prima di addormentarci

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Papà, ma come si fa capire se parlando un inglese dice “ma” o dice “pipistrello”? Bella domanda, rispondo io, è come se un inglese non capisse se un italiano gli ha risposto affermativamente o intende la settima nota della scala di do. E il do come si fa a distinguere da dò nel senso di ti dò un regalo? Mi chiede ancora e poi ride perché ha capito che si può rosicchiare ancora qualche minuto prima del bacio della buonanotte. Come si fa? Fa o fa? Si e fa? E cerca di cantarmi proprio le note, ma le prende a caso e non pretendo l’orecchio assoluto a otto anni. Spegniamo la luce, dai. Anche se ormai non dormirò così faciilmente, perché il gioco può continuare all’infinito e chissà dove arriveremo, io nella mia testa e lei nella sua, fino a domattina.

maximo park – hips and lips

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Il nuovo dei Maximo Park dovrebbe uscire a breve, nel frattempo da una cameretta ubicata chissà dove tutta tappezzata di poster che nemmeno la mia ecco il primo singolo. Anche io facevo così ascoltando la musica allo stereo, ma ben di nascosto e per fortuna non c’erano webcam a riprendermi (e non possedevo bambole gonfiabili,  giuro). Il pezzo, comunque, non è niente male. Via.

dall’amore e dall’unione

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Se questo fosse un album fotografico qui ci sarebbe uno spazio vuoto, solo gli angolini ai lati e il cartoncino della pagina un po’ meno sbiadito, perché questo sarebbe il posto della foto di un bambino di tre anni in pantaloncini di vigogna corti con le polacchine e un berretto con la visiera che scatta di corsa verso sua madre, che è la persona che sta immortalando la scena, mentre alle sue spalle c’è il suo papà con un vestito elegante e la sigaretta in mano che lo lascia libero di raggiungere l’altro punto di riferimento della sua vita. E probabilmente la foto avrebbe dovuto ritrarre padre e figlio fermi in un giorno primaverile di festa o una domenica, ma tale era la smania di quel bambino di mettere le mani sulla macchina fotografica dall’altro capo che non è stato possibile a nessuno di fermare la posa. Ma meglio così, perché vi assicuro che nella foto il bambino ride, il papà pure e suppongo faccia lo stesso la mamma al momento dello scatto, visto che l’effetto è un po’ mosso e ha migliorato il tutto. Anziché avere un istante di famiglia appiccicato su pellicola c’è una specie di film di una vita che rivedo ciclicamente quando si approssima il mio compleanno, e ora siamo agli sgoccioli.

Perché si sa, il compleanno non è la tua festa ma è la festa di chi ti ha fatto, quando nasce un bambino è bene fare un regalo ma bisogna farlo ai genitori, soprattutto alla mamma, e non al bambino perché i piccoli hanno tutta un’esistenza davanti per rendersi protagonisti. Così vorrei fare proprio questo, come regalo a chi ha fatto me. A mio padre che si è un po’ ripreso, gli hanno tolto una medicina e si sono ridotti i suoi stati di confusione. A mia mamma che ha sulle spalle tutto e molto di più da sola perché i figli sono distanti, anche se alcuni vivono a poche stanze dalla sua. Così a loro che mi hanno dato una vita con i loro respiri, probabilmente affannosi durante il concepimento, pazienti e regolari nel corso della gravidanza, concitati e indotti durante il parto per lei e di fumo di sigaretta per lui, augurerò un buon anniversario della mia nascita tra due giorni con questo ricordo. Mi chiameranno come al solito alle sei e quaranta del mattino, l’ora x, e io gli dirò di cercare quella foto e di guardarla un po’ e pensare a loro stessi. Perché per me sarà un giorno come gli altri, se non fosse che poco fa ho pensato addirittura che potrei invece trascorrerlo come un tempo si celebravano le festività solenni sui canali radiofonici e televisivi pubblici: interrompendo le trasmissioni facete e i varietà e programmando solo musica classica, come se quello fosse il linguaggio più appropriato per una festività importante come la mia, per loro. Chissà, dopodomani se digitate questo url potreste trovare solo un non stop di video da youtube dei miei compositori preferiti. E magari il prossimo anno, in prossimità del 10 maggio, al posto di una manciata di parole che lasciano il tempo che trovano pubblicherò la foto di un bambino di tre anni in pantaloncini di vigogna corti con le polacchine e un berretto con la visiera, che corre dalle braccia di suo papà a quelle di sua mamma.

la notte si avvicina (dalle stalle alle stelle e ritorno)

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La seguente filastrocca sembra contenere una serie di metafore appropriate alla situazione, vero?

Stella stellina
la notte si avvicina:
la fiamma traballa,
van tutti nella stalla.

Il bove e il vitello,
la pecora e l’agnello,
il pulcino e la gallina
e la notte si avvicina

Dorme il pulcino con il maialino
ed il vitello con la pecora e l’agnello
Anche il galletto dorme sopra il tetto
dorme la gallina sino a domattina

Stella stellina
sino a domattina
la nella stalla
tutti fan la nanna.

di prima scelta

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Non appena riconquisto con fatica la posizione eretta dopo aver estratto la bici da uno degli slot a terra della velostazione noto i tre cd originali di altrettanti giochi della Playstation che qualcuno ha dimenticato proprio sul binario superiore a quello occupato da me. Succede a tutti, no? Posi qualcosa per fare qualcos’altro e poi di quel qualcosa te ne dimentichi perché sei di fretta, ti squilla il cellulare, ti cadono le chiavi, vedi qualcuno che conosci, o semplicemente ti distrai e così una parte di te resta lì a disposizione del primo che passa, e starà a lui scegliere come comportarsi. Ma cosa si può fare con gli oggetti impersonali e privi di alcun dettaglio di riconoscimento? Comprendo di avere pochi secondi per trovare la soluzione più adatta all’imprevisto, e naturalmente non mi viene. Non sono uno che trova la risposta subito quando serve, devo pensarci su ma dopo il tempo minimo per capire che non sto facendo una cazzata non (mi) deludo mai, chiaro che un approccio di questo tipo ti preclude un sacco di occasioni vantaggiose, ma non è la fine del mondo. Avevo pochi secondi, dicevo, e così li ho lasciati lì, mosso dal fatto che non avendo né quello né nessun altro tipo di console e non essendo neppure un cultore dei videogiochi non avrei saputo nemmeno che cosa farne. Mi sono detto che il proprietario sarebbe potuto tornare di corsa nel giro di qualche minuto e non ho fatto nulla. E solo pedalando verso casa ho l’illuminazione: posso lasciare un biglietto con un messaggio tipo “li ho presi io tutti e tre” seguito dal numero di cellulare. Se avessi scritto a cosa mi stavo riferendo chiunque si sarebbe potuto arrogare la proprietà degli oggetti smarriti, facendo così invece solo il diretto interessato avrebbe capito quella sorta di codice. Giusto no? Convinto di avere in testa la formula per salvare il mondo torno alla velostazione di corsa, avevo con me carta e penna per mettere a segno la mia prima buona azione quotidiana. La storia sembra chiudersi come è giusto che sia, e cioè che giunto per la seconda volta lì nel giro di qualche minuto, i CD di videogame per la Playstation – ricordo pure il nome del gioco, Soccer e qualcosa, in tre differenti versioni – non ci sono già più. Mi guardo in giro e non c’è nessuno, non c’è nulla da fare se non avviarsi a casa e attendere la prossima volta in cui ci sarà bisogno di me e io dovrò chiedere un po’ di pazienza, fatemici pensare, ci aggiorniamo più tardi.

ma se la Francia ha un presidente che si chiama Hollande, l’Olanda no perché è una monarchia

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Io sono uno di quelli che dai francesi si farebbe colonizzare a partire da oggi stesso, anzi oggi a maggior ragione visti i risultati delle elezioni presidenziali. Se non altro perché li ho sempre avuti come esempio a quattro passi di cura del suolo pubblico, che è un po’ come avere un vicino di banco di quelli che studiano sempre la lezione e tengono in ordine i quaderni, quello di brutta dove fare le operazioni e le prove e quello di bella da mostrare alla maestra senza nemmeno un baffo di inchiostro (i quaderni, non la maestra). Questo per dire riconosco l’inferiorità, invadeteci pure, siete i benvenuti. E a tutti gli italiani che sì avrete pure i formaggi e i vini più buoni ma intanto ce l’avete anche voi il presidente fanfarone che gli piacciono le belle donne. Intanto le belle donne sono una ex modella che se l’è sposata e che, voglio dire, in quanto a classe una come la Minetti non potrebbe neppure limarle le unghie dei piedi. Secondariamente l’hanno eletto, non gli è piaciuto, e l’hanno mandato a casa al primo mandato. Noi quanto ce lo siamo tenuti Berlusconi? Diciassette anni?

conto terzi

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Se mi parlate di democrazia diretta a me viene un brivido perché la prima cosa che mi viene in mente è la folla che nel dopoguerra sequestra non ricordo quale fascista, lo lincia e lo getta nel fiume. Non che la cosa non mi abbia fatto piacere, ma gli istinti animali è meglio tenerseli per sé e così istituzionalizzare l’ipocrisia della mediazione tra il diritto naturale e quello giuridico o come si chiama, che raccoglie i desideri della collettività e li codifica con il filtro della ragione. Questo perché l’esercizio del potere senza interposta persona nel caso della   giustizia dimostra la sua inadeguatezza almeno nella versione ufficiale dei nostri sentimenti e una volta messo a bada l’impeto. E altrove non saprei, ma per non saper né leggere né scrivere mi fido e sostengo la stessa cosa. E ripenso a casi come l’occupazione dell’università a cavallo tra gli 80 e i primi 90, non ricordo esattamente quando, un movimento all’acqua di rosa – rosa come la pantera che li rappresentava – in cui il dibattito a cui non ho partecipato perché ero già quasi fuori con lode verteva proprio su quel concetto di prendersi i diritti in prima persona e in gruppo. Occupare l’università per farla a propria immagine. Ma anziché frequentare gli occupanti per capirne le ragioni io flirtavo con una della fazione contraria, quella che si chiamava ancora DC e non chiedetemi perché, e quindi avevo una versione del movimento più edulcorata, almeno fino a quando poi trovai al suo stesso tavolo di lavori un fascista del FUAN e ripensai alla democrazia diretta del tribunale del popolo e del volo nel fiume e il flirt finì così, d’altronde non si dice “mogli e buoi dei partiti tuoi”? Così quando leggo di allenatori che prendono a pugni i giocatori ribelli o di imprenditori che, come dice Gramellini, anziché vendere il proprio arsenale per pagare gli arretrati del canone RAI lo usano per mettere a ferro e fuoco uno sportello di Equitalia, ecco, penso a come sarebbe la nostra società in questo limbo tra far west e anarchia, in cui ognuno direttamente si prende la sua fetta di potere e la applica secondo i propri criteri. Il che non è distante da chi sostiene che, pagando le tasse, vuole che insegnanti, dirigenti scolastici, amministratori locali, vigili urbani, ministri e presidenti della repubblica debbano fare quello che vogliono loro. Ma per farlo è necessario accordarsi con tutti gli altri stakeholder della cosa pubblica che sono i milioni di cittadini che pretendono altrettanto ma allora occorre mettersi d’accordo e investire qualcuno della voce di tutti e fare un partito con un delegato che li rappresenta. Ops, ma allora si ritorna daccapo.

in soldoni

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E come se nulla fossa accaduto si continua a vedere in giro gente con mazzette di contanti in mano. Italiani alla cassa con il portafoglio pieno di biglietti verdi da cento o quelli più rari ocra e viola e commesse nel panico perché hanno appena aperto e non hanno resto da dare. Così chiamano il responsabile che rivolta i divisori nel registratore delle entrate come un calzino, sopra e sotto ma la realtà è quella, triste ma vero. Venti e venti sono quaranta, ma poi mancano i pezzi da cinque e da dieci per arrivare a sessantacinque. Sono i negozianti a essere sprovveduti e sperano che nessuno vada a far shopping con i bigliettoni in tasca, o lo sono tutti quelli che non credono ancora nei POS e nel pagamento elettronico e ritirano dagli sportelli prima di comprare? Dopo tutti questi anni? Così tra clienti in fila ci si guarda spazientiti mentre la coppia protagonista dell’anacronistico siparietto non sa come comportarsi, se devono preoccuparsi loro di uscire e cercare qualcuno che cambi i tagli a due zeri o se è il negoziante che è tenuto a provare al bar latteria a fianco, che ha aperto alle sei del mattino e avrà già un bel gruzzolo in cassa a furia di cappuccini e cornetti e caffè. Ma non hanno una carta o un bancomat, qualcuno insinua la domanda nella coda che unità dopo unità ora si accalca fino a metà negozio. Dai caro, paga con il bancomat, lo esorta la moglie. E la vicenda finisce così, sette minuti persi solo per sbarazzarsi di banconote che poi lo sanno tutti, tenersele addosso non è nemmeno così sicuro, sia che la perdi sia che qualcuno che nota il rigonfiamento e poi se ne approfitta. Senza parlare di chi si chiede quale sia la provenienza, perché oggi il contante è una prerogativa dell’evasore e di chi fa affari in nero, di nascosto, magari trame losche che non devono lasciare traccia. In ogni caso, vedere i soldi dal vero sarà un’abitudine dura a morire, finché saremo materiali anche noi come le nostre ricchezze. Viene il turno nel frattempo dell’acquirente successivo, la sua spesa è inferiore di chi lo ha preceduto ma per segnare la discontinuità estrae la sua American Express. La transazione si inceppa, il primo e il secondo tentativo pure, e ancora una volta tra clienti in fila ci si guarda meno spazientiti e più divertiti, forse semplicemente non è giornata.

l’eternauto

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Visto così, in fase di sorpasso, sembri una creatura da mitologia post- moderna, un cyborg disegnato per una graphic novel di fantascienza ambientata in un pianeta che è un’autostrada a tre corsie popolata da esseri con la testa umana e il corpo di berlina aziendale. Sempre di corsa, sempre nella corsia più a sinistra, condannati a raggiungere una moglie e un figlio che vivono in un paese di cui non ricordano il nome tantomeno l’uscita dell’autostrada e questo è loro condanna e la loro ricchezza è un Telepass al contrario che quando esaurisce la carica muoiono. Solo che come in qualunque società da che esiste l’uomo ci sono quelli che primeggiano perché sotto hanno meccaniche tedesce o giapponesi e ci sono quelli un po’ sfigati la cui posizione nell’organigramma e conseguente status sociale non prevede nulla di meglio che vettura di marca italiana, anche se in joint venture con la Chrysler quindi non si sa, forse americana o forse ancora torinese. Così lanciato a 160 all’ora, chilometro più chilometro meno perché io faccio i 110 e tu mi hai surclassato, abbiamo avuto solo il tempo di studiarci dai rispettivi abitacoli. Il mio completamente in plastica da vettura entry level francese, quelle che hanno tutti gli interni uguali. Ma per me non è un problema, il mio è solo un habitat provvisorio perché sto guidando la mia famiglia verso un weekend in riviera. Il tuo si vede che è anche il tuo ufficio, hai persino la giacca appesa a una gruccia dietro e da lì fai riunioni, briffi i colleghi, comunichi con i clienti, ti informi e ti rilassi parcheggiandoti temporaneamente fuori da un autogrill, per poi ripartire per il tuo eterno vagare senza andata e senza ritorno e senza un perché. Con la nuca affondata nel poggiatesta dato che è meglio proteggerla dal momento in cui con un colpo di acceleratore ti catapulti nell’iperspazio e conviene mettere al riparo dal contraccolpo tutto il tuo know how che hai racchiuso lì e che consiste nel saper vendere bene e saperlo fare ovunque, indipendentemente dal prodotto da piazzare. Tutto questo in un tempo che poi sono i pochi secondi in cui mi superi; è venerdì sera e come ogni fine settimana tu imboccherai il prossimo svincolo a caso, oltrepasserai il casello con la conseguente riduzione di credito-vita e continuerai la ricerca di casa tua dove hai qualcuno che attende il tuo rientro, che ancora una volta non sarà nemmeno quella e quindi via, di nuovo in autostrada, di nuovo in corsia di sorpasso.

non paga

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Avete mai visto un uomo che corre inseguito da un poliziotto in borghese? Che poi il fatto che sia in borghese, il fatto che ci sia differenza tra la divisa e gli abiti civili è una sfumatura che colgono solo gli spettatori, perché è facile prendere un abbaglio. Chi è il cattivo dei due, se nessuno veste da agente? Così se qualcuno vuole intervenire, e dubito che qualcuno voglia immischiarsi, almeno io me ne guardo bene, il dubbio è su chi fermare: occorre gettarsi su chi insegue o proteggere chi è inseguito? Gli occhi del ragazzo magrebino che corre davanti hanno una luce che non avevo mai visto, c’è un obiettivo su cui punta l’attenzione cha varia di istante in istante e se sapesse che sta guadagnando terreno, se si voltasse indietro potrebbe concentrarsi più lucidamente sulla via di fuga più efficace su cui puntare.

Il poliziotto – e che si tratta di un poliziotto a questo punto della storia non l’abbiamo ancora capito – è nettamente meno in forma del presunto delinquente, non ha certo il fisico della gazzella e non ha la propulsione della paura di chi ha davanti. Il tutto mi fa venire voglia di canticchiare “Police on my back” dei Clash, con quella sirena all’inizio allarmante che la senti e inizi subito a correre via. Ma qui non si scherza, non siamo in diretta su un canale musicale, e la gravità della situazione la si evince dalla pistola che il poliziotto – e nemmeno a questo punto l’ho capito ma la pistola diciamo che è un buon indizio – impugna senza puntare però, per furtuna, al ragazzo che scappa. Continua a leggere