non ci sono alternative

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La discussione avviata su Facebook da Umberto Palazzo e ripresa da Inkiostro ha numerose chiavi di lettura. Emerge intanto un dato di fatto che riguarda lo scarso ricambio generazionale negli ultimi vent’anni. I nomi nuovi, nel senso in cui li intendiamo noi, sono davvero pochi e comunque si tratta di artisti già in giro da un po’ ma ancora nella fascia da 1.000 a 3.500 euro. D’altronde, seguire cantanti e band dal vivo è un passatempo sempre meno diffuso, ci sono attività di maggior interesse che hanno distratto quella fetta di popolazione italiana tradizionalmente giovane che segue la musica. Il dibattito dovrebbe riguardare intanto la qualità di tutti i nomi non presenti in quell’elenco, anche se sarebbe il caso di mettere in dubbio il valore di alcuni dei presenti. Poi perché il rock sia diventato meno appealing di tante altre cose, e musicisti e pubblico preferiscano di gran lunga fare altro, per esempio dedicarsi a hobby che riguardano cose come quella su cui sto scrivendo. Infine il lavoro della musica: al di fuori di questa schiera di eletti a malapena è possibile rientrare nelle spese per spostare corpi e strumenti e organizzare concerti, per poi frustrarsi davanti a poche decine di persone disinteressate, baristi esclusi. Altro che nicchia, meglio stare a casa e col PC acceso, perlomeno si resta al caldo.

invasione di campo

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Visto da sotto sembrava un gigante, anzi era Gulliver spaventato, ritto in un prato verde popolato da Lillipuziani in maglietta colorata e pantaloncini. Qualcuno gli intimò di fermarsi ma ormai il peggio era compiuto, le pantofole killer non avevano lasciato scampo e i due nipoti, a terra sul pavimento dell’ingresso, non sapevano quale fosse la procedura di emergenza. Il nonno era fotofobico ma non indossava mai gli occhiali perché le persone anziane sono testarde e una volta lo erano ancora di più, non seguivano i consigli di nessuno, compresi medici, mogli e figli. Passava il tempo sul terrazzo sotto il sole a curare i suoi vasi, metteva le casse del giradischi rivolte verso la finestra e trasmetteva musica folk tutto il dì. Rigorosamente esposto alla luce di intensità doppia, riflessa anche dal mare. Poi la sensibilità degli occhi aumentò tanto che al passaggio tra luoghi all’esterno e ambienti al chiuso gli calava una barriera nera sulle pupille, una sorta di cecità temporanea che con il tempo aveva prolungato a intervalli preoccupanti la capacità della vista di adattarsi all’inferiore livello di luminosità. Così il nonno, procedendo nel suo buio, non aveva notato la presenza di un telo verde sul marmo sottostante e di due ragazzini intenti a spingere a ditate omini in plastica poggiati su piattaforme basculanti verso una pallina grande poco più di una biglia, con l’intento di lanciarla verso una porta in miniatura. Il nonno mosse i suoi passi come un orco delle favole e si fermò proprio a centrocampo, solo perché allarmato dalle grida dei due ragazzini sotto che si aggrapparono alle sue gambe omicide implorando pietà. Un portiere e altri sette calciatori di entrambe le squadre giacevano già a terra in diversi punti del campo divelti dalla loro base di sopravvivenza, con le teste o le braccia o le gambe mozzate. A quel punto il nonno si rese conto del pericolo in corso e accettò la resa, la nonna corse in aiuto degli inermi omini e aiutò i nipoti ad evacuare la zona di gioco. Ecco nonno, ora puoi proseguire. Il campo venne liberato, ma la partita fu interrotta e mai più ripresa. Quel giorno, una maledetta domenica di morte, viene ricordato ancora oggi negli annali del Subbuteo come la triste ricorrenza della “strage dell’orbo”.

trofeo moretti

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Non si dovrebbe fare sport dopo il lavoro, vero? Invidio quelli che riescono a farlo la mattina presto prima di tutto il resto, io ci ho provato ma a mezzogiorno mi viene già sonno, dopo che ho passato la prima parte della giornata a mangiare tutto quello che trovo sottomano. O fare come un mio collega che in pausa pranzo indossa le scarpette e va a correre al parco in Palestro, ma anche in questo caso avrei seri problemi, il bagno dell’agenzia in cui lavoro non ha la doccia e vi confesso che, dopo una corsa di un’ora, sono inavvicinabile e potete immaginare il motivo. Quindi resta solo la fascia preserale, dalle 18 alle 20, prima di godersi il sacrosanto ristoro del corpo e dello spirito in compagnia dei propri cari. E sapete qual è il problema. Sei lì alla terza serie di addominali che la coach ti elargisce a fine seduta come una ciliegina sulla torta a strati farcita di tutti gli altri muscoli volontari del corpo spremuti per benino e pensi al perché di tutto ciò, dopo aver pensato per otto ore come minimo alle migliori parole per sintetizzare concetti e descrivere emozioni in cui cerchi di mettere te stesso e però sovente ti fanno capire che era meglio se ci avessi messo qualcun altro, dopo aver coordinato persone che sono talmente scoordinate che non ti capaciti di come siano state selezionate, dopo aver percorso in lungo e in largo l’area metropolitana da nord-ovest a sud-est con ritorno al centro sotto la pioggia battente e la variabile impazzita del vento, e mentre pensi al perché di tutto questo per lo meno ti distrai e riesci a finire l’immane sforzo e a quel punto ti chiedi dove sia la soddisfazione. Dove sta di casa. Dove è finita. E, giunto a termine del supplizio, a tavola poco dopo, scopri di essere salito di livello passando con la massima naturalezza dai 33 cl della lattina di una volta ai 66 di oggi perché tua moglie non ha voglia di birra, e pazienza, vorrà dire che la berrai tutta da solo. La soddisfazione in fondo è anche questa, lo sport fortifica lo spirito e aiuta a superare sfide sempre più ardite.

c’è soltanto un po’ di male nel bene

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Siamo in tanti e siamo tutti diversi, e per complicare le cose ogni giorno ci differenziamo anche dai noi stessi del giorno prima non perché siamo più vecchi di poche ore, ma perché indossiamo l’età che più ci si addice secondo fattori quali la stagione, il tempo fuori, quanto ci si sente riposati e l’ora a cui ci si è coricati. In questo i più piccoli sono veri fuoriclasse, ma non pensiate che noi adulti siamo da meno, è che sono loro, i bambini, che ci insegnano questo gioco delle parti nel senso di ruoli da interpretare con i genitori soprattutto. Perché con i coetanei occorre stare sempre all’erta e con gli adulti al di fuori della famiglia è troppo complicato farla franca, solo i più forti sopravvivono. Quindi i nostri figli regrediscono all’età prescolare se si sentono fuori fase, si chiudono a essere totalmente in balia di chi si prende cura di loro. Ma basta un pomeriggio di sole ed eccoli ritornati grandi, anzi di più, una spanna più alti di prima a dimostrare che per loro l’infanzia è una pratica già in scadenza. Così anche da grandi si cresce e decresce come un organetto dei disegni animati, un bel mattino si andrebbe tutti a tirare a canestro e quello dopo si indossano completi per convincersi meglio di essere più vecchi, appagati e sistemati, già “studiati” e con impiego quando c’è, e tutte le cose per cui ci si sbellicava dalle risate senza motivo e con le lacrime agli occhi quel giorno non si capiscono nemmeno più, anche se era uno scherzo meglio non pensarci, fare silenzio e mettersi il maglione marrone a rombi e la camicia.

clausola di rimborso

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Anche se è meglio non prestarmi nulla perché non è che non pongo adeguata attenzione alle cose degli altri, è che sono sfortunato, mi impegno ma poi c’è quel momento in cui mi giro e zac, il danno è fatto. Non mi credi? Metti il vaporetto, per esempio. Non so come si chiami esattamente, perché la vaporella è il ferro da stiro. Il vaporetto per me è quello strumento che serve a pulire e a profondere igiene grazie alla potenza del vapore a millemila gradi, sembra un cucciolo di elefante con quella proboscide che si può infilare dappertutto. Me lo hanno prestato ma era un modello farlocco, forse è per quello che me lo hanno prestato, fatto sta che l’ho provato e poi l’ho rimesso nel suo contenitore di tela e poi è sparito. Volevo restituirlo perché non funzionava granché, e sono sicuro di averlo portato in macchina, ma forse nell’atto di caricarlo l’ho lasciato inavvertitamente sul marciapiede ed è sparito, non so che fine possa aver fatto.

La scorsa estate invece mi hanno prestato il fornelletto da campeggio, un modello nuovissimo e tutto cromato che mi spiaceva persino sporcarlo cucinando. Giuro che si sono stato attentissimissimissimo, poi un giorno ho buttato la pasta e non me ne sono accorto ma una penna rigata è caduta fuori dalla pentola e si è infilata sotto, vicino al fuoco, e mica me ne sono accorto. Poi sentivo puzza di bruciato, e infatti la penna rigata si era incendiata, così diamine che sfiga, ho pensato, l’ho tirata via da sotto la pentola con fatica, perché la pentola era anche piuttosto grande rispetto al fuoco su cui era posta, dovevamo mangiare la pasta al pesto in sei persone. Ho tolto la penna rigata con una forchetta e ho constatato il danno: la cromatura del fornello si era bruciata, c’era una macchia bella grossa e nera. Rientrato dalle vacanze ho provato a smacchiare per limitare il danno, mi sono fatto pure consigliare da un ferramenta, ma niente, non c’è stato verso.

La proprietaria del vaporetto non è stata ancora informata, ma probabilmente non è nemmeno più interessata a riaverlo perché secondo me è consapevole del fatto che il suo attrezzo domestico non funziona più. La persona che mi ha prestato il fornello invece non ha fatto una piega, io volevo ricomprarglielo ma ha detto che non se ne parlava nemmeno, anzi credo che lui sia riuscito a occultare il danno non so in che modo. Quindi anche se è meglio che non mi presti nulla perché è facile che te lo restituisca rotto o menomato o addirittura che non te lo restituisca nemmeno più, fammi allora un dono, regalami solo un po’ della tua grande maestria nel sedare l’ansia, chiuderla come fai tu non so dove tanto che non ne porti con te nemmeno un velo, niente di niente. Perché so che se un giorno rivorrai indietro la tua flemma, scommetto quanto vuoi che te la ridarò bucata.

anche se non piove

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Uno di quei dischi che sconvolgono la vita per una serie di motivi che non riesci a descrivere, magari sono davvero dei capolavori o invece sono semplicemente album usciti al momento giusto che per qualche motivo diventano colonna sonora di un qualcosa, anche di negativo, uno di quei dischi lì che nel mio caso è anche realmente una pietra miliare è uscito dieci anni fa, nel 2002 mese più mese meno (è stato pubblicato il 14 gennaio). In realtà ricordavo male, ero convinto fosse uscito a fine 2001. Ma non ero molto presente, in quel periodo di grandi cambiamenti. E oggi l’ho riascoltato in perfetto mood domenicale e ho appurato che Neon Golden conserva inalterato il suo potere di sconvolgere le cose. D’improvviso diventa tutto velato ma non è che speri torni sereno, scopri che è meglio così. Tutto nuvoloso.

così vicino, così

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Rimanere così con le bocche a pochi centimetri di distanza, bocche che si parlano perché sei in un luogo pubblico e in genere con le persone ti viene da indietreggiare un po’ e invece quando entrambi si rimane lì a respirarsi l’uno con l’altra la domanda e la risposta in quei pochi secondi, chiudi le palpebre come autodifesa e probabilmente per entrambi succede la stessa cosa, mentre gli istanti passano e scema anche quella che potrebbe chiamarsi attrazione o quella tensione che prelude a qualcosa che conosci bene ma la scia del profumo, una caramella o una gomma da masticare o anche un banale dentifricio o è proprio la carne, resta come un banco di nebbia. Lì in mezzo c’è stata una manciata di secondi in cui due vapori si sono condensati e hanno nascosto tutto e tutti quelli intorno, e pensare che un po’ più in là c’è un ingegnere che ascolta musica osservando i campi oltre la ferrovia e di fronte a quel punto non ti ricordi nemmeno più chi. Poi svanisce pure lo strascico, nel frattempo hai capito che si tratta di fragola, perché sono cose che o le prendi al volo o non le recuperi più, cadono come copricapi giù dai pontili sul mare aperto ed è sciocco sporgersi per afferrarli e se ci riesci potresti anche pentirtene. Ma quel fermo immagine che ora ti porti dentro e che lo metti come foto su un desktop immaginario, ci pensi e ti ci struggi così decidi di assemblare una occasione ottimale scegliendo le componenti migliori. Il giorno, la città, il posto in cui incontrarsi e l’ora, è quasi estate e le chiacchiere si possono anche fare all’aperto, camminando in strade che non conosci e se ci sono le zanzare poco importa. Manca un elemento chiave che è l’assoluta imprevedibilità, il temporale e l’acquazzone che poi è il parere disinteressato, quello che avresti chiesto a un amico che non hai ha portata di mano, allora la chiami poco prima dell’incontro e le dici che c’è qualcuno lassù che è contrario, ovviamente scherzi ma è meglio fare un’altra volta, non hai nemmeno l’ombrello. La settimana prossima, che poi però non sarà così. Un’altra volta non esisterà perché proprio qualche giorno dopo succede una cosa di rilevanza storica, cambiano le abitudini e gli orari e non ci si vedrà mai più, nemmeno per caso.

escrementi

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Il che non significa che la vita sia solo un cammino pieno di sterco. Anche se considerando l’odore diffuso, pardon, la puzza che c’è fuori ora e che sarà il tempo o la pressione atmosferica o non so che altro ma si percepisce la stessa fragranza del letame appena posato nei terreni di campagna, una reminiscenza che ho tutt’ora ben presente e magari si tratta proprio del letame che è stato restituito ai campi qui intorno. O concime chimico, chissà. E ragionando sulle deiezioni con cui si ha più comunemente a che fare, la lettiera dei gatti alla fine è il meno peggio, loro non hanno scelto di vivere qui con me ma il contrario, e l’essere riuscito a convincerli che è meglio concentrare lì i loro sforzi anziché random sulla superficie domestica è tutto sommato un primato dell’uomo sull’animale, che forse si troverebbe meglio a rischiare la vita ogni giorno tra le automobili che, sempre più grandi, non si curano degli esseri più piccoli e indifesi, e a farla dove capita, in quel poco di sabbia disponibile ai lati della strada. Per non parlare delle centinaia di pannolini cambiati e culetti lavati, io con una figlia solo tutto sommato nemmeno tanti, ma in alcuni periodi della crescita dei bambini vi assicuro che avere a che fare con i loro scarichi vi fa passare tutta la poesia del materiale per i più in odore di santità. Il problema invece è con gli escrementi umani, le persone che hanno tali sgradevoli sembianze, ci si imbatte in ogni momento e in ogni luogo, e non è stato ancora inventato un antidoto, un modo per filtrare il loro olezzo e salvarsi lo stomaco, un sistema per non curarsi di loro e passare oltre, cercando di non calpestarli e rovinarsi così la giornata. Gli stronzi, quelli veri, non li raccoglie nessuno. E scusate il post di merda.

pecunia e pecora, stessa radice

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Nessuno ha pietà per le maxi-confezioni famigliari di crackers in sacchetti, nemmeno quando sono al cinquanta per cento bisognerebbe comprarli e forse è proprio lì il motivo per cui li trovi al cinquanta per cento, chi muove i fili della grande distribuzione organizzata, e scusate la dietrologia, sa benissimo che dentro ai sacchetti la percentuale di confezioni con almeno qualche esemplare non sbriciolato è a una cifra. I crackers dovrebbero viaggiare in contenitori a prova di urto, avvolti in una pellicola protettiva tipo quelle con le bolle d’aria per gli oggetti fragili che si acquistano online e che ti arrivano in perfette condizioni anche dopo un volo da Hong Kong, mentre i crackers partono dalle industrie alimentari che poi saranno qui a due passi, ci scommetto, e le grandi scorte per i supermercati vengono condotte verso gli scaffali senza il minimo rispetto, e i consumatori più sprovveduti come il sottoscritto, tra i principali sostenitori dei sostitutivi del pane soprattutto come snack in ufficio, ogni volta si lasciano prendere dall’offerta anziché considerare come potrebbe essere la situazione là dentro. Una vera e propria strage. Nessuno ha pietà per le maxi-confezioni famigliari di crackers in sacchetti, nessuno.

p.s. no, non avete sbagliato canale, né c’è stato un errore di visualizzazione. Mi ero imposto di non spendere nemmeno una parola sull’animoso monologo ai più noto come “Pecorella”, il caso mediatico della settimana, il classico argomento sul quale è difficile esprimersi e prendere una posizione senza decontestualizzarlo, è difficile anche da commentare e ci vuole poco, come potete immaginare, a cadere nel qualunquismo e nella banalità. E ne ho lette tante, in giro. E mentre scrivevo cresceva la tentazione di cancellare il tutto e non pubblicare il post, non riuscendo a giungere ad alcuna conclusione. Non sono un abitante della Val di Susa, e se ve la devo dire tutta non ho mai seguito il dibattito in profondità perché leggo da una parte e mi convinco, leggo dall’altra e mi convinco pure, così alla fine non riesco a mettere a fuoco né la soluzione tantomeno il problema. In questi casi mi fido del giudizio che ne danno le persone che stimo di più, che, mia moglie a parte, sono i rappresentanti della politica ai quali delego le mie decisioni con il voto, secondo i canoni della democrazia indiretta di cui ho la fortuna di fare parte. E questi rappresentanti, come potete immaginare, sono favorevoli al completamento dell’opera in questione anche se all’interno del partito ci sono divergenze e spaccature. Posso capire che ci siano oppositori e che si immolino in questo modo così acritico nella difesa del loro territorio, oltre che delle loro posizioni. Voglio dire, a due passi da casa mia sta per succedere il finimondo con il raddoppio della portata di una superstrada che tutti noi vorremmo fosse interrata ma che non si sa ancora come andrà a finire, magari un giorno vedrete anche me bloccare il traffico della A4, chissà.

Ma giunto a questo punto della stesura, ho provato a rivedere ancora una volta il manifestante, un appartenente alla categoria di quelli che qualcuno chiama “gente in via di estintore” per la quale ogni volta mi sforzo di essere comprensivo ma poi non ci riesco. Cerco di immaginarmelo a tavola, a cena insieme, lui che mi parla con quel tono. Allora mi rendo conto che è meglio mettere in stand-by il post e attendere nuova ispirazione, o anche nuovi sviluppi della vicenda, per giungere a un elemento condivisibile pubblicamente. Ma mentre prendo un cracker, anche a casa li scelgo come snack, e vedo tutto il contenuto della confezione ridotto in poltiglia, di colpo mi sento più sensibile a quel genere di tragedia, sicuramente sono più portato a scrivere su questo genere di argomento, chiudo la pagina con il video, lascio mister pecorella – quello senza divisa, no anzi che così non si capisce, quello senza casco – alla sua spocchia e mi dedico a un qualcosa che mi ispira maggior interesse, e anche più pietà.

band in glove

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Ed ecco a voi un nuovo gruppo clone degli Smiths. Speriamo che Marr e Morrissey tornino insieme una buona volta e pongano fino a questo incessante succedersi di replicanti.