comunicazione personale

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C’è solo una cosa che mi piacerebbe risolvere, anche se è passato tanto tempo e non ha più importanza e chissà dove siamo tutti e due l’uno rispetto all’altra. Cioè io lo so dove sono e non posso immaginare dove sei tu, ma a volte quando sono qui piantato davanti con le cuffie bianche – quelle che ho acquistato su Amazon e me le hanno spedite del colore sbagliato ma non avevo voglia di farmele cambiare e sembro un po’ così con le cuffie bianco ottico calate sulla testa – e sento delle canzoni su youtube prima di addormentarmi. E da quando esiste il pop e il rock e tutta quella roba lì è facile che ascolti un pezzo e quel pezzo ti riporta alla mente qualcosa, e il vantaggio di avere la musica proprio sullo stesso pezzo di plastica su cui anche scrivi è che puoi mandare quel pensiero che ti è venuto immediatamente al destinatario, o magari non sai dove si trovi il destinatario e allora scrivi una cosa, la metti in una bottiglia virtuale e la getti qui dentro. In questo oceano che non sai dove inizia e dove finisce e quali civiltà ci si bagnano i piedi.

E così c’è questo mondo che ti crei tu, sto parlando a un tu immaginario e non al tu del “chissà dove siamo tutti e due l’uno rispetto all’altra”, dove vedi molto probabile che il messaggio sia raccolto da un pescatore sulla riva opposta e che guardacaso sia il vicino di casa del destinatario, così il pescatore porta il biglietto a destinazione e la cosa che ti piacerebbe risolvere si risolve. Ma questo passaggio che accade solo nelle commedie sentimentali ha le stesse concrete possibilità di avverarsi di vedersi pubblicato un libro senza nemmeno una lira spesa dall’autore. Un libro che comincia così: comunque quel nastro che si apriva con “Isolation” dei Joy Division che era solo lo step due della domanda propedeutica al tutto, che non è tanto “che cosa fai stasera” bensì “che tipo di musica ascolti”, quello era stato miracoloso perché poi è successo tutto quello che succede in una favoletta americana da cinema rosa anni 80. Solo che gli 80 erano già finiti, se non altro nello spirito, e non aveva importanza se non lo avevi mai sentito quel pezzo lì, l’importante è che improvvisamente ti avesse spalancato una porta su un panorama affascinante e inconsueto.

Poi si sa come vanno le cose, c’è stato un punto in cui non ci siamo impegnati nell’arrivare in cima al valico per poi lasciarci cadere giù dall’altra parte che era la cosa più facile. Uno dei due non ha voluto proseguire ed è tornato indietro malgrado fosse notte fonda da dove eravamo venuti, questa è tutta una metafora spero sia chiaro, perché significa che ognuno ha preso la sua strada perché oltre sarebbe stato troppo in tutti i sensi. Avete capito che io ero quello che voleva proseguire. Ma se io ti avessi seguito avremmo disceso comunque insieme? Non so, è una trama che non si risolverà mai e avrei dovuto saperlo prima di mettermi a scrivere questa storia. Comunque visto che non ci siamo nemmeno mai più sentiti ma io ho avuto un brutto presentimento quando ho ascoltato per sbaglio una conversazione in cui si diceva delle tue pessime condizioni di salute, questo anni dopo e pure troppi, volevo solo dirti che il fatto che tu pur piacendoti quella canzone ne criticassi la sezione ritmica fatiscente e leggera (sono parole tue) rispetto a quei strumentisti un po’ materialotti che facevano parte dei tuoi gruppi preferiti (sono parole mie), a me non era mai andata giù. Così ora ti do una seconda possibilità, almeno per questo. Ti faccio sentire qui una versione di “Isolation” suonata dai New Order, senti come l’hanno attualizzata, tenendo conto che quando dico attualizzata ti parlo di una performance dal vivo che ormai ha già comunque più di dieci anni. Spero non sia troppo tardi nemmeno stavolta.

ok commodore

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Una di quelle cose che piacciono a Inkiostro: Ok Computer a 8 bit. Da qui, e c’è anche Kid A.

Sigur Rós – Ég anda

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Un pezzo nuovo dei Sigur Ros con video annesso lo si posta a priori. Ora lo pubblico e lo vedo insieme a voi. Spegnete le luci, grazie.

i programmi del Movimento Cinque Stelle, in prima serata

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Quando dico che non ci meritiamo di passare da Berlusconi a Beppe Grillo, per non offendere qualcuno che magari ha votato il primo o vota il secondo e magari – pare stia succedendo – è passato dal Popolo delle Libertà al Populismo in Libertà, quando dico così parlo per me stesso e per i pochi intimi che so che mi affiderebbero la loro delega come alle riunioni di condominio. O meglio mi piacerebbe essere ecumenico ma poi leggo e sento pareri in giro e non mi riesce, e mi rendo conto che sono in molti i sostenitori anche inconsapevoli del modello “Te la do io l’Italia” come naturale evoluzione del modello “Te la do io” e basta.

cogliere l’essenza

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Forse è proprio così, le giornate particolari in un senso o in un altro le si riconosce dall’odore. Quando la temperatura cala improvvisamente e tutti siamo costretti a rivedere i nostri piani perché il cambio degli armadi era già una cosa archiviata, e giacche e maglie pesanti sono già intrise di spray anti tarme o naftalina o quelle essenze per ambienti che vanno per la maggiore. Così seduto sul solito treno l’aria è davvero strana, questi odori che io associo agli spazi chiusi, agli appartamenti dei nonni e – non chiedetemi il motivo – ai mezzi pubblici delle città europee. Ma forse è perché c’è qualcuno che sbocconcella qualcosa, cibo poco comune e per nulla da colazione italiana, ecco che cosa mi ha tratto in inganno. Poi ci sono gli odori dei prodotti per capelli che con l’acqua piovana, perché piove stramaledettamente anche stamattina, si liberano nell’aria e lacche e gel e chissà cos’altro sono tutto sommato la componente meno sgradevole. Qualcuno infine apre una confezione di salviette umidificate saturando l’aria di odore di atterraggio in aereo, e se chiudo gli occhi e mi concentro sui sussulti delle rotaie potrei effettivamente essere altrove, il trambusto copre la voce del pilota e per lo stesso motivo non si sente il segnale di via libera dal sedile. Ma no, meglio scendere dalle nuvole. Ancora una volta ho sopravvalutato gli stimoli esterni, è solo una normalissima giornata con la emme maiuscola davanti.

e-versione

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Da quando c’è l’Internet, da quando anche i bambini di 3 anni possiedono fotocamere digitali e da quando qualunque scatola elettronica – dai cellulari al Nintendo DS – può scattare e riprendere video. Da quando qualsiasi cosa fai puoi essere sgamato e messo in rete alla gogna, perché una connessione ce l’hanno tutti e le informazioni nel giro di pochi minuti fanno il giro del mondo. Da quando qualunque parere che scrivi su un social network può rovinarti la vita o farti diventare un opinion leader nel giro di una giornata. Da quando la fama e la fortuna possono essere conquistate e perse nel più casuale dei modi perché tizio o caio ti linkano e tutti vengono a sapere che cosa hai fatto, nel bene e nel male. Da quando puoi diventare una star virale su youtube, puoi impersonare un meme ed essere reinterpretato e remixato e rivoltato come un calzino un miliardo di volte. Da quando un appello per vedersi in piazza per qualunque motivo può essere lanciato e giungere a destinazione in pochi secondi ed è possibile riunire folle e – volendo – organizzare rivoluzioni con un paio di clic se solo sapessimo essere meno egoriferiti. Da quando esiste questo insieme di cose, che non saprei definire altrimenti se non la digitalizzazione della vita di tutti noi, il mondo non è più lo stesso, e so di dire una banalità, ma avete capito cosa intendo.

Una volta ho pensato, e forse l’ho scritto anche qui ma non ricordo dove, chissà cosa sarebbe successo se nel 77 ci fossero stati i blog, per esempio. Ma non c’erano, c’erano i programmi delle radio libere e i collettivi. Comunque in quel periodo lì accadevano un sacco di cose estremamente sconvenienti, bombe e stragi e gente che ammazzava altra gente. Su molti di quei fatti non è stata mai fatta chiarezza, ci sono stati depistaggi, servizi segreti, la CIA, le forze dell’ordine e la mafia e tutta una serie di apparati che si erano posti un obiettivo che ora è lunga da raccontare qui – e poi non ne sarei nemmeno all’altezza – ma che se non è stato perseguito si può dire che chi l’ha progettato c’è andato molto vicino. E quando si tessevano tutte queste trame, che poi è ancora persino da vedere se sono state davvero ordite o se è solo tutto un volo di fantasia di un paio di generazioni di storiografi molto visionari, non c’era né l’Internet né le telecamere di videosorveglianza e tutto il resto sopra elencato, quindi per gli operatori occulti che lavoravano nell’ombra è stato abbastanza facile.

Ecco, alla luce di quanto è successo a Brindisi, che poi magari è solo l’opera di un malato di mente megalomane e la cosa, come speriamo tutti, finirà qui, io sono convinto che se ancora una volta c’è qualcuno che sta macchinando per scrivere una storia parallela a quella che “siamo noi” per far sì che poi un giorno la storia “saranno loro”, io sono anzi più che convinto che per queste persone sarà tutt’altro che semplice non farsi sgamare. Perché per ogni killer nascosto là fuori e pronto a far saltare in aria qualcuno, per ogni gruppo eversivo che piazza una bomba in una stazione in agosto, per ogni organizzazione paramilitare che organizza campi di addestramento in Sardegna, ci sono migliaia di persone che possono cogliere chiunque in flagrante. Quegli altri individui, quelli cattivi, sempre che esistano, devono stare molto all’erta. Lo stragista è diventato un mestiere davvero complicato da svolgere. E stiamo anche attenti tutti noi: lo so che quella degli anni di piombo è una storia che non si ripeterà, ma non si sa mai.

come quando fuori piove

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Un uomo rallenta con il suo fuoristrada grigio e accosta al bordo della corsia con le quattro frecce. Lo vedo scendere dall’abitacolo, girare intorno all’auto e fermarsi nello sterrato prima dei campi. La statale che porta da e verso Milano è deserta, è domenica mattina e non si capisce se pioverà o no. Probabilmente l’uomo si avvicinerà al bosso che delimita il viottolo che si dipana da lì, tirerà giù la cerniera e scaricherà. Invece lo vedo chinarsi velocemente, poi si rialza per risalire in macchina e ripartire. E mentre mi passa di fianco ci guardiamo per un istante. Mi viene in mente che quello spiazzo è spesso occupato da una ragazza, una di quelle che quando le vedi dici che è venuta dall’est e ora è schiava di qualcuno. Nei giorni infrasettimanali è lì solo dall’imbrunire in poi, nei fine settimana fa orario continuato, l’ho vista anche all’ora di pranzo e ho visto anche clienti contrattare un prezzo. Già che ci sono accelero, tanto sono già di corsa e aumentare un po’ il ritmo non mi costa nulla, e pochi metri dopo, nel punto in cui l’uomo del fuoristrada si è chinato, vedo tre rose rosse appoggiate sui ciuffi d’erba. Non so se sia una bella storia oppure no. Ci devo pensare.

macaos

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“L’amministrazione dall’alto di spazi e risorse, per quanto illuminata, è cosa diversa dall’autogoverno dal basso, diretto e partecipato”. Con questa perla tratta dal comunicato stampa del collettivo dei lavoratori dell’arte prende il via su questo blog una nuova rubrica con tag annessa, che suona più o meno come “cose che fanno perdere voti a sinistra”. In basso, l’immancabile tamburello da gioia e rivoluzione, tratto dalla galleria fotografica di Repubblica.

sweet billy pilgrim – joyful reunion

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a scatola chiusa

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Sono certo che la decisione bilaterale di mettere al mondo una creatura valga la pena anche solo per decidere insieme come si chiamerà. E non credo che si tratti di una deformazione professionale dovuta alla mia ossessione per titolare e nominare ogni cosa con una parola che sia di sintesi o, per ironia, ne descriva il contrario. Fare le liste e trovare il nome che più potrebbe somigliare a qualcuno che deve ancora nascere non è banale, oltre che essere una decisione complessa.

E te ne accorgi mentre ascolti le discussioni altrui, perché non appena si comunica la bella notizia a terzi, la prima curiosità che ci viene domandata è proprio come si è deciso di registrare il nascituro all’anagrafe e così si motiva la decisione presa in modi che a volte fanno tenerezza come se ci si volesse giustificare con il mondo perché, si sa, la percezione della bellezza di un nome è assai soggettivo. Volevamo che si chiamasse come il nonno, ci piacciono i nomi esotici, abbiamo sorteggiato da una rosa di possibilità o, è il nostro caso, volevamo un nome che scampasse al destino dell’abbreviazione.

Non a caso ci si guarda bene dal commentare le argomentazioni a supporto di questo o quella opzione per non urtare l’altrui sensibilità. Anche se di fronte a certe sperimentazioni nelle quali è impossibile non criticare mentalmente l’accostamento decisivo tra un nome lappone e un cognome tipico calabrese, o l’ormai diffusa abitudine di scegliere nomi stranieri – non ultimo Beyoncé che fa sembrare un Kevin o un Maicol o una Jennifer quei soprannomi di campagna di una volta – sarebbe opportuno tentare di arginare il fenomeno con attività di persuasione più o meno occulta sul prossimo. Certo, ci stiamo finalmente evolvendo verso una società multietnica, ma di norma sono i nuovi cittadini o gli aspiranti tali che spingono affinché i loro figli siano il più possibile integrati nella società che li sta accogliendo.

Ci sono infine quelli che scelgono i nomi più comuni possibili (condivido in pieno) per evitare che il figlio o la figlia siano messi alla berlina a partire dall’appello scolastico, chi segue le mode ed è per questo che crescono intere generazioni di Martina o di Tommaso, c’è ancora chi limita la rosa tra i nomi degli apostoli e degli arcangeli. E poi ci sono quelli che hanno letto un libro in cui una staffetta partigiana aveva un nome avvincente, efficace ed originale ma solo perché d’altri tempi, e decidono che quello è perfetto. A noi è successo proprio così. E qui al paese in cui viviamo era un nome che non avevo mai sentito. Poi ricordo di averne parlato con un’amica in treno, mancavano ancora diversi mesi al parto, e, chissà perché, ho avuto l’impressione che qualcuno seguisse con interesse la discussione. Fatto sta che, spingendo al parco il passeggino qualche mese dopo, rimasi sorpreso assistendo a una madre che si rivolgeva alla figlia di pochi mesi più grande della mia, chiamandola allo stesso modo. Dio, che smacco. Peraltro notai che, a differenza di mia figlia, quel nome non le si addiceva per nulla. Tsk. E avrei potuto anche passare per uno che copia perché quella bambina era più grande. Ma poi ho pensato che certo, il padre avrà senz’altro assistito alla conversazione sul treno andando in ufficio e avrà messo al corrente la moglie. Cara, ho sentito uno in treno che ha scelto questo nome, che ne dici? Di sicuro è andata così. Ecco perché non bisogna mai svelare i segreti industriali.