non ci posso credere

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A un paio di isolati da qui c’è una chiesa che è talmente ben mimetizzata con l’edilizia residenziale che da fuori non la riconosci. Non c’è una facciata o un campanile, un sagrato che ne riveli la presenza. Si tratta di una costruzione moderna, chiaramente. Quando mi sono trasferito a Milano ci scherzavo su sul fatto che è più facile vedere da queste parti chiese di architettura contemporanea ed economica, poi se arrivi da una città che ha il centro storico più grande d’Europa con edifici religiosi millenari noti la differenza. A mia moglie dicevo cose tipo “bello questo gotico fiorito” di fronte a certe mostruosità in cemento armato di periferia che di sicuro non ti invogliano alla spiritualità. Perché trovo che ci sia anche questa componente estetica che ti avvicina a Dio. Arrivi a un punto in cui ti trovi disorientato e la tua vita ha bisogno di una pausa di riflessione, devi mettere in discussione il modo in cui conduci l’esistenza perché c’è confusione dentro di te, ti hanno detto che sei superbo e avaro, ti senti lussurioso e, come tutti, invidioso. Mangi e bevi e ti incazzi per nulla e poi subentra l’accidia e ne hai presi sette su sette, dei vizi capitali, che se ci fosse un concorso a premi tipo turista a vita ultraterrena avresti già vinto. Così ti leghi i capelli in una coda, indossi la camicia bianca e pulita perché allo specchio è così che ti senti in grado di ispirare fiducia e decidi che da oggi andrai a messa tutte le domeniche, perché quel giorno lì, il giorno della svolta, del nuovo inizio, è un dì di festa. Seduto sui banchi di legno della chiesa che dicono sia stata fondata nel 1049 – comunque è davvero la più antica – guardi ad uno ad uno le facce dei santi e dei martiri negli affreschi mentre aspetti che il prete entri in scena. Poi la vecchina a fianco, inginocchiata, ti sorride ed è lì che ti accorgi che l’errore sta in quel modo che hai di concepire la fede-as-a-service, quando hai i momenti di sconforto acquisti una ricarica nella frescura e nella penombra di una navata tardo-romanica ma passano uno o due giorni e non accade nulla. Probabilmente invece occorre acquistare una licenza di utilizzo all’inizio, la vecchina è un power user e si vede nelle rughe di beatitudine e nella postura che la fede ha dato i suoi frutti. Ci vuole tempo.

Invece, nella via qui sotto, se un giorno a qualcuno venisse la folgorazione mistica non riuscirebbe a portare a termine la conversione perché non troverebbe la chiesa, in cemento e mattoni rossi come i palazzi a fianco. Una volta una signora, per strada, mi chiese indicazioni. Sa dove trovo la parrocchia di San Luigi? Credo sia l’unica di questa via ma non la vedo, mi disse. E le confermai che aveva ragione, anche io l’avevo scoperto per caso perché una mattina c’era un funerale e c’era la Mercedes delle pompe funebri parcheggiata davanti, un crocchio di parenti e amici con occhiali neri e vestiti scuri. E almeno un paio di volte al mese, con frequenza variabile, quando passo di lì incrocio i quattro incaricati al trasporto della bara e dei fiori, fumano una sigaretta mentre dentro si officia la cerimonia per il defunto. Stamattina invece c’erano due pullman turistici parcheggiati sulla strada in doppia fila con le quattro frecce alla faccia del traffico che, vabbè che siamo in estate ed è meno intenso, però c’era una discreta coda di automobilisti spazientiti dietro. I pullman si stavano riempiendo di ragazzini per una gita parrocchiale, gli educatori volontari riponevano gli zaini nel portabagagli sotto, una responsabile faceva l’appello chiamando a uno a uno i partecipanti. E in quei frangenti non ti puoi lamentare se sei dietro e hai fretta e non puoi superare la carovana ferma perché nell’altro senso di marcia continuano ad arrivare mezzi in movimento. Se provi a chiamare i vigili quelli danno ragione alla parrocchia e agli organizzatori, nessuno avrebbe il coraggio di multare una chiesa e mettersi contro la curia, no? A me era capitata una cosa simile una volta con un’ambulanza. Mentre i lettighieri erano saliti su per le scale a recuperare l’infortunato, l’autista, o, meglio, il pilota, si era messo in mezzo bloccando tutte le auto e soprattutto me che ero già in ritardo, in una strada stretta in cui sarebbe stato sufficiente mettersi un po’ meglio per non recare nessun problema agli altri. E uno dei volontari, dopo che mi ero lamentato del loro modo di fare le cose, si era anche risentito e mi aveva detto di chiamare pure i vigili, sentiamo il loro punto di vista. Per questo nessuno poi si lamenta. E alla fine i pullman sono ripartiti e i genitori si sono dispersi in gruppetti mentre l’addetto alla manutenzione iniziava a innaffiare le fioriere lungo il marciapiede.

sbornia di calcio

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Quest’anno anche io mi sto preparando sugli Europei e questa è la novità, come dice, pardon, direbbe Lucio Dalla. Nel senso che ho seguito lo scorso incontro dell’Italia fino alla fine dei tempi supplementari perché i rigori non ce la faccio, mi mettono ansia e non li considero una pratica sportiva. Cioè dopo due ore in cui corri avanti e indietro per il campo rimetti il destino della partita e della tua squadra o magari di un campionato come questo a una roulette in cui più che l’abilità e il sangue freddo conta la fortuna? Comunque ieri sera ho seguito anche qualche frazione di gioco di Spagna – Portogallo, e mi spiace dirlo ma la Spagna mi sembra su un altro livello rispetto alla nostra nazionale, no? Quanto alla Germania, di certo in rigore sono superiori a noi. Ma non vorrei attirarmi l’ira dei tifosi, e a dimostrazione che preferisco evitare di gufare, ecco i veri Gufi. Forza Italia. Ops.

tra parentesi

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C’è quel posto che si vede dall’autostrada che ti affitta uno spazio in cui accatastare tutte le tue cose quando per esempio devi liberare un appartamento e in quello nuovo non ci sta tutto, oppure non ne hai ancora trovato uno e non sai dove piazzare i mobili, o magari inizi una nuova vita e vai a convivere con qualcuno che ha già una casa a cui non manca nulla, non puoi permetterti di tenere la tua o ti sembra di cattivo augurio. Ma come, uno si butta senza indugio in una storia d’amore e si tiene una copia di back-up del proprio passato, non si sa mai che qualcuno ci ripensi? Comunque non fa al caso tuo, anzi per il nuovo appartamento uno dei tuoi coinquilini si è offerto di occuparsi dell’acquisto del materasso Ikea perché ne avevi bisogno, quello che lo vendono tutto accartocciato e poi si gonfia da sé. Per le poche cose che hai c’è posto in abbondanza, avrete a disposizione una camera a testa. Oggi è l’ultimo giorno della sistemazione temporanea con gli amici di Anna, e mentre state rientrando dal Lido è lei che ti suggerisce di abbassare il volume della musica mentre avvisi al telefono Leo che c’è coda e arriverai in stazione con almeno una mezz’ora di ritardo. Ma anche il suo treno non è in orario, così quando sta per estrarre il libro dalla borsa per ammazzare il tempo in tua attesa lo scorgi nell’atrio e già stavi componendo il suo numero perché non lo vedevi.

A cena, con Anna e il suo moroso in un ristorante etnico senza aria condizionata, ti scusi con Leo del fatto che il trasloco anticipato al giorno dopo è stato un caso, ma per lui non c’era problema, avrebbe incontrato lo stesso il mattino seguente il tuo capo per avviare la collaborazione che gli aveva proposto. Semmai dover gestire un ospite avrebbe potuto generare una complicazione in più, oltre a portare vestiti e libri nel nuovo appartamento. Mi hai detto però che Leo si è perfino offerto di darti una mano nel pomeriggio con tutta la roba, e che già che era lì gli hai proposto di fermarsi una sera più. Che cosa strana. L’ultima notte nella vecchia casa e la prima nella nuova le passerete insieme. Tanto tutti sanno tutto, il moroso di Anna poi ci scherza su perché mentre uscivate dal posto dello spritz ti ha sentito dirgli una cosa tipo stanotte però devi dormire nel mio letto e Leo che ha fatto quel gesto con le mani sopra la testa come i grilli quando sfregano le zampette.

La mattina dopo tu sei uscita presto per andare in ufficio anche se non avevi chiuso occhio, e hai lasciato a Leo tutte le indicazioni per raggiungere la sede dello studio, quale autobus e il numero della fermata. L’appuntamento di Leo è in tarda mattina, quindi fa le cose con calma e saluta gli sconosciuti futuri tuoi ex-coinquilini. Tu lo aspetti giù in strada perché lo studio è una zona industriale e non è facile orientarsi. Fa un caldo surreale, c’è persino quell’effetto dell’asfalto che da lontano sembra che esca del vapore. Quello che non capisco è perché né tu né Leo, al momento di rivedervi, avete fatto il minimo accenno a quello che era successo fino a poche ore prima, a parte una battuta allusiva sull’addormentarsi sul computer per il sonno. L’esito della riunione comunque va bene, non avevi la minima preoccupazione anche se tu avevi creato quel contatto e mescolare amicizie e lavoro non sempre è conveniente.

Leo quindi torna in centro, la temperatura è ancora salita, se possibile, e lui è uno di quelli che quando fa caldo non riesce a mangiare. Solo liquidi. Lo rivedi comunque a metà pomeriggio, insieme caricate tutte le tue cose sull’auto dei tuoi genitori che sono venuti a dare rinforzo. E la situazione fa un po’ ridere, Leo lì per caso che sembra il tuo partner ufficiale mentre carica la lampada nel bagagliaio aiutato da tuo padre. Ma chissà i tuoi quanti amici maschi ti avevano già visto intorno. Poi tutti su per le scale della casa nuova, che è bella ma è in una palazzina d’epoca al secondo piano e non c’è l’ascensore. Arrivano anche i tuoi nuovi coinquilini con il materasso, e in quattro e quattr’otto la stanza è sistemata. Tua madre propone di bere qualcosa di fresco insieme. Al tavolino del chiosco all’aperto chiacchierate un po’ di tutto, i tuoi genitori sono molto a loro agio anche con Leo, non è che pensino chissà che cosa, Leo stesso non si imbarazza. Il fatto di aver trascorso una notte in bianco e l’afa e la fatica del trasloco fanno la differenza, anche tu hai quella specie di ubriacatura che ti viene quando si dorme poco. E la sera, dopo una pizza e una birra, sei ko. Meglio coricarsi presto, Leo deve prendere il treno all’alba per tornare a Milano perché anche se è sabato lavorerà e lo aspetta quel tizio per cui sta facendo una consulenza che va avanti da mesi. Il materasso non è male, Leo dice di preferire quello della sera prima ma tanto vi addormentate entrambi subito, meglio così.

vicini ma irraggiungibili

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Pochi cantanti non sopporto come Lucio Battisti. Forse Zucchero ma la lotta è dura. Vuoi la supponenza con cui siamo abituati a vederlo pervaso, in bianco e nero con il dolcevita o il foulard al collo nei programmi d’epoca. Vuoi la diffusione capillare delle canzoni del sole, quei fucking tre accordi zappati sulle corde della chitarra che so fare anche io. Vuoi la presenza forzata nel repertorio di qualsiasi musicista da pianobar – e io lo nacqui – che al momento di arringare alla folla le sue rime trite e ritrite erano le uniche conosciute da cani e porci – con il dovuto rispetto, eh – e quindi la scaletta non poteva esimersi dal comprenderlo in lungo e in largo. E infine la svolta intellettuale post-mogol che boh, voglio dire se ho bisogno di ermetismo fine a se stesso al limite ripiego su altro, Battiato è il primo che mi viene in mente. Quello che non reggo poi è la sovraesposizione estiva nei palinsesti televisivi pubblici, quando c’è da coprire un buco o da tirare tardi e non ci sono idee né risorse per programmi nuovi ecco che dal nulla parte questo o quel presentatore che lascia il microfono e la scena a momenti claustrofobici come quello sotto, che già farebbe venire caldo in macchina al freddo di novembre mentre torni a casa con la nebbia e il riscaldamento che nella centoventisette a malapena era stato inventato e una sbornia triste dopo che la fidanzata ti ha lasciato. Figurati con gli anticicloni africani in casa e le vacanze ancora da fare. Che poi ti rimane in testa tutto il giorno.

sotto sotto

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Vi faccio ciao ciao con la manina a voi là sotto, a me lavorare in un seminterrato mi metterebbe in soggezione e lo so perché è un’esperienza da cui sono già passato. Da tre sedi ai piani medio-alti ci avevano concentrato tutti al meno uno perché è quello il mondo dei loft, una volta si chiamavano scantinati ma è bastata una mano di resina sul pavimento e qualche iMac per farne un posto che ti viene voglia di organizzarci pure le feste. E tutte le luci per farne un ambiente accogliente perché la luce naturale non entra mai, dalle finestre sulla strada – se hai il coraggio di lasciare su le tapparelle – vedi cani al guinzaglio e calzature di tutte le fogge che sono utilissime perché ti accorgi dei cambiamenti di stagione. Per non parlare del periodo delle piogge che sembra che ti entri l’acqua dentro e magari poi qualche infiltrazione c’è. Ma la vera anima del seminterrato è sotterranea, qui è il vero underground, perché quando ti capita di fare tardi perché hai una scadenza il giorno dopo, magari vai in bagno che ormai è sera e quando accendi la luce ecco il fuggi fuggi generale delle creature della notte che vivono lì da prima di te e si danno appuntamento tra loro bacherozzi di ogni genia sotto la colonna del lavandino. E pensare che nella ristrutturazione è stato previsto anche l’allestimento della doccia tanto che qualcuno va a correre al parco a fianco e poi ne approfitta per non tornare alla sua postazione sudato marcio, ma dopo che assisti al party di insetti qualche remora ti viene. E il mio ciao ciao mentre passo e, abbassando lo sguardo, vi vedo perché c’è un vasistas aperto (spero non abbiate l’aria condizionata guasta) è solo di solidarietà perché da quella volta lì, dopo il concentramento nello scantinato, non c’era stato più scampo e in un paio d’anni eravamo tutti in mezzo a un strada, probabilmente terminare così è una sorta di riconquista della dignità, dal seminterrato al piano zero si sale almeno di mezzo livello.

è partecipazione

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Eri tu, se non ricordo male, che dall’alto dei tuoi ventitre e rotti anni ti indignavi del fatto che le migliaia di ragazzi scesi in piazza e nei cortei a protestare contro la riforma della scuola di una delle più inette ministre dell’istruzione della storia dell’occidente moderno e contemporaneo – cucita su misura di una delle peggiori riforme economiche della storia dell’occidente moderno e contemporaneo a sua volta pensata per favorire un sistema politico costruito a premiare un partito azienda e il suo presidente che guarda caso era anche il più cialtrone tra tutti i presidenti del consiglio nella storia dell’occidente moderno e contemporaneo – non fossero credibili per via del fatto che, mescolati a quei crocchi di manifestanti, si ergessero qua e là striscioni con simboli di movimenti di sinistra, icone dell’immaginario rivoluzionario comunista e bandiere di stati di cui dal dopoguerra se ne rivendica l’esistenza. E i canti di protesta stessi della moltitudine e le dichiarazioni dei giovanissimi intervistati registrati e trasmessi da telegiornali e speciali non potevano essere autorevoli perché chiara espressione di una strumentalizzazione ad opera dei partiti storicamente oppositori dei vari governi di centrodestra. Io pur rigettando discussioni dell’assurdo come quella, tentavo comunque di capire visto che il destino ci aveva posti fianco a fianco in una sala prove a tentare insieme l’ennesima formazione musicale in grado di conquistare qualche stralcio di fama artistica. E ti chiedevo in cosa consistesse il problema, perché mai gruppi di persone appartenenti a questa o quella organizzazione e decisi nell’essere rappresentati da un vessillo identificabile avrebbero dovuto nascondere la passione da cui sono spinti in un contesto in cui la questione era anche politica. Ma no, non ci siamo intesi, perché comunque non ammettevi il fatto che ci fossero ancora persone attaccate a miti superati e inattuali come tessere e delegati e iniziative di autofinanziamento. Eri tu che comunque non riuscivi a formulare un ragionamento efficace in difesa della tua teoria, che una protesta poteva essere tale solo se scevra dalla rivendicazione del portavoce di partito o del segretario in tv asserragliato da microfoni, cameraman e  giornalisti. Una visione utopistica, decina di migliaia di individui che sfilano contro qualcosa pronti a coalizzarsi solo ed esclusivamente secondo un cappello tematico? Il mondo non funziona come i like di facebook, caro mio. Ci sono tanti che fanno politica dal basso, partecipano in associazioni in veste delle quali aderiscono ai cortei. Eri proprio tu che non concepivi queste dinamiche e che, qualche mese dopo, ti hanno visto sulla porta della sede della Lega Nord del tuo paese.

bambini ora facciamo geografia, oggi studieremo usando le cartine, quelle lunghe

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Amici lettori, se siete genitori di figli promossi in terza asilo nido e avete in mano l’ammissione dei vostri pargoli alla prima scuola primaria per l’infanzia sappiate che da settembre, dal primo giorno in cui varcherete la soglia del nuovo edificio scolastico le cose cambieranno. Io ci sono passato tempo fa, ormai mia figlia è grande e va in quarta elementare, ma ai tempi non avevo ancora un blog e se l’avessi avuto vi avrei tramandato questa perla di esperienza sul campo di padre.

Perché sappiate che se siete abituati a essere coccolati dalle educatrici che all’ingresso accolgono voi e il vostro bambino/a duenne con il sorriso sulle labbra e quando a metà pomeriggio andate a recuperarli vi ragguagliano sulla pappa e la pipì e la pupù e che cosa hanno fatto e cosa hanno detto e a cosa hanno giocato senza lesinare in particolari, l’impatto con la scuola materna potrebbe non essere dei più semplici. E non corrucciatevi, non è che durante l’estate è successo qualcosa al vostro bimbo che da tenera creatura al centro dell’universo vostro e del resto dell’universo stesso si è trasformato in un iscritto come tanti altri e non è più l’unico essere in vicinanza del quale tutti possono godere della luce riflessa che i suoi occhioni e le sue fossette emanano. Non c’è nulla che ha reso trasparente lui/lei e, di conseguenza, ha reso voi una pratica da sbrigare necessariamente affinché sia decretata la fine di una giornata lavorativa. Purtroppo il progetto educativo cambia ed è diverso il rapporto personale-bambini, le maestre hanno molte più cose da tenere sotto controllo e anche la gestione stessa, con bimbi più grandi, aumenta di complessità. Nessuno ti aggiorna più sui minimi progressi di tuo figlio/a ed è il genitore che dev’essere proattivo nella richiesta di dettagli alle insegnanti, quindi bisogna mettersi in fila e aspettare il proprio turno o chiedere un ricevimento come nella scuola dei bambini grandi.

E poi una volta entrati nella scuola materna, che è il primo livello della scuola a tutti gli effetti, bisogna informarsi perché non è più come al nido che le educatrici ti avvisano che il tal giorno c’è questo o il tal altro bisogna portare il materiale per quell’attività. Per non parlare del fatto che alla scuola primaria per l’infanzia le insegnanti aderiscono agli scioperi e partecipano alle attività sindacali, mentre presso gli asili nidi, quasi tutti esternalizzati a cooperative più o meno specializzate, vige la normativa del lavoro privato e relativi contratti farlocchi, a progetto da settembre a giugno e poi tutti nei villaggi turistici a insegnare balli di gruppo.

E ho capito molto sulla vera differenza tra le due tipologie di docenti, quelle del nido e quelle in forza alla scuola materna (in entrambi i casi sono al 100% di sesso femminile, e mi sfugge il perché dato che se avessi la possibilità di lavorare in una scuola o nell’altra andrei già domattina) nell’episodio che vado a raccontarvi. Mettetevi comodi. A una festicciola ufficiale di fine anno scolastico una delle maestre della scuola materna frequentata da mia figlia si è presentata accompagnata dal marito, il quale indossava una maglietta con un inequivocabile disegno stampato sopra di una foglia di cannabis. Ora non voglio essere ipocrita, nel senso che da sempre ritengo questo tipo di abitudini nemmeno degne di essere disquisite, uno può fare quel che vuole, sfido a trovare uno che non abbia mai provato a farsi una canna in vita sua e se trovate chi non l’ha mai fatto abbiatelo in sospetto. Cioè stiamo parlando di un vegetale che quando lo fumi ti dà effetti che vanno dalla stupidera all’inebetimento.

Semmai uno potrebbe farne una questione di stile, voglio dire una maglietta del genere è un po’ da tamarro e nemmeno le forze dell’ordine quando si vestono in borghese per passare inosservate e arrestare sedicenni con un’unghia di fumo in tasca la indossano più. Ma anche se fossi un acceso sostenitore dei poteri lenitivi della canapa indiana in ambito medico, e se fossi il marito di un’insegnante di una scuola materna, e se in quanto tale dovessi accompagnare mia moglie a una festa dove ci saranno i genitori degli alunni di mia moglie, non credo che metterei una maglietta così. A quarant’anni e con miei coetanei che sono lì per conoscere meglio la persona che ogni giorno si prende cura dei propri figli. Le presento mio marito. Piacere, ah anche a me piace farmi un tiro di free joint bambulè di tanto in tanto. Ma lei se la fa arrivare dall’Albania o la coltiva in casa? No guardi, la prendo da un rivenditore di Amsterdam su Internet, anzi se vuole domattina le mando un po’ di semi, li metto nella sacca di mia figlia insieme alla calze antiscivolo.

Ecco, sicuramente si tratta di un caso, magari il marito della maestra d’asilo in questione era di ritorno dal cantiere e non ha fatto in tempo a cambiarsi, ma sono certo che le educatrici del nido, sarà che hanno un datore di lavoro differente, sarà che non hanno nessun diritto e nessun sindacato che le difende, non si permetterebbero mai un abbigliamento così. E laddove si è liberi di fare quel che cazzo ci pare interviene in soccorso il buon senso. Apro ufficialmente il dibattito.

piccoli omicidi tra colleghi

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Io ho sempre lavorato in aziende piccole se non piccolissime, dove non c’è bisogno di intervenire con attività di team building perché il team building lo si fa sul campo portando a termine i progetti entro le scadenze. Anni fa poi non c’era nemmeno il tempo, si sgobbava da mane a sera, spesso festivi compresi, la pausa pranzo era un panino davanti al pc, e ci si levigava l’un l’altro un modo da essere alla fine tutti pezzi complementari ancor prima di pensare al bene dell’azienda. Nel senso che se non ti adattavi ti sobbarcavi uno stress aggiuntivo allo stress della produzione, quindi o rimanevi facendo compromessi, o rimanevi con l’esaurimento nervoso, o te ne andavi, o ti licenziavano. Poi c’erano quelli che si plasmavano a seconda dell’ambiente con il sorriso sulle labbra e magari il naso un po’ sporco di polverina magica, che visti da qui alla fine erano anche i più fortunati. Tutte le attività collaterali erano business in meno, compresi i kick off e i week-end nei parchi avventura e la formazione sul nulla. Ci pensavo stamattina mentre ascoltavo di straforo una conversazione tra due colleghi, non miei ma colleghi tra di loro, lui col borsello Calvin Klein e lei con la schiscia in una borsa di tela di quelle che si stampano come gadget per eventi, che si scambiavano confidenze sul fine-settimana aziendale trascorso non so dove a discutere (senza mettere in discussione) di strategie aziendali. Perché probabilmente il bene individuale di queste grandi società che sono anche micro-società è il bene comune, quindi maggiori profitti e quindi il bene che diventa ancora meglio. Almeno in teoria. Io che non ho mai partecipato a queste iniziative pensate per favorire la coesione tra dipendenti e collaboratori sono piuttosto scettico, le differenze tra il capitale umano sono una risorsa e il tentativo di trovare un denominatore comune a tutti i costi è svilente per chi è sufficientemente intelligente da sapere come ci si comporta sul posto di lavoro. Semmai il problema è cercare persone che siano consapevoli di ciò anziché tirare a bordo il primo venuto e cercare di convincerlo che ci sono modi più efficaci dei suoi. Ma, in tempi di crisi, conferire consulenze su cose come la PNL è considerato un investimento, o almeno un modo per spartirsi le briciole. E, detto tra noi, con certi colleghi non ci condividerei nemmeno un mp3. Figurati il mio tempo libero.

servizio a domicilio

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Nell’era dei tweet e dei pensierini liofilizzati e corredati da foto pseudo-vintage che già fanno sembrare l’Internet che abbiamo imparato a conoscere e a studiare per lavoro un dinosauro mediatico, alcuni tipi di comunicazione diretta fanno tenerezza e meritano attenzione almeno quanto chi ti si presenta a un colloquio con un portfolio caricato su una cartuccia e relativo Zip 100 con presa SCSI (senza portare con sé nemmeno il cavo) nel 2012.

Mi riferisco a quei pionieri del direct marketing che sono i Testimoni di Geova (vi avviso subito che la battuta vecchia come il cucco Testimoni di Genova a me ha fatto sempre ridere, da buon ligure), quelli che ti suonano al citofono la domenica mattina e appena rispondi ti dicono cose tipo “Buongiorno, mi fa piacere trovarla in casa, mi stavo chiedendo quale idea ha lei di quello che succederà dopo la vita terrena e se possa esistere davvero una possibilità di salvare la nostra anima anche una volta che si è separata dal nostro corpo. Le va di scambiare qualche opinione a proposito?” e mi spiace davvero che una domanda così a bruciapelo sia assolutamente spiazzante tanto che ironia e sarcasmo di fronte a una così ampia gamma di possibilità alla fine si riducano a un insieme vuoto e ti viene d’istinto di rimettere la sicura e di liquidarli con un innocuo “guardi, sto stirando, mi scusi ma non è proprio il momento”, e loro non hanno compreso il rischio, o forse lo hanno compreso ed è proprio quello che cercano se per essere promossi honoris causa nella cerchia dei martiri aggiungono un “le possiamo lasciare un po’ di documentazione a proposito?”. E una delle scene che mi figuro più spesso e che ripeto sempre perché davvero mi fa morire dal ridere è Woody Allen che fa intervenire Marshall McLuhan in una discussione sulla sua opera in fila alla cassa del cinema, così mi immagino il Testimone di Geova che citofona a casa Kierkegaard e il buon Soren lo invita su a fare quattro chiacchiere.

Tutto questo fa il paio con la pubblicità con il megafono sul camioncino dei fruttivendoli erranti, gli annunci che terminano quasi sempre con angurià con l’accento sulla a, scritti e recitati per sfidare il monopolio della grande distribuzione organizzata e della frutta di plastica a cui siamo abituati. Così massaie e pensionati (ci sono solo loro in casa) scendono a frotte con la borsa del carfùr e si mettono a tastare pesche e albicocche che poi comprano in cambio di un foglietto stampato (non lo si può certo definire scontrino) su cui, guarda un po’, non c’è l’indicazione della partita iva. L’ambulante però, nel dare il resto, sfodera un portafoglio che non riuscirei a riempire così nemmeno se prelevassi tutto dal mio conto, e ci si chiede dove sia il problema. Poi sale al volante e riparte con la sua tiritera di vegetali in rima per nuovi cortili, massaie e pensionati rientrano dopo aver fatto il pieno di vitamine e fibre in nero e il silenzio torna sovrano, nell’attesa che giunga la vera stella del quartiere sulla sua Apecar ad affilare le nostre lame e a riparare i nostri ombrelli.

the invisible – wings

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