a testa da 66 cl a temperatura glaciale, e poi via sugli scogli per quella colazione da campioni. E non sapevamo nemmeno che ora fosse e non l’avremmo mai scoperto se a un certo punto non fosse schiarito tutto. L’alba su due amici che a malapena si erano riconosciuti qualche ora prima, e che ora sembrava proprio tutto uguale ma no, non era poi così bello nemmeno allora.

e l’ultimo chiuda la porta

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Leggendo questo post di Melusina ho ripensato a quanto mi ha detto un’amica, cioè che se non fosse per la voglia di fuga del marito e dei figli lei trascorrerebbe luglio e agosto a casa a godersi “gli altri” in vacanza. A me le ferie invece piacciono poco perché poi finiscono e l’abitudine a una situazione piacevole ma circoscritta perde nel confronto con il ripristinarsi dell’ordinarietà, un argomento molto debole, lo so, perché poi ci sono quelli che addirittura dicono che la vita è così e secondo questo punto di vista allora uno non nasce nemmeno e io a quel punto tra me penso che be’, in effetti. Ma poi alla fine cerco di godermele più che posso e come ancora di salvezza, come obiettivo di sopravvivenza al rientro che per me è ai primi di settembre mi dico che a tre mesi ci sono le festività natalizie e ci si ferma di nuovo. Ma è lo stare ad aspettare che tutti siano via la cosa che ogni anno mi rattrista di più, presidiare una casella di posta che si riempie giorno dopo giorno di risposte automatiche, una sfilza di cartoline dagli uffici vuoti spedite da quel inconsistente alter ego virtuale che rimane negli spazi di lavoro abbandonati a sé stessi. E ancora una volta aspetto che escano tutti, controllerò sede per sede che i clienti siano davvero già partiti, inserirò l’allarme alla fine dei mesi produttivi e metterò una professionalità in stand-by, sempre con il dubbio che al rientro ci sia energia sufficiente a riaccendere tutto.

le antimaterie

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La geografia era una delle mie passioni da bambino, il che mi fa ridere perché ora sono analfabeta di ritorno in questa materia, dovreste vedere dove colloco l’Abruzzo o Isernia giusto per citare due svarioni che ho preso di recente. Andavo matto per le bandiere, soprattutto, e questa è una inclinazione che ho trasferito a mia figlia, la quale malgrado le informazioni anacronistiche che le passo parlando di Jugoslavia o di Cecoslovacchia (ma qui siamo negli ambiti della Ostalgie) riconosce i più disparati vessilli internazionali. Ma anche quando era più piccola si muoveva a proprio agio sul planisfero cercando gli stati in cui si svolgevano le guerre di cui sentiva parlare al tg3 o le più remote repubbliche ex sovietiche. Io ho ancora eco di quell’interesse nella curiosità per le targhe automobilistiche internazionali. Durante i viaggi lungo le autostrade italiane con mio papà al volante speravo sempre che qualche vettura straniera ci sorpassasse per aumentare la mia collezione di targhe non italiane scorte. Ma ai tempi oltre a tedeschi, francesi, inglesi, austriaci, olandesi, belga e svizzeri raramente si incontravano automobili o veicoli commerciali più esotici. Mica come adesso, con il boom del turismo proveniente dall’est Europa. Le nostre strade pullulano di automobili rumene di grossa cilindrata. Poi vedo molte targhe bulgare su mezzi un po’ meno di lusso, qualche furgone o camioncino dall’Ucraina. E ho sempre il vizio di guardare dentro e cercare tratti somatici un po’ diversi da quelli abituali.

Ne parlavo con una conoscente, che è rimasta contrariata da questa mia abitudine. Dice che è pericoloso, che non si sa mai come possano reagire, che è meglio non guardare, non parlare, non rispondere, non lasciarsi andare a diverbi in caso di scorrettezze sulla strada, nei parcheggi. Insomma, se non ho capito male la passione per la geografia, di questi tempi, è sconsigliata. Probabilmente anche la storia, almeno da quanto si vede in giro, si corre il rischio di essere preso a sprangate o di essere querelato. L’educazione civica non ne parliamo nemmeno, le cantine e le soffitte sono gremite di testi scolastici lasciati intonsi e nelle strade il risultato è più che palpabile. Ci sono materie che le complessità crescenti rendono sempre più difficili da studiare, da essere oggetto di dibattito e di condivisione, nelle quali occorre muoversi con la massima cautela e correttezza. Non c’è più una maggioranza di opinione che rende implicito ciò che può essere dato per scontato, tutto può essere messo in discussione e alcuni dicono che va bene così, che sono state abbattute le barriere del pensiero unico. Su questo la mia conoscente ha messo l’accento, sottolineando le parole pensiero unico, e io so dove voleva arrivare, perché tolta la vernice sberluccicante dal concetto di pensiero unico si vedeva un’anima di ferro arrugginito a formare le parole egemonia della sinistra nella cultura. Ma io a quel punto mi ero smarrito, perché ripensavo alle vecchie Citroen targate Marocco che correvano verso Gibilterra cariche di tappeti, o a quella volta in cui una specie di Limousine di un qualche paese arabo di quelli con gli sceicchi, con la targa piena di simboli che sembravano spade, era parcheggiata con i vetri tutti neri in un’area di servizio. E ora, quando guardo che faccia hanno gli autisti stranieri che più stranieri non si può quando li sorpasso, desideroso di migliorare la mia preparazione in geografia, non vedo altro che persone attente a non superare i limiti di velocità, con la destinazione e la voglia di tornare a casa impressa negli occhi.

questo è troppo

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Poco fa, appena sveglio, mi è venuta voglia di ascoltare un po’ di musica. Così ho contemplato il mobile che ospita l’impianto hi-fi, i 33 giri e i cd e ho pensato a quale dispositivo avrei acceso per ascoltare la musica, sperando che la risposta potesse arrivarmi dalle cose. Il giradischi o il lettore mp3? L’iPod che porto con me quando vado a correre o l’hard disk, per usare il quale devo però attivare la tv per scorrere il menu di gestione? Oppure il computer portatile, posso cercare un brano su youtube e ascoltarlo da lì collegandolo all’amplificatore. E a seconda di cosa utilizzare, che cosa ho voglia di ascoltare? Il cloud mette a disposizione qualunque cosa, se i tera di file e le centinaia di vinili non bastassero. Ma quei minuti di indecisione hanno guastato l’entusiasmo di trovare la colonna sonora più adatta all’inizio di giornata. L’ispirazione non sta certo lì ad aspettare chi tentenna. Per fortuna la caffettiera a quel punto ha emesso il suo inequivocabile gorgoglìo, il silenzio con il suo incantesimo si è spezzato, e mi sono accontentato di uno dei rumori più piacevoli del mattino. Colazione, campane, cicale: è ora di tornare ai fondamentali.