we have band: where are your people?

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fair play

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Caro Iacopo,
era già da un po’ che ti volevo scrivere ma non mi erano ancora stati chiari, fino ad oggi, i sentimenti che stai provando, anche se non è difficile immaginarsi come ci si sente nel tuo caso. Sei sempre così esuberante, soprattutto con noi adulti, e pensavo che tutto sommato te la stessi cavando bene, i bambini come te reagiscono in modo imprevedibile alle grandi tragedie dei grandi come quella che ha sommerso i tuoi dieci anni che normalmente dovrebbero essere fatti di compiti e tabelline, di allenamenti con la squadra di calcio dell’oratorio, di amici e di uomini ragno o supereroi equipollenti. E ora anche di due genitori che si sono lasciati. Il tuo papà si è messo con la mamma di un tuo compagno di scuola, che gioca a pallone con te e che è anche e soprattutto tuo vicino di casa, complicando al massimo una banale separazione, per quanto possa essere banale una cellula famigliare soggetta a un processo di mitosi che in teoria dovrebbe dare vita a due nuove cellule famigliari ma chissà, la vita è strana e tutti noi ne siamo consapevoli e non vogliamo dare giudizi morali.

Ma oggi ho deciso di scriverti perché ieri ti ho incontrato sulle scale, in quel condominio vivo anche io, avevi una scatola di dolcetti in mano, e prima ancora che ti salutassi mi hai detto che quello sarebbe stato il tuo ultimo giorno di scuola lì, che a metà anno della quarta tua mamma ha deciso di spostarti in un altro istituto perché il bambino che è in classe con te, figlio della vicina di casa che ora è la nuova compagna di tuo papà, ti vessa con la complicità di un paio di amici di entrambi.

Suppongo che per tua mamma non sia nemmeno semplice trovarsi di fronte al suo ex marito, che nel frattempo ha avuto la decenza di trasferirsi in un altro appartamento, e ai membri della sua nuova famiglia in ogni tipo di occasione imposta dall’anno scolastico, riunioni, feste, colloqui con gli insegnanti, visto che già corre il rischio di imbattercisi ogni volta che va a gettare la spazzatura. Ma tu mi sembri sereno, forse il peso di quelle angherie unite a tutto il resto erano troppo per un giovanotto della tua età, e stare in una classe con facce diverse può essere un sollievo, almeno quello. Ora mi aspetto che cambierai anche squadra di calcio, magari ti capiterà di affrontare in un derby il tuo coetaneo che più di tutto ti ha causato disagio rivendicando a sé il tuo papà come nuovo membro della sua famiglia a fianco di sua madre. Meglio così che essere costretto, con la stessa maglietta, a servirgli il passaggio decisivo per fare gol.

#fft

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Ci sono i #ff che sono i follow friday e scusate se l’ho scritto per esteso, magari qualcuno di voi non sa che cosa vuol dire, non volevo mancarvi di rispetto. Ma a me interessano più i #fft, follow friday trolley che sono le migliaia di persone da seguire che si incontrano al venerdì mattina con il trolley a rimorchio, loro fanno strada e tu ti metti dietro perché è meglio averli davanti che scontrarsi con loro, veloci e pronte (soggetto: le persone) a lasciare il loro posto letto milanese o i coinquilini insieme ai quali si privano mensilmente di più di metà stipendio per l’affitto del domicilio infrasettimanale alla volta della famiglia di origine o di appartenenza, con cui ricongiungersi per il weekend.

Il trolley, che ti viene voglia di compatire perché fa tenerezza, trascinato come un fedele cagnolino di piccola o media taglia, condividerà con i loro padroncini l’ultima giornata lavorativa della settimana per poi essere schiacciato da altri contenitori di fatiche periodiche stipato in cappelliere e lanciato verso destinazioni più o meno remote per tornare sotto la scrivania il lunedì successivo, ancora impregnato della fragranza di casa e magari ricolmo di provviste cucinate da mammà.

I #fft fanno anche piuttosto rumore e hanno trasformato la città in una sconfinata sala d’attesa in cui i viaggiatori in partenza richiamano la curiosità di chi, con una semplice e old-fashioned borsa a tracolla con un libro e due mele per pranzo dentro, fa la misera figura dell’accompagnatore che sogna di volare oltreoceano e lasciare le rotture di maroni del giorno al collega più antipatico.

Ma qui non si va da nessuna parte, che vita è fare avanti e indietro e tenere due piedi in due città diverse dove da una parte non metti il naso fuori dalla stanza ammobiliata che occupi perché non hai una lira da spendere, dall’altra rivedi amici e affetti, magari la fidanzata o il marito per un giorno pieno in cui ti sforzi di concentrare carezze, cinema e ristorante cinese non necessariamente in questo ordine, e poi qualcuno che ti riaccompagna alla stazione e ti aiuta a sistemarti sull’ultimo treno per non dover poi rientrare con il buio in quella città tentacolare che ho letto ci sono le bande di latinos che si menano non si sa il perché nella metro e fanno a gara a chi è più tamarro. I #fft a quel punto sono però #ffm, follow fucking monday, che potrebbe anche significare, per assonanza, perché mi segui e fanculo a tutto il mondo stamattina, te e le tue rotelle che si incastrano nelle griglie e nei tombini.

bambini nel tempo

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I bambini crescono all’improvviso, se li avete li potete osservare, se non li avete potete ricordarvi di come è stato per voi. Una bella mattina si svegliano e hanno qualcosa in più della sera precedente, li vedi che riempiono la tazza di latte e cereali e hanno i modi e una luce negli occhi differente dalla sera prima. Magari covavano quella cosa da settimane ma non era matura abbastanza da rompere il guscio e distribuirsi a catena nel loro corpo. Il modo in cui finisce una fase e ne incomincia una successiva ha dell’incredibile. Colpisce anche il contrasto tra queste novità inaspettate e la metamorfosi fisica, i cambiamenti nel corpo, perché avendoli costantemente davanti agli occhi la crescita di tot millimetri ogni giorno risulta sempre nascosta dietro l’evidenza del dato anagrafico corrispondente.

Invece, magari la sera prima non si riusciva a usare una metafora per fare capire un codice comportamentale da utilizzare tra i coetanei ed ecco che, archiviata la colazione, ti fanno capire che hanno ben chiaro quello che volevi dire. O anche semplici modi di condurre la conversazione con gli adulti, un sorrisetto sarcastico, una battuta, il modo con cui ti chiedono le cose. Si tratta di scatti latenti che ad un certo punto zac, diventano effettivi, ci si sente straripare qualcosa dal proprio centro per assumere la forma della persona che si deve diventare, e sono convinto che ognuno di noi li ha ben presenti dentro di sé, piantati nel proprio percorso esistenziale, tutti quei momenti almeno a partire dal primo anno in cui si hanno percezioni nitide. Non è difficile saper elencare ogni milestone che si è susseguita perché si tratta di punti di arrivo e non di partenza, il compimento di tappe e l’inizio di nuovi tragitti in cui ci si guarda intorno, ci si osserva allo specchio e ci si sente perfetti. Magari con qualche dettaglio in risalto sugli altri: una giacca con le toppe, un flipper che va in tilt, in qualche caso la coincidenza proprio con una torta di compleanno e una candelina accesa in più del previsto, o anche un interruttore dentro che qualcuno ha acceso in qualche modo. Perfettamente adeguati al momento, all’ambiente e al prossimo, consapevoli di aver portato a termine un lavoro che è la missione per cui siamo venuti al mondo e che si protrae almeno per i primi sedici anni, quello che si dice diventare grandi.

rsvp

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Non è facile distinguere quelli veri da quelli falsi, soprattutto in occasioni come queste in cui i partecipanti all’evento sono, anzi, dovrebbero essere operatori del settore ICT, informatici insomma, una categoria che innanzitutto comprende trasversalmente numerose generazioni. Ci sono quelli con i capelli bianchi che hanno iniziato quarant’anni fa nelle aziende che fornivano apparati telefonici tradizionali per conto della Sip e oggi sono a capo di strutture che installano sistemi di comunicazione in senso lato dove la telefonia è un di cui, ma ci sono anche i pischelli freschi freschi di titoli di studio specialistici con le pettinature che vanno di moda. La categoria è anche formata da profili prossionali diversi. Ci sono i sales stretti nei loro completi e incravattati, ma ci sono anche quelli che ti aspetteresti di incrociare in situazioni tipo Chatroulette, nerd sovrappeso con la barba di tre giorni e felpe metal addosso. Ecco perché non è facile distinguere quelli veri da quelli falsi, e solo gli addetti al controllo che passano le giornate nei luoghi adibiti agli eventi sono in grado di dirti di fare attenzione a quel tizio che si è appena appuntato il suo badge alla giacca, perché non è un informatico ma è un imbucato.

Ed è facile tentare una mappatura di questa tipologia di esperti dello scrocco in una città come Milano, in cui sono pronto a scommettere si svolgono quotidianamente centinaia di appuntamenti tra roadshow, sfilate, presentazioni di prodotto, conferenze e vernissage, iniziative che vanno a formare la nebulosa categoria degli eventi, un sistema economico in cui opera una fitta rete di professionisti che parte dai responsabili marketing e comunicazione delle aziende, passa attraverso le agenzie specializzate, le pierre e gli addetti stampa, le location e i fornitori di cathering per finire in casi limite con testimonial, cabarettisti e intrattenimento di ogni sorta.

Gli imbucati costituiscono una galassia che ruota intorno a pasti caldi e aperitivi tutto sommato di qualità e comunque gratuiti, obiettivi di facile accesso credo, basta essere informati ed essere sufficientemente scaltri da non farsi sgamare. Probabilmente esiste un luogo in Internet in cui tutte le e-mail di invito a questo o quell’altro seminario offerto da imprese di ogni ordine e settore vengono intercettate, da qui si passa all’iscrizione sui form di registrazione in cui fingersi Francesco Esposito della GigaTech Labs – nome inventato, ma sono certo che da qualche parte dell’ecosistema dei System Integrator esiste – e il gioco è fatto. Magari si estende l’invito ad altri colleghi bisognosi, o si deve un favore a chi ci ha segnalato l’inaugurazione della nuova sede di quella catena di abbigliamento il mese scorso. Quindi ci si presenta all’ora e al luogo che la segreteria organizzativa ci ha confermato con un look credibile. Che magari, ripeto, in alcuni ambienti è più difficile simulare, ma tra rivenditori di sistemi di sicurezza IT o tra giornalisti e blogger di hi-tech rimanere nell’anonimato non è un’impresa.

Ed ecco il nostro Francesco Esposito della GigaTech Labs alle prese con la seconda porzione di bis di primi – risotto alla milanese e lasagne – che si gode la lussuosa ricettività di uno degli alberghi più in di Milano, con tanto di borsa portacomputer di quelle che usavano ai tempi della prima bolla e che probabilmente sarà vuota o conterrà qualche rivista giusto per fare peso e volume. Non a caso il nostro Francesco Esposito della GigaTech Labs è uno dei pochi a non controllare la posta elettronica durante gli interventi dell’evento, che con encomiabile serietà decide comunque di seguire fino alla fine, anche dopo il coffee break, anche dopo essersi assicurato il gadget della giornata, anche quando basterebbe fingere una puntatina al bagno per dileguarsi fuori da questa sorta di non-luogo popolato da un non-gruppo di persone che è l’evento.

E anche se nel nostro caso sarebbe possibile smascherare l’intruso, assiduo partecipante di incontri dedicati alla celebrazione di argomenti e soprattutto brand a lui ignoti, così tanti da essere sulla black list visiva degli addetti alla sicurezza, alla fine si decide di lasciarlo andare fino in fondo, sarà compito della prossima azienda organizzatrice – se vorrà – negare un risotto giallo e lasagne a Francesco Esposito della GigaTech Labs, per una volta facciamo finta di pensare che si tratti di un ex manager sessantenne ora disoccupato e in bolletta, che cerca in qualche modo di tirare avanti facendosi anche una cultura tecnologica. Chissà.

chi si rivede

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A volte non riconosceva i luoghi, molto più spesso erano i luoghi a non riconoscere lei. Andava nel panico e cercava intorno qualcosa di famigliare, qualche elemento riconoscibile per capire dove si trovasse. L’insegna sul capannone, il parcheggio a pagamento, i venditori ambulanti ma solo se fuori non pioveva. Poi si tranquillizzava perché c’era ancora un po’ di tempo, quella dopo sarebbe stata la fermata giusta. Erano i vetri a specchio degli esercizi commerciali desueti che restituivano l’immagine che aveva di sé diversa a seconda dell’umore, variabile a seconda della temperatura, più o meno colorata a seconda di quello che aveva indossato. Due figure in movimento lungo traiettorie incidenti che si avvicinavano con la medesima velocità in cui c’era tutto il tempo di fare il check completo. Stesse scarpe, stesso cappotto, stessa sciarpa, fin su negli occhi. Poi la pettinatura e gli accessori. Infine la postura, la borsetta stretta sotto l’incavo del braccio destro, l’altra mano in tasca. Per fortuna tutto coincideva alla perfezione, poteva ancora contare su sé stessa almeno per le successive ventiquattro ore.

sciropparsi mentana

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Seguire il telegiornale di Enrico Mentana per me è un enorme sacrificio. Intanto perché così tanti anni sul libro paga di Berlusconi lasciano comunque una macchia sulla carriera di una persona a vita, e questo lo penso anche di quelli che un giorno presentano Zelig e la sera dopo sono sul palco a celebrare la vittoria di Pisapia.

Poi trovo ammorbante  la struttura stessa del telegiornale de la7. I primi dieci minuti buoni vanno via con Mentana che fa il pippotto presentando la scaletta delle notizie della serata, imbastendo già un po’ di commenti e di facezie sui fatti del giorno. Che poi a me annoia tantissimo sentirlo parlare, mi immagino avere un professore così alla prima ora di lezione e già che il tg delle 20 è in una fascia molto a rischio, che dipende dalla giornata che hai avuto e da cosa hai preparato per cena. Finita l’introduzione rinforzata, ecco i titoli veri e propri, annunciati da Mentana. Sì, ancora lui. Per fortuna ci sono le immagini a corredo, ma sotto la voce è ancora sua che ripete la sintesi dell’introduzione precedente, e anche qui va via un altro paio di minuti. A quel punto finalmente inizia il telegiornale vero e proprio, condotto da Mentana. Ogni servizio, quelli che sono gia stati accennati due volte, viene introdotto una terza volta, quand’ecco che finalmente si entra nella notizia, l’unica oasi giornalistica della trasmissione in cui non si sente la voce di Mentana, pronto a chiudere però lo spazio di ogni argomento riprendendo il commentino di cui ha già dato un assaggio in apertura. Ma ecco la soluzione. Ho scoperto che la domenica è il giorno di riposo di Mentana, ho provato a seguire il telegiornale de la7 senza di lui e ho capito. Non è un problema di format.

strumenti di imprecisione

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Se io vi dico tool io lo so che fate quello sguardo di quelli che hanno capito e annuite con la testa, e avete voglia di dare un poke al vostro vicino e segnalargli quel figo di plus1gmt a cui piacciono anche i Tool. Sì mi piacciono, ho Undertow originale da qualche parte che non ascolto da un po’ ma quando è uscito mi aveva folgorato quanto voi.

Ma mi dispiace deludervi perché avete letto male, tool con la t minuscola che sta a significare l’ennesimo applicativo web based da utilizzare d’ora in poi per fare qualcosa che fino a ieri abbiamo fatto con uno di quei sistemi che in gergo chiamiamo legacy, che funzionano da dio, abbiamo la padronanza assoluta di farli evolvere come vogliamo e, a dirla tutta, con qualche accrocchio riusciamo anche a renderli interoperabili. Esportiamo i dati in un formato un po’ naif ma che poi, con due formulette di Excel e qualche separatore inventato e una bella ripulita finale su Bloc Notes alla fine riusciamo a fornire liste da query nel modo preferito dal cliente. Ma in un mondo che va centralizzandosi e acquisendosi in un sistema a matrioska, alla fine sopravviverà solo una supermega corporation che si farà chiamare Iddio Onnipotente e controllerà ogni cosa e avrà implementato ovunque, azienda per azienda, casa per casa, cesso per cesso, un sistema di raccolta ed elaborazione informazioni collegato a un unico database globale che ci sarà spacciato come il più facile da usare.

Se non che nel frattempo la lingua cinese, faccio un esempio alla Blade Runner, sarà parlata e purtroppo scritta dal 95% – purtroppo per me che non la conosco – della popolazione lavorativa intergalattica, per cui quando un impiegato del centro Italia farà la sua estrazione, la coesistenza tra una e accentata acuta e il codice di avviamento postale con i due zeri iniziali di Roma in un field formattato come numero manderà in tilt la sequenza dei dati richiesti a causa dei due campi mancanti che faranno anticipare il resto di due posizioni, mandando in vacca una campagna di marketing online da migliaia di kappa euro perché al posto dell’indirizzo e-mail sarà utilizzato il job title del contatto successivo.

E allora quel giorno io li aspetterò in ufficio con il pc acceso quelli della filiale italiana di Iddio Onnipotente, con il mio sistema legacy caldo e pronto a restituire l’indirizzo della via Aurelia al chilometro 200 che non è un numero di portone come a Pechino o a Los Angeles o a Mumbai o Oslo. Sapete come finisce la storia? Il manager che ha ideato quel tool nel frattempo, sempre tool con la t minuscola, grazie ai risultati ottenuti ha avuto un avanzamento di carriera e che il tool abbia bisogno di una bella riprogrammazione non interessa più a nessuno. Perché c’è già un nuovo tool centralizzato e web based in cantiere, che sarà ancora più efficace.

dico basta alla pirateria. Ora.

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L’ingenuità dell’articolo di Matteo Bordone su Wired è disarmante, soprattutto nella parte centrale che racchiude il classico manualino per sentirsi le dita pulite e l’how-to-do del dovreste fare tutti come me, chiedetemi come. Ma il punto è proprio nel passaggio in grassetto “per me le cose che contano vanno possedute”. Bravi, ma questo sono io a dirlo, bravi, continuate a riempirvi la casa di cose e a intasare le discariche di rifiuti, perché è lì che le cose finiranno una volta che sarete morti. Del resto, le cose che contano non sono digitali, un paradosso quanto una dimostrazione per assurdo perché se esiste un canale in cui una matrice può essere duplicata all’infinito e non voglio che quella matrice venga duplicata, la matrice stessa non deve essere digitalizzata, o può essere digitalizzata tramite un passaggio di conversione dall’analogico in cui la qualità per forza di cose è inferiore all’originale, per fare un esempio il film ripreso al cinema con il pubblico che si alza per andare a fare pipì o che chiacchiera in russo. Ma se si tratta di una matrice nativa digitale è evidente che occorre reinventare un sistema economico in cui il guadagno non dipenda dalla vendita del prodotto. Facile, no? Perché possiamo indignarci quanto vogliamo, ma non esisterà mai una pena o uno stato di polizia postale tale da arginare la pirateria o un’occasione così poco allettante da non fare di un uomo un ladro. Per buona pace di chi riempie di contenuti la rete, che prima o poi finiranno in una discarica virtuale e anche lì si porrà il problema del riciclo.

così impari

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Mamma e figlia restano ferme mentre tutta la massa di bambini si riversa oltre la soglia della scuola da una parte e la massa degli accompagnatori si avvia verso il cancello di accesso, dall’altra. Restano immobili come trattenute mentre intorno la risacca dipana le onde umane lasciando il bottino della pesca alla mercé della rete, una delle tante metafore del malessere. Si dirada anche il vociare della cittadinanza attiva e passiva dei buoni propositi della mattina, lasciando libera all’udito la discussione tra le due ritardatarie, una che non vuole andare in classe e l’altra che giocoforza non può andare al lavoro.

Ed ecco a nudo tutto il dramma che si consuma, perché la madre si cala immediatamente nel ruolo della severità da disperazione e urla, la bimba quello del pianto in silenzio che è la cosa più straziante dei piccoli. Bocca serrata e lacrimoni che scendono sotto gli occhiali da vista sino al mento. La mamma non si lascia commuovere e le vomita addosso tutte le sue sacrosante ragioni. Adesso vai dentro perché è il tuo dovere e io non posso stare qui a litigare. Nel frattempo è uscita anche una bidella a mediare la situazione, si mette a lato delle due con le mani in tasca ma non sembra capace di dare la svolta, va solo a ricoprire una posizione di rottura dal punto di vista della prossemica: il genitore infatti si rivolge alla figlia ad almeno due metri di distanza e in piedi, senza un contatto rassicurante e senza inginocchiarsi per stabilire una parità di altezza di sguardi. La freddezza del rapporto non è per nulla inferiore alla temperatura di contorno, e la piccola resta lì.

Nemmeno la presenza di spettatori introduce un deterrente, una spinta verso la conciliazione. Guarda che ti porto dentro a forza tanto ormai la brutta figura con tutti gli altri ce l’hai già fatta. Questo è il segnale che ci dà il via, noi ci allontaniamo anche ma le urla ci seguono fino al parcheggio, nel silenzio mattutino quando passa anche l’ora di punta, per di più ovattato dalla neve che ricopre tutto. Quando ti accompagna tuo padre va tutto bene, quando di accompagno io mi fai sempre tutte queste storie. Ecco un altro elemento di valutazione. Probabilmente i genitori sono separati, e la bambina si nasconde dietro la gravità di papà e mamma che hanno anteposto chissà quali altre esigenze personali al suo bene. Lei vorrebbe soltanto uscire di casa lasciando temporaneamente una famiglia intera e non metà affetto per volta.

Oppure i problemi sono in classe. Magari la prendono in giro, magari ha una maestra che la vessa (e non so, ma se io fossi il bidello sarei già andato a chiamare l’insegnante perché la crisi sembra piuttosto seria), magari un compagno di classe la picchia, magari è una giornata così. O è il mal di stomaco perché siamo fatti anche di mal di stomaco. Quanti danni che fanno gli adulti distratti. Quando esco dal parcheggio il portone di ingresso si chiude finalmente dietro il suo zaino, grande quanto lei, e la scuola la fagocita ancora per fornirle un nuovo pezzo del kit anti-disagio che le spetta da programma. Montalo e tienilo con cura, piccola, che mamma non lo usa da un po’ e non sa più come si accende.