non lavorare stanca di più

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Lei che è una grafica fa anche la fotografa ma in questo momento in cui non trova un impiego né come grafica tantomeno come fotografa monta dei filmati animando delle slide di Powerpoint per un’azienda in cui lavora una sua amica, una società a cui occorrono presentazioni un po’ più accattivanti di una normale sequenza di immagini, grafici e keyword alternate dalle transizioni standard che l’applicativo di Office consente. Lara nelle ultime due settimane ne ha già preparati due, una buona media che se viene confermata per il resto del mese le consente di tirare su quasi uno stipendio. Fino a poco tempo fa aveva un impiego part time a progetto in un’agenzia come esecutivista e impaginatrice e per tutto il periodo in cui ha lavorato lì, nove mesi, ha fatto la pendolare ogni giorno dalla casa di Bologna all’ufficio di Milano, sfruttando ogni tanto l’ospitalità di amici a metà settimana per spezzare il ritmo.

Poi Lara e Paola, la sua compagna, hanno deciso di trasferirsi in pianta stabile a Milano perché c’è più lavoro. Ma poco prima di lasciare la città in cui hanno vissuto per anni per andare a vivere in un bilocale in affitto all’Isola e per il quale avevano firmato un contratto e versato una caparra, a Lara è stato comunicato che il suo posto di grafica non c’era più, l’agenzia va male e deve tagliare i costi a partire dal personale. Lara e Paola hanno deciso comunque di andare a fondo e sono venute lo stesso qui, aiutate dal padre di Lara che ha noleggiato un furgone e le ha dato una mano nel trasloco. Il padre di Lara è partito da Napoli – entrambe sono nate e cresciute lì dove vivono ancora le loro famiglie di origine – ha fatto tappa a Bologna, dove hanno caricato i mobili, e hanno trasportato il tutto qui nel nuovo appartamento avvalendosi anche dell’ausilio di qualche amico. Sono riuscite ad avere un po’ di sconto sulla tariffa mensile dell’affitto portando le loro cose ed evitando alla padrona di casa la spesa di un arredo completo.

Paola invece ha studiato per diventare restauratrice ma vista la penuria di opportunità si è iscritta a un corso di make up artist perché c’è più richiesta, nel frattempo non trovando un’occupazione fissa ha messo su un blog dedicato al cibo in cui pubblica ricette illustrate, nel senso che essendo molto brava a disegnare e anche a preparare cibi scrive le ricette e correda il tutto illustrando i passaggi dell’allestimento dei piatti. Paola ogni tanto fa l’hostess alle fiere e viene contattata per occuparsi di promozioni commerciali. Il corso di trucco naturalmente lo frequenta a Bologna, così una volta a settimana Paola da MIlano ritorna giù per non perdere l’anno e conseguire la qualifica. Proprio oggi però, grazie alla sua passione per la gastronomia, è stata chiamata per un colloquio in una web tv che produce programmi di ricette, la posizione è di aiuto cuoco per lo chef che conduce la trasmissioni. E mentre la sua compagna è in auto con un ex collega e si sta recando a Modena a fare un servizio fotografico in una fabbrica di ceramiche del noto distretto locale, Paola le telefona per chiederle di controllare sul suo smartphone perché teme di aver preso la circolare nella direzione sbagliata, non è sicura perché non è ancora pratica della nuova città e orientarsi non è facilissimo. Ma dopo un veloce check, confrontando i punti di riferimento con Googlemaps, Lara le dà la conferma e Paola tira un sospiro di sollievo, l’autobus su cui si trova è quello giusto e potrà arrivare al colloquio in orario.

Al termine del servizio fotografico, poco prima di pranzo, l’ex collega accompagna Lara alla stazione ferroviaria più vicina perché deve tornare a Bologna a recuparare lo scooter che non ha ancora portato con sé. Rientrerà quindi a casa in moto. Le due ragazze hanno deciso di prendere la residenza, avendo anche l’automobile è l’unico modo per riuscire a parcheggiare in area ztl, e comunque a Milano disporre di due ruote è più comodo che averne quattro. Nel frattempo Paola non ha ancora terminato la prova pratica dietro ai fornelli prevista dal colloquio, così Lara, in attesa del treno per Bologna, deve aspettare ancora un po’ prima di chiamarla e chiederle come è andata.

umorismo sottile

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Quella pressa, quella che il dirigente dell’industria che sto intervistando mi indica con il dito, esercita una forza di 4.800 tonnellate e per farmi capire di che ordine di grandezza stiamo parlando, come se ce ne fosse bisogno, utilizza come termine di paragone le 40 tonnellate di un tir. Ed è lì che mi sento male, perché la prima cosa che mi viene in mente non è Tempi Moderni, la scena in cui Charlot distratto appoggia la schiscetta del collega sul piano della pressa e la riprende ultra-sottile. A quella ci penso dopo il ricordo di una gag di un vecchio programma del sabato sera con Raimondo Vianello che si sdraia addirittura là sotto per una pennichella e ne esce come un cartonato a figura intera, come quello di Alessia Marcuzzi che un mio amico aveva sottratto di notte all’edicola davanti alla quale era stato posto per pubblicizzare una nota rivista maschile, su cui era stato pubblicato un servizio su di lei poco vestita. E c’era un’altra scenetta in cui qualcuno veniva inavvertitamente ridotto a una sola dimensione da uno di quei macchinari che servono per compattare l’asfalto sulle strade, come nei cartoni animati della Warner Bros. Comunque si tratta di uno degli input peggiori che la mia fantasia abbia immagazzinato e che mi mette più a disagio di qualunque altra cosa, una sorta di tabù che mi manda in tilt, così sono rimasto qualche secondo imbambolato di fronte a uno schiacciatutto gigantesco che faceva bella mostra del dato che il dirigente mi ha sottolineato, quelle 4.800 tonnellate che ridurrebbero a carta velina qualunque cosa e che era stampato a grandi lettere proprio sopra l’imboccatura. Venga che le mostro il resto, mi ha detto, tutto bene? C’è qualcosa che non va?

faccio cosa

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Per chi come me vende fumo, non nel senso del fumo quello buono ma nel senso di lavorare nel marketing e nella comunicazione, imbattersi in gente che lavora per davvero genera sempre una grande meraviglia, fa crescere la fiducia verso il prossimo e permette di aumentare la consapevolezza che qualche speranza di salvarsi il mondo in cui viviamo ce l’ha. La mia reazione di fronte alla molteplicità delle professioni esistenti al mondo che non hanno a che fare con quello di cui mi occupo io è poi come quella di un bambino che vede l’oceano per la prima volta, l’infinito imperscrutabile dell’operosità concreta dell’uomo che la dimensione on line spesso ti fa perdere di vista. Abbiamo più volte appurato che a partire dalla presa di rete in poi ci sono ben più di tutti gli universi che ci sforziamo di immaginare, il problema è che a volte sembra che siamo tutti noi che in Internet ci lavoriamo a cantarcela e a suonarcela, a dirci vicendevolmente che è un territorio profittevole solo per convincere chi non si fida ancora del tutto. O forse solo per rassicurarci sul fatto che stiamo lavorando per davvero. Se mettete in fila tutti i job title di una agenzia digitale qualunque trovate di quelle cose che voi umani non potete nemmeno immaginare. Ma nel mondo al di qua della presa di rete, a scorrere le voci di cui si compone un qualunque elenco di settori professionali ci si perde più che nello spazio incommensurabile di cui sopra, per questo può esser utile fermarsi punto per punto e vedere quali sono i prodotti di ognuna di quelle attività.

Scopro così l’ingegnere biomedico che progetta supporti ortopedici e opera nella ricerca e sviluppo di prodotti sempre più avanzati. Un lavoro così direttamente legato al benessere del genere umano, alla sua evoluzione e al miglioramento della qualità della vita suscita in me grande ammirazione. Oppure progettisti di interni specializzati negli arredi delle biblioteche, un business così verticale che faccio fatica a capire come si possa tirare avanti, voglio dire non è che ogni mese c’è una biblioteca da costruire o da rinnovare, no? Così quando cammino tra le centinaia di persone che ogni giorno i mezzi pubblici riversano nel centro di MIlano provo a pensare a tutte le storie interessanti di cui sono protagoniste, magari lavori veri, quelli che consistono nella costruzione fisica di cose e oggetti, chissà, e mi verrebbe voglia di chiedere a tutti ma voi che lavoro fate, e se è come penso continuate a farlo, perché se tutti stanno seduti come me a raccontare il lavoro degli altri ottimizzato per il web nessuno fa più nulla e così non c’è più nulla da dire, se non parlare in rete della rete in un ripetersi infinito di poco più di niente.

mentre pensavo al sogno che avevi fatto

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La preoccupava il pensiero della vulnerabilità dei soggetti che stava contemplando, la serie di impiegate in fila sulla scala mobile prima e dopo di lei e il loro procedere omogeneo ed equidistante lungo lo spazio, come valigie fresche di approdo su un nastro trasportatore al ritiro bagagli di un aeroporto. Ma quando giungevano in vetta, il gradino che le aveva sorrette si appiattiva al livello del piano e veniva inghiottito nella parte invisibile al loop, le impiegate scattavano pronte lungo direttrici differenti come respinte da una forza contraria. Lei era l’intrusa ed era facile da riconoscere perché era molto più giovane delle compagne di salita e reggeva una borsa di tela con l’illustrazione di un teschio colorato a stelle e strisce, proprio come la bandiera americana. Da dietro un tecnico addetto alla riparazione dei display accompagnò il suo passaggio con un plateale gesto scaramantico interrotto dal disturbo del segnale video che riportò la sua attenzione all’intervento che stava cercando di portare a termine. Fuori c’era troppo sole, la ragazza dovette fare schermo con la mano libera dalla borsa macabra per proteggere gli occhi chiari affetti da fotosensibilità, e appena li rimise a fuoco notò il gruppo delle impiegate che si era ricomposto intorno a un tavolino all’aperto del bar tabacchi di fronte, ma forse non erano le stesse di prima.

il book

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La colpa è mia perché non sapevo che Naomi Campbell fosse anche una scrittrice e tra me pensavo che si trattasse di un caso di omonimia, chissà come è chiamarsi con il nome e il cognome di una top model. E vi assicuro che non ne faccio una questione di luoghi comuni, quelli secondo cui una donna avvenente non possa essere anche autrice di narrativa, le pupe svampite e poco inclini alla cultura contro le secchione cesse e costrette a sfogare nello studio la loro impopolarità. E a dir la verità la tizia che ho notato leggerne un’opera a me sconosciuta in inglese con l’obiettivo di improve her english non era proprio niente male. Leggeva però a un ritmo di una lentezza esasperante riempiendo i margini con chiose a matita, questo mi ha spinto a dedurre che stava esercitando la sua conoscenza linguistica. Ma quello che ha attirato la mia attenzione in realtà, anche se capisco che viste le premesse fatte sono poco attendibile, è quale tipo di improvement si possa ottenere da una lettura di un libro così, ciò che in prima istanza ho creduto si trattasse di un manuale per aspiranti modelle o al massimo una biografia per operatori del settore. Poi in rete invece ho trovato che si tratta di un romanzo a tutti gli effetti, e da alcune recensioni sembra pure avere una sua dignità. La morale della storia è che anche con Naomi Campbell si possono trascorrere ore piacevoli e imparare cose nuove. Non necessariamente di persona, ecco.

come in una canzone di albano e romina

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Avevo un sentimento proprio qui sulla punta della lingua e forse nella mia testa avevo anche le parole giuste per esploderlo e far sì che si riuscisse a comprendere meglio rispetto a una sensazione di quelle che si condensano in un solo termine e che poi nessuno le capisce, nessuno sa di cosa si tratta.

Avevo uno stato d’animo pronto da condividere che è cominciato qualche ora fa, suscitato dall’ennesimo repentino succedersi di condizioni meteorologiche e dal vento che quando c’è a Milano tutti i milanesi hanno mal d’orecchie e mal di testa perché a Milano sembra che il vento non ci sia mai stato. E il panorama ovunque con il vento non ci azzecca proprio, al massimo vedi alberi increduli contorcersi sotto folate sopravvissute a superfici anomale e antropizzate in atto di sfogo, che al massimo sballottavano semafori pensili agli incroci dei viali.

Ed era un sentire qualcosa di molto forte e incredibilmente vicino, e lo intitolerei così se non ce ne fosse già uno, di titolo così. Non resta che andare per esclusione perché non è stare bene perché bene mai si sta, questo ce lo hanno insegnato fin dai primi schiaffoni per farci inspirare a pieni polmoni l’aria dopo il parto. Non è la certezza di ripartire come sempre dallo stesso punto l’indomani e il giorno dopo ancora perché capita poi di rimettere in discussione ogni piano in ogni singolo dettaglio, persino nel numero di zollette di zucchero nel caffé latte. Non è nemmeno un bilancio in attivo della giornata perché nel comunicato stampa si esagera sempre per eccitare gli stakeholder e alla fine tutti sono in crescita e poi quando non ci sarà più spazio per nessuno ci toccherà chiedere asilo da qualche altra parte, ma sfido posti come la Svizzera o la Francia a prenderci sul serio solo perché ce la sappiamo cavare grazie al modo con cui sappiamo arrangiarci. Questo passaggio era tutto metaforico, eh.

Quindi alla fine resta quella cosa di riserva che metti sempre in una bustina di plastica in borsa che non si sa mai, ma poi non la tiri mai fuori perchè un po’ te ne vergogni, un po’ forse ti fa sembrare poco sensibile perché la situazione là fuori non è il massimo. Così poi un giorno pensi che sì, è proprio quella cosa lì di scorta che ti serve e apri la zip della bustina di plastica e la trovi magari un po’ malconcia, come un set da viaggio da igiene orale per chi di viaggi ne fa pochi. La tiri fuori e la spiumacci un po’ per dargli vigore e poi ci appoggi sopra la nuca e in quel momento ecco che ti riemerge tutto quello che avevi provato tempo prima e che avevi messo in stand by perché fa un po’ zotico e fuori moda alla fine dichiararsi così, felice per quello che si ha, anche se poco.

pesci piccoli e pesci piccoli

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Che non è detto che siano meno dannosi dei pesci grossi, e vi giuro che mentre la concomitanza dell’altro post un po’ me l’ero preparata prima, questa è una pura combinazione anche se la notizia è di qualche giorno fa ma sarebbe stata perfetta per il primo di aprile, e io ne sono venuto a conoscenza solo oggi. Succede che dalle mie parti una pescheria puzzasse di evasione totale lontano un miglio, tanto che le Fiamme Gialle dopo un controllo hanno rilevato oltre 700 mila euro di introiti non dichiarati al fisco e circa 80 mila euro di Iva non versati all’erario. E a dimostrazione delle sue manchevolezze con l’Agenzia delle entrate, il commerciante aveva ottenuto pure un appartamento di edilizia agevolata a canoni ridotti, beffando quindi anche una famiglia realmente bisognosa. C’è da chiedersi perché il reato, che risulta esser stato perpetrato con continuità dal 2007, non sia mai stato accertato prima. Di certo non si può dire che il tema della gravità dell’evasione non sia salito di priorità negli ultimi tempi. Sarà cambiato davvero qualcosa?

la chimica spiegata agli adulti

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Ci sono vari modi di studiare fuori tempo massimo, intendo una volta laureati ed esaurito quello slot di possibilità che di norma la vita dovrebbe darti solo una volta, mentre hai le spalle coperte dalla famiglia o chi ne fa le veci. E sono tutti modi che ammiro e invidio un po’, perché una specializzazione o un master, o addirittura tornare all’università, ti consente maggiori opportunità, pesa sul curriculum, costituisce un vantaggio competitivo o consente di rifarsi una professionalità, se magari non ne puoi più del tuo lavoro. Io non sono di questa indole, un po’ per l’incostanza – potrei fare un elenco delle cose che ho iniziato e non ho mai portato a termine, anzi lo farò in una pubblicazione a sé – e un po’ per la fatica e il tempo che è necessario dedicare. Fermo restando che un conto è proseguire il percorso di studi freschi di titolo accademico, un corso è rimettersi su libri e appunti dopo anni di lavoro, la testa ormai è strutturata secondo la propria mansione, si diventa tutti un po’ più rigidi e poi la famiglia e insomma, alla fine è meglio e più comodo accontentarsi.

Quello che più mi meraviglia però sono le persone già grandi, magari non come me ma quasi, che decidono di conseguire il diploma iscrivendosi alle scuole serali. Prima mi riferivo allo slot di possibilità, e c’è chi per svariati motivi non è riuscito a sfruttarlo e si è ritrovato a fare altro mentre i coetanei sedevano ogni giorno ai banchi di scuola. Ora, il senso di un master dopo una laurea è quello di entrare nei dettagli di qualcosa, spaccare in quattro il capello, come si dice. Le scuole superiori invece possiamo dire che forniscono i concetti fondamentali delle materie, giusto? Ecco perché è straordinario l’approccio di un adulto alle materie a cui di norma si accede da adolescenti e alle basi delle stesse, il punto di vista è diverso, se ne ha una visione meno dogmatica e più paritaria, ci si pone con umiltà allo stesso piano della nozione e ci si introduce nel significato di quello che si deve imparare per poi sbucare in cima con la piena padronanza dell’argomento. Come entrare in un mezzo di trasporto, smontarlo ed esaminarlo pezzo per pezzo e quindi domarlo per condurlo dove si vuole, possibilmente nel proprio garage.

Ho un caro amico che da grande si è rimboccato le maniche e ha preso il diploma che non aveva potuto conseguire da giovane e grazie a quello ha fatto anche una bella carriera. Ho un’amica più che trentenne che frequenta le scuole serali suppongo con lo stesso obiettivo, cambiare la propria vita possibilmente in meglio, che leggo sempre piena di entusiasmo nel fare propria la materia per la quale nutre una grande passione. E a parte il sacrificio di lavorare e studiare e trascorrere le sere ad ascoltare i prof magari più giovani di te, credo che l’opportunità più immediata di questa esperienza sia di battersi ad armi pari contro un qualcosa che a quindici o sedici anni sembra un mostro sconosciuto, un’esperienza in una foresta indefinita da attraversare talvolta senza nemmeno un punto di riferimento e una carta.

pesci grossi e pesci grossi

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Non è un pesce d’aprile. L’arrivederci di Emilio Fede dal suo scranno sembra l’ultima delle mosse di una strategia un po’ grossolana tra giocatori che giocano forte, un avvertimento tra bulli, il classico stai all’occhio che prima o poi ti aspetto fuori di chi sa di avere ancora il coltello dalla parte del manico. Ma in uno scenario così, come ci immaginiamo sia occupare quelle posizioni di potere in un ambientino da sogno come Mediaset, sembra che i coltelli in mano li abbiano tutti, e per chi è abituato a vivere da squalo in una vasca tra simili la prima regola di questo fight club di colpi bassi è proteggersi dagli squali con cui sei uscito a caccia. Così ci si immagina quali debbano essere i delicati rapporti della banda di potenti che ruota intorno al padrone di casa, non dimentichiamo che per l’entourage più stretto ed esclusivo il capo ha promesso non solo un posto di lavoro e un posto in parlamento ma anche un posto nel mausoleo di famiglia. Ed è sufficiente fare due conti e considerare la facilità con cui sembrano pronti a farsi le creste da migliaia di euro, tra di loro e di nascosto dai propri benefattori, con i vari Lele Mora della situazione. Un clan destinato a implodere in un tragico tutti contro tutti, e tutti pronti a trascinarsi reciprocamente a fondo, a divorarsi a vicenda e a far sparire i resti prima che segreti e malefatte affiorino come boe di segnalazione in superficie.

caro prezzo

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La notizia degli ennesimi aumenti nelle bollette non passa inosservata in casa, ci si raccomanda a vicenda di porre la massima attenzione nei consumi e il riferimento alla luce che alimenta gli elettrodomestici e il gas che consente di cuocere i cibi è una tessera di un puzzle che si completa nel ragionamento di mia figlia. La crisi e la recessione, la Grecia poi la Spagna e dopo l’Italia, sono tutti  concetti vaghi che improvvisamente si concretizzano perché realmente in grado di minare la sicurezza su cui fa affidamento una bambina. La corrente e l’energia si pagano? Sì cara, eccome, e si pagheranno sempre di più. Ma anche la benzina? E la tv? E il telefono? E Internet? L’elenco dei dubbi risolti si fa lungo, la lista delle necessità si spunta ad ogni voce, e a chi ha influenza sul mercato e l’economia solo indirettamente suscita una sorpresa dopo l’altra. Che ingenuità. E tutti i soldi per pagare queste cose dove li prendete, ci chiede alla fine. Così ora anche lei ha ben chiaro che ogni giorno, dopo averla accompagnata a scuola, quell’ufficio in cui passiamo molto del nostro tempo non è un luogo in cui ci rechiamo senza uno scopo. In cambio riceviamo quanto ci serve per tutto, vacanze comprese. I vestiti. I suoi buoni mensa. Tutto. E a quel punto vedo la sua fantasia volare verso un pianeta in cui tutto è gratis e ognuno prende quel che gli serve e basta, e poi me lo dice anche, quanto sarebbe bello se fosse così. E a caldo penso alla perfezione di un paradiso di tal genere, ma poi immagino le code di gente ai distributori di qualsiasi cosa, quelli che prendono per sé e per la cognata e per i nonni, con tre o quattro tessere e le borse da riempire. La calca, la gente che passa davanti e ti scavalca per fare prima e perché teme che le scorte finiscano. Nessun essere umano riuscirebbe a sopportare un sistema economico così complesso e difficile da gestire, questa proprietà indivisa globale, tantomeno dei bambini. Meglio pagare, fidati, e farlo nel modo più illuminato possibile.