ritmo nel sangue

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Ho testé letto un aggiornamento su un socialcoso riguardo a un tizio che quando ci frequentavamo ballava in un modo talmente assurdo che una volta la cantante di un gruppo che eseguiva cover di black music – essendo lei molto autenticamente black e avendo una voce altrettanto black – si era inviperita perché era convinta che il tizio in questione che si esprimeva in coreografie improbabili lì ai suoi piedi in realtà si burlasse di lei e le facesse i versi. A sua discolpa, a discolpa della cantante black intendo, c’è da dire che era impossibile vedere qualcun altro muoversi così, almeno a me non mi era mai capitato, e che quindi era plausibile essere vittima di facili equivoci. D’altro canto, se vogliamo essere più salomonici nel giudizio, c’è da dire che la cantante black, prendendosela a tal punto da ingaggiare un diverbio dal palco verso il dancefloor con il tizio in questione, ha dimostrato una certa e profonda insicurezza, voglio dire se decidi di proporti a un pubblico dovresti essere pronta a qualsiasi reazione dello stesso, e se fraintendi un qualsiasi atteggiamento anche se anomalo prendendolo per una provocazione denoti quella che si dice una certa coda di paglia. In ultima istanza, in uno scenario costantemente borderline per quanto riguarda gli apprezzamenti o gli insulti a sfondo razzista, è sempre bene andarci piano con qualunque tipo di commento che possa essere soggetto a malintesi e muoversi, seppur a tempo di musica, con la dovuta cautela. Limitando perciò balletti anche se spontanei in cui si imitano i passi tipici di animali da fattoria, interpretando con il corpo tutti gli strumenti musicali e sottolineando in modo plateale con le espressioni del viso i virtuosismi vocali il tutto però spinto dal reale “feeling”, sentendo cioè che quello che stai ascoltando ti sta entrando dentro da tutte le porte possibili del tuo corpo, e in effetti era così perché vi assicuro che il tizio aveva realmente reazioni da posseduto quando era soggetto all’ascolto di buona musica dal vivo. L’aggiornamento del socialcoso dice che questo tizio ora è un valente chirurgo di successo. Chissà se tiene la radio accesa in sala operatoria.

corso vittorio emanuele, angolo via 25 aprile

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La coincidenza tra il percorso della manifestazione di ieri e i negozi aperti del centro ha dato vita a un curioso mix di persone nel tratto da Piazza San Babila fino in Duomo. I segmenti delle differenti rappresentanze identificati da bandiere e vessilli si sono mescolati a quelli che attraversavano la strada per passare da un Zara a un Foot Locker, mentre famiglie con fazzoletti rossi e cappellini della CGIL si affiancavano a ragazze alla moda con borse recanti il brand di catene di abbigliamento del calibro di Bershka e Mango Italia, oltre ai turisti stupiti dell’improvviso afflusso di persone e il resto dei passanti, ignari del fatto che in Italia c’è anche chi santifica le feste. Poi è successo che una tipa tutta griffata e appariscente che stanziava sotto i portici del Corso mi ha tagliato la strada per raggiungere una coppia di ragazzine in corteo poco distanti da me, si è piazzata davanti alla più carina delle due e le ha messo sotto il naso un biglietto da visita, chiedendole se le interessava lavorare in televisione. Ma la sua reazione mi ha riempito di gioia perché è sembrata sorpresa quanto me che ci fosse qualcuno dedito al casting femminile il 25 aprile e proprio nel corteo del 25 aprile. Malgrado ciò è stata prontissima a rispondere che no, non era interessata, ma con l’espressione allibita dal paradosso di cui era stata spettatrice. Non è stata però abbastanza pronta e coraggiosa da far notare alla cacciatrice di veline l’assurdità della sua proposta in un giorno di festa così denso di significati e così distanti dalla richiesta ricevuta e da tutto quello che rappresenta con gli improperi dovuti. Ci ha pensato un’amica che era con me a gridarle un po’ disapprovazione, ma nel frattempo l’infiltrata si era già volatilizzata nel suo nascondiglio, al riparo nel suo habitat fatto di negozi aperti e pieni di acquirenti. Ma lì, in quel punto del percorso, non c’era comunque partita, la superiorità numerica era fin troppo evidente. Io mi sono sentito tutto sommato protetto dal corteo. La ragazza al mio fianco, quella che ha corso il grave rischio di essere risucchiata nel gorgo della voglia di visibilità che è poi il vero male del secolo, non ha avuto invece bisogno di sentire l’appartenenza a qualcosa, sono certo che ha trovato tutta la sicurezza e la forza necessaria dentro di sé.

un club esclusivo

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La religione è un’esperienza personale, questa è una affermazione che manda in bestia gli integralisti e gli ortodossi perché la fede è quella, il rito è ben definito, prendere o lasciare. Ma se avete frequentato persone religiose, saprete come me che basta essere in quattro per scoprire quattro idee differenti del credo comune. Un mio amico credente e praticante un giorno mi disse che ognuno ha il suo posto nella chiesa ed è una vision che se fossi credente e praticante farei mia in modo molto opportunistico, ma qui si va fuori tema, perché volevo semplicemente dire che se la religione è un’esperienza personale anche le feste religiose forse sono tali. Cioè uno vive il Natale come vuole e lo fa suo, perché è il compleanno di Gesù ed è il momento in cui ci si impegna a essere buoni e ad amare il prossimo e così via, oppure è solo un’opportunità per manifestare i nostri sentimenti alle persone a cui vogliamo bene spendendo la tredicesima. La Pasqua pure, e via così.

Ma non credo sia mai successo nella storia dell’umanità che qualche organizzazione all’interno o meno della Chiesa o qualche singolo esagitato si sia arrogato lo status di figlio di Dio. Non si è mai visto, in processione o durante la via crucis con il Papa, qualcuno alzare uno striscione con su scritto cose tipo “Ieri Apostoli, oggi Comunione e Liberazione”, o piuttosto “Ieri Gesù, oggi tocca a me salvare il mondo”. E neppure mi risulta che qualche gruppo italiano abbia pubblicato una cover di “Tu scendi dalle stelle” che col tempo è stata eletta col tacito consenso dell’opinione pubblica a versione ufficiale, tanto che alla radio e in tv durante le feste si sente solo quella.

E niente. Io sono un integralista delle feste laiche. Per me c’è un solo 25 aprile che è l’anniversario della Liberazione, in cui si celebrano i Partigiani e l’associazione che tutt’ora li rappresenta, che è l’ANPI. Oggi c’è stata una bellissima manifestazione qui a Milano, c’è stato il primo discorso di Pisapia da Sindaco, mi è sembrato persino di vedere più partecipanti del solito. Poi ho letto uno striscione che mi ha fatto venire il mal di pancia e che diceva “Ieri Partigiani, oggi NoTav” che, oltre a essere ingiustificato, fuori luogo e fuori contesto, era pure falso perché non esiste proprio nessun nesso tra le due categorie. E, poco dopo, la versione demago-rock di Bella Ciao dei Modena City Ramblers, così popolare che le giovani generazioni pensano sia una loro composizione, che se gli chiedi anche solo un altro titolo della loro produzione non ti sanno rispondere. Sono contrario a fare propri simboli comuni, a reinterpretarli e a farne un cavallo di battaglia. E chissà, forse c’è qualcuno che dice che ognuno ha il suo posto nella sinistra. Ecco, io quelli lì, quelli che si sentono i nuovi Partigiani e quelli che ballano Bella Ciao perché è un pezzo dei Modena li accompagnerei gentilmente fuori. Mi spiace, oggi c’è il tutto esaurito.

senza tregua

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di luce propria e di luce riflessa

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Oggi parliamo di comportamenti provinciali. Io vengo dalla provincia più grezza e profonda che si possa immaginare e malgrado abiti qui da tempo sufficiente per considerarmi milanese al cento per cento (cit.) provo quel pruriginoso sussulto quando per strada incontro un Vip. Questo è un comportamento molto provinciale, perché se sei nato e cresciuto a Milano invece ci sei abituato e non ci fai più caso perché a tua volta è facile che tu sia un Vip o che tu abbia a che fare con le star fin dalla scuole elementari. Magari pure tu che leggi lo sei e non sai di esserlo. Se lo sei e sai di esserlo lascia un commento sotto che così mi si alza il traffico.

Ma, scherzi a parte, essendo qui il centro della moda, dello spettacolo, dello sport e di tante altre attività lecite e illecite non è difficile notare Sallusti che fa jogging, il Leone di Lernia che passeggia in Piazza del Duomo o Cristiano Malgioglio nel quadrilatero dello shopping. Tutta gente di un certo livello. A me è capitato addirittura di sedere allo stesso tavolo di Alex Britti, pensate un po’. Ero a pranzo in una di quelle trattorie tavola calda cosiddette radical chic, di quelle che talvolta vengono scelte pure come location per riprese di spot o cinematografiche. Mi trovavo lì con una collega in un tavolo di quelli cumulativi che fa molto intellettuale di sinistra che mangia con i muratori ma la voce che sentivo al mio fianco non aveva nessuna inflessione albanese bensì romana. Ma sapete che non è sempre facile riconoscere i personaggi famosi fuori dal loro contesto e dagli studi televisivi, così ci ho messo un po’ a capire di chi si trattava e quando ho capito e ho fatto cenno alla mia collega che nemmeno lei lo aveva riconosciuto poi ho avuto l’equivalente della Sindrome di Stendhal nei confronti degli esseri umani tanto che la meraviglia e la sensazione di impotenza di fronte a cotanta importanza hanno avuto persino il sopravvento sul disprezzo per un più che discutibile poppettaro. Continua a leggere

esercizi di stile

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Insomma che alla fine non ce l’ho più fatta, ho preso coraggio e al termine dell’ora ho raccolto materassino asciugamano e pesi e sono andato dalla coach (mi fa ridere chiamarla così, ma la chiamo coach solo qui) e le ho proposto con voce alquanto suadente “Ma se ti preparassi un paio di cd? Che ne dici?”, una domanda cordiale che in realtà nascondeva mesi di frustrazione.

Il mio rapporto con lo sport è di mutua e muta sopportazione, se non fosse che la natura non è stata così fortunata con me – oddio non mi posso lamentare ma lo faccio lo stesso – me ne starei da mane a sera a farmi sigarette autoprodotte con l’Old Holborn e le cartine OCB e tracannare bottiglie da 66 di Menabrea con le Pringles, ma potete immaginare a lungo andare gli effetti di una dieta di questo tipo. Così con l’avanzare degli anni, non potendo più contare esclusivamente sul mantenimento fisico entry level, quello dell’inerzia dovuta a metabolismo regolare e tutto sommato buona salute e forma fisica, mi sono dedicato al minimo indispensabile per non rimanere bloccato con la schiena a ogni movimento più impegnativo di portare aiuto a mia figlia in momenti delicati della vestizione, per non annaspare in caso di scatto e volata finale per saltare sul treno, e per rimanere nell’equilibrio delle stesse taglie di abbigliamento che ho più o meno dalla terza media pur passando buona parte del mio tempo seduto con un terminale elettronico di fronte a me. Continua a leggere

da due quarti, da un quarto, o anche meno

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Ho da poco finito di leggere un libro che si intitola “Il tempo è un bastardo” di Jennifer Egan, edizioni Minimum Fax, che è un buon libro e non lo dico solo io. Insomma, ha vinto un Premio Pulitzer per la letteratura, ha venduto 150 mila copie negli Stati Uniti e in effetti è godibilissimo perché fa parte di quella categoria di libri tutti uguali che sono solito leggere, romanzi che hanno alcune caratteristiche in comune a partire dal fatto che sono scritti da autori statunitensi e che sono pubblicati dalla Minimum Fax. Posso dire che questi due dettagli soddisfano un buon 80% dei miei criteri di scelta quando sto per finire una lettura e iniziarne un’altra, ma tenete conto che avendo a disposizione un efficace sistema bibliotecario posso anche prendere cantonate senza rimetterci i soldi dell’acquisto.

Ma, tornando al motivo per cui vi ho introdotto l’opera in questione, il libro comprende un intero capitolo nella sua seconda metà scritto sotto forma di slide Power Point, il che in prima istanza mi ha spaventato. Voglio dire, Power Point per chi opera nel terziario avanzato corrisponde a uno strumento di tortura, ci si può anche morire di slide, e li riconosci subito quelli che ne fanno un uso massiccio perché parlano a punti con le iniziali maiuscole di ogni parola e vanno e vengono utilizzando transizioni. Carina come metafora, eh? Continua a leggere

ancora una questione privata

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È una vita che voglio fare la tessera dell’ANPI. Uno di quei buoni propositi che mi pongo con l’approssimarsi del 25 aprile o addirittura, come è successo proprio lo scorso anno, a Natale, quando una mia cara amica ha regalato l’iscrizione a sé e alla sua compagna e mi è sembrato proprio un bel gesto e così mi dico con autorevolezza che devo assolutamente farlo anche io. L’ANPI è una di quelle organizzazioni di cui non si dovrebbe mai fare a meno e che spero siano sempre attive per permetterci di ricordare il sacrificio che si è consumato e il valore intrinseco dell’antifascismo che dovremmo avere tutti noi già dalla nascita, quando impariamo a camminare, nelle prime letture, diventando ragazzi e poi adulti e poi vecchi perché è con l’antifascismo che ci siamo ritagliati una prima parte di libertà e democrazia. Chiaro che c’è ancora da fare, ma senza quel primo passo, quel rendere chiaro quel primo basso livello di garanzia e di tutela dell’essere umano dall’odio primitivo e fine a se stesso, senza il quale non saremmo qui a discutere di banche e di spread.

È bello che ci sia un passaggio di testimone tra chi ha combattuto e ha fatto la Resistenza in prima persona e le successive generazioni, ed è giusto sostenerlo anche economicamente affinché ci siano sempre risorse sufficienti a tramandare memoria e fonti. Nel mio piccolo do il cinque per mille anche se è difficile ogni anno scegliere quale progetto sostenere, e anche in questa occasione mi dico che appena ci sarà la possibilità farò la tessera proprio per fare di più. Perché, a parte il valore in sé dell’ANPI, ci sono molti momenti della mia vita in cui quello che ho appreso dai racconti – nei libri e nelle testimonianze dirette – e dai film sui Partigiani ha svolto un ruolo importante nella formazione della mia coscienza civica, ancor più che politica. Per non parlare di quando, un ricordo più che vivido nella memoria, mi trovai faccia a faccia con Sandro Pertini Presidente della Repubblica e mi feci avanti stringendogli la mano, ero poco più che un bambino in prima fila con la sua classe a una commemorazione di un cippo dalle mie parti, a pochi chilometri da dove Sandro Pertini era nato.

Questo per dire che se a fatica oggi mi affilierei a una formazione politica, ritengo la tessera dell’ANPI un gesto significativo, un offrire se stessi a sostegno di un pezzo di passato che dev’essere sempre qualcosa di più di capitolo sul libro di storia da fare in fretta e in furia in quinta a poche settimane dalla maturità. E giusto ieri, in occasione di una manifestazione che si è tenuta al mio paese, mi si è presentata una opportunità concreta. Tra numerosi stand di associazioni presenti ho notato proprio quello dell’ANPI. C’erano totem con foto e articoli d’epoca, e c’era l’invito a iscriversi più o meno per tutti i motivi che vi ho elencato sopra. Così mi sono affrettato per confermare con i fatti la mia adesione ideologica al progetto, poi ho visto la persona che avrebbe ritirato la mia quota di offerta, e ho tirato dritto ripromettendo di iscrivermi non appena si ripresenterà l’occasione.

pong

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Oggi è la giornata della terra, che a causa dei temporali è diventata la giornata della melma. Quindi metto su musica estremamente rassicurante e mi dedico a sfide e obiettivi di livello adeguato.

vivere e morire là

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Mi hai chiesto un parere, e io il parere te lo do volentieri anche se non sono uno psicologo, non ho una particolare sensibilità e ho la tendenza a sfruttare le tragedie grandi e piccole altrui per scopi narrativi. Nel senso che avendo maturato un po’ di tecnica nello scrivere dopo anni di esercizio quotidiano, appena mi capita sottomano una storia interessante o anche un spunto che mi solletica non faccio in tempo a metter giù la cornetta, che poi anche questo è un modo di dire perché il mio cellulare anche se da cinque euro è comunque un cellulare e non ha certo la cornetta, dicevo non faccio in tempo a salutarti e a chiudere la conversazione che già ho acceso il pc e cerco di ricordarmi più particolari possibili per dare forma alla trama di tutto rispetto di cui mi hai messo al corrente e per la quale alla fine mi hai tirato in ballo.

E chiedi a me di dirti se puoi considerarti in uno stato depressivo. Se intendi deprimente te lo confermo subito, non a voce per non infierire ma qui, mentre divulgo al mondo della blogosfera i fatti tuoi. Anzi, ti confesso che se il settore dell’editoria non fosse in crisi ci sarebbe spazio in abbondanza per vendere una vicenda come la tua, della quale andrebbero a ruba scommetto anche i diritti cinematografici. Se fossimo americani, le Correzioni a te e alla tua famiglia vi farebbero un baffo, sai che voglia che mi hai fatto venire di lavorare a un best seller con te come protagonista. Una bella storia, bella tra virgolette, in cui manca l’eroe perché chi dovrebbe mettere in salvo i deboli, e qui sentiti pure chiamato in causa, nel nostro caso a stento cerca di mettere in salvo se stesso ed è lui che aspetta qualcuno che gli posizioni la maschera per l’ossigeno, in questo rischioso atterraggio d’emergenza che è la tua vita. Continua a leggere