è inutile che ti agiti così, sono tutti in sciopero

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a mille ce n’è

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Non c’è favola più spaventosa di quella in cui i genitori contadini o taglialegna ma comunque poveri decidono di sbarazzarsi dei figli accompagnandoli nel bosco e lasciandoli lì perché non hanno sufficiente cibo per tutti e sperano così che se la cavino da soli o, al massimo, si manifesti la legge naturale della selezione per chi è in grado di cavarsela. Non c’è drago, strega o orco che tenga. Una tragedia che si consuma tra i vincoli familiari, anche se pensata ai tempi in cui braccia e gambe in più erano solo cibo in meno per chi lavorava. Oggi non sarebbe credibile, i genitori accompagnano i figli a scuola fino alla terza media e, a parte casi limite, in genere mangiano prima i piccoli, dopo i grandi. Quando ce n’è. Ma, volontà omicida a parte, è la consapevole crudeltà del lasciare uno o più bambini a sé stessi e per di più in ambenti che, ai tempi delle favole, non erano certo posti dove andare a passeggio.

Ci sono così due trame ufficiali che lasciano a bocca aperta piccini, soprattutto, e qualche grande sensibile a certe tematiche. C’è il bambino intelligente che lascia tracce lungo il passaggio per ritrovare la strada al ritorno, con la mollica di pane e con sassi bianchi che riflettono la luce della luna. Questa è la prima. Ci sono poi un fratello e una sorella che non perdono tempo e trovano una casa di marzapane, tutti sappiamo quel che succede lì dentro e quanto vorremmo passarci un weekend.

Ma è l’epilogo che è sconcertante. Qualunque disgrazia succeda, si è sempre pronti a dare una seconda possibilità a una madre e a un padre, che da pentiti lasciano un po’ di sgomento ma fanno spesso pena. C’è chi ha un ricordo remotissimo di sé, lasciato solo e vulnerabile da qualche parte in preda alla disperazione che hanno i bambini quando un punto di riferimento viene coperto da qualcosa o scompare dal campo visivo, e che ha salutato la riapparizione dei genitori come la salvezza, tanto da lasciare che la gioia del lieto fine spazzasse via la rabbia del torto. Poi magari è una macchia di quelle che non vanno più via tanto che resta presente, anche se con tratti ai limiti della definizione ma di cui si è sicuri della veridicità. Però se nella realtà è così, mi chiedo perché nei racconti dovrebbe andare diversamente e che cosa si intenda inculcare con storie più che datate di abbandono. E non è che i bambini si addormentino prima.

scambisti

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No, pensavo che potrebbe essere un’idea – fermatemi se pensate di aver già sentito questa cosa prima – quella un giorno di scambiarci i blog. Non so, io che scrivo un post sul blog di Tizio, Tizio che lo scrive su quello di Caio, Caio su quello di Sempronio eccetera fino a chiudere il cerchio. Si abbinano tramite estrazione gli spazi e gli autori, ognuno si sforza di imitare lo stile e le tematiche del blog che lo ospita, sperando che a me non ne capiti uno di economia. Così, tanto per far qualcosa di originale e guadagnarci in modo diverso i nostri cinquanta centesimi quotidiani, o poco più. Ci sarà anche l’hastag #iblogdeglialtri su twitter, ogni post linkerà a quello dell’altro a formare una catena di buontemponi e ci divertiremo un sacco. Eh? Che ne dite? Lo facciamo strano?

l’ora del tè

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love is the drug, anzi il viagra

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La notizia è che Brian Ferry ha sposato una ex di suo figlio con un gap anagrafico in suo favore di 35 anni, che suona strano come prendere un pezzo dei Roxy Music vecchio come il cucco e dargli nuova linfa facendone un remix. Toh, guarda che coincidenza. Via.

coincidenze

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Aveva tre anni se non ricordo male, e credo sia successo quella volta lì come prima volta solo perché non era mai capitata una congiuntura di eventi così perfetta. Lei già non più piccolissima, io di rientro da una trasferta di lavoro per di più la sera tardi, lei ancora sveglia, io poco attento a non far rumore con le mandate della serratura, le chiavi sulla mensola, la porta che sbatte. Così, dopo pochi secondi, in quel po’ di luce che filtrava dall’abat jour della stanza di là eccola spuntare di corsa in pigiama e a piedi nudi che chiama papà, così mi sono chinato e inginocchiato per prendermi tutto quell’abbraccio e mettermi perfettamente alla sua altezza. Le sue braccia al collo, le mie intorno al suo torace, le guance strette e aderenti. Siamo rimasti così per un po’, mi era sembrato tanto ma è già così nel passato che non saprei dirvi quanto, sapete la concezione della durata del tempo come muta con la memoria a distanza, perché intervengono numerosi fattori a imbalsamare gli attimi archiviati, un po’ come i filtri dei programmi di fotoritocco o i conservanti per gli alimentari. E non dico questo in senso negativo, anzi. Dicevo, siamo rimasti così per un po’ e ho pensato, questo tale e quale ad ora, che era la prima volta così, che da allora in poi avrei avuto un corpo da stringere in quel modo adulto con tutto il mio amore paterno. Per mia fortuna da allora di abbracci così ce ne sono stati una sequenza fuori controllo, per mia sfortuna ora lei è molto più alta di allora e la mia schiena ha subito qualche trauma per il quale non riesco a fare più, come ho fatto tante volte, quella cosa bellissima che è abbracciarci, io mi chino e quando lei è aggrappata al collo la tiro su. Devo chinarmi e poi salire lentamente, è chiaro che pesa anche di più, ma poi alla fine ce la faccio. Con l’età è un po’ più difficile sbaciucchiarla, quindi devo darmi una regolata e pensare che, prima o poi, questi scambi molto fisici di affetto inizieranno a diminuire. Addirittura dicono che a un certo momento cessano quasi del tutto e le figlie si dedicano a stringere altri, ma finché non lo vedo non ci credo. Tsk.

aguzzate la vista

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Sarà che in casa mia è il settimanale che si compra da sempre, me la ricordo addirittura dall’età prescolare perché riempivo tutte le caselle dei cruciverba scrivendo le poche lettere dell’alfabeto che conoscevo e poi facevo vedere lo schema completato a mio nonno che faceva finta di stupirsi del fatto che a cinque anni fossi già in grado di risolvere un cruciverba. O forse non faceva finta, ma dubito fortemente.

Sarà perché mi dà l’idea di un modello di nozionismo d’altri tempi, grazie al quale ci si ricordava delle capitali di stati mai sentiti, si era costretti a sfogliare enciclopedie e dizionari per reperire l’informazione corrispondente alla definizione arcana che mancava a completare il gioco.

Sarà perché ancora adesso i miei genitori, ormai anziani, tengono allenata la memoria così, sulle pagine della Settimana Enigmistica, il cui primato è stato scalfito solo di recente da un prodotto che, a mio giudizio, non ne regge assolutamente il paragone, e mi riferisco al sudoku, ma solo perché preferendo le parole ai numeri per forma mentis la mia scelta è scontata, e non azzardatevi a giudicarmi solo come un bacchettone tradizionalista.

E sarà perché è un tipo di passatempo che vanta innumerevoli tentativi di imitazione ma che a me risulta comunque ostico, per non dire difficile da sostenere, un po’ perché sono impreparato e ignorante, un po’ perché non mi interessa. Sta di fatto che ne ho sempre ammirato alcuni aspetti, e ora che li sto per elencare mi sembrano tutti prettamente estetici: la scelta del bianco e nero più il colore della copertina, rigorosamente blu, verde o rosso. Il formato e l’impaginazione, alcuni disegni entrati nella storia come Il quesito con la Susi, Il tenero Giacomo e il corvo. Tanto che cerco sempre qua e là di fare proposte di adv che richiamino in qualche modo quello stile, ma chissà perché (domanda retorica) me le bocciano sempre e poi, quando invece le vedo associate ad altre campagne pubblicitarie, penso tra me beati loro, i creativi di quell’agenzia lì, che hanno avuto l’ok dal loro cliente per un’idea che richiama la Settimana Enigmistica.

Per non parlare delle rubriche ricche di pillole di sapere come “Strano ma vero” e “Forse tutti non sanno che”, le prime che andavo a curiosare, contando quante di quelle notizie erano corredate da una illustrazione e quante invece da una foto. E a proposito di foto, il fatto che non riuscissi mai a riconoscere il personaggio della copertina se non leggendo la didascalia sottostante, che è un mio problema, chiaro, sono un pessimo fisionomista, è particolare. Ma il vedere il primo piano di una celebrità lì, inquadrato tra le caselle delle parole crociate, a un lettore vittima di una società costretta a vedere i vip stampati a colori e, soprattutto, in movimento sullo schermo, sembrava una sorta di giustizia sociale, il riportare le persone famose alla sobria naturalezza e all’immobilità austera della fototessera, tanto da chiedermi se fossero scatti realizzati appositamente. E mi chiedevo anche se era la star di turno a essere pagata dalla rivista o, al contrario, fosse la Settimana Enigmistica a percepire un compenso per far arrivare capillarmente nelle famiglie come la mia le facce di chi voleva farsi pubblicità. Questo sì che è un dilemma, altro che i rebus.

lungometraggio

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Da dove viene l’abilità nel misurare le persone per le loro dimensioni effettive. Sembrano così alte e poi le raggiungi e riesci pure a guardarle dritto negli occhi, che sorpresa. Sembrano così forti ma non lo sono molto più della media, e non è che li devi prendere a pugni per accorgertene. L’attitudine a utilizzare la giusta scala nel riprodurre le bellezze e le bruttezze del mondo dentro di sé e sviluppare il più equilibrato sistema di adattamento, generalmente sintetizzabile nel motto “massimo rendimento con il minimo sforzo”, probabilmente viene da quella materia grezza che ti ritrovi alla nascita e che si chiama autostima, che per sfruttare ancora questa similitudine me la immagino come un panetto di Das appena scartato, con quella fragranza e quell’arrendevolezza che a me faceva venir voglia di dargli un morso. Bambini non provate a casa quello che leggerete qui. Su quel blocco grigio ci si mettono un po’ tutti, ci si lavora a più mani, le tue sono sempre le più delicate perché si nasce tutti con l’indole di fare i capolavori. Poi intervengono da fuori in quel modo un po’ grossolano, basta fare in fretta, ma che è un sistema sbagliatissimo. Così inizi a gettare gli scarti che si sono seccati e varchi la soglia dell’autodeterminazione con quello che ti resta, se va bene meno della metà della dotazione di partenza. Ed è naturale che lì prendi gli abbagli, ti senti in un pianeta magari non di giganti, diciamo di individui piuttosto ingombranti. Un consesso di autorità morali e professionisti del saperci fare che non è colpa loro, fidati, è solo la tua percezione. Ma se ti rimane quel dubbio da qualche parte, quello di essere stato raggirato solo perché era meglio emanciparsi ed essere profittevole il prima possibile, se trovi lo scontrino del negozio in cui ha acquistato la plastilina poi sarebbe il massimo ma, si sa, un tempo gli scontrini non erano certo il nostro forte. Ecco, è lì che si guarda ed è quando poi tutto si livella, ogni cosa riassume le giuste proporzioni, e con un po’ di fortuna si trova ancora qualche posto a sedere. Addirittura con le luci accese e prima dell’inizio dello spettacolo, dicono.

gioia e rivoluzione

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Tornando alla lamentatio con cui Gino Castaldo ratificava l’assenza di un qualsiasi artista, gruppo o interprete che fosse in grado di incarnare tutto quanto sta dietro ai movimenti di protesta newyorkesi riconducibili a Occupy Wall Street, ecco la risposta – pura coincidenza, chiaro – proveniente da quelle party, e non si tratta di un refuso. New Party Systems è il supergruppo che propone un inno, dal mio punto di vista più che autorevole, per sonorizzare la situazione. E indovinate un po’ a chi appartiene la vocina solista dell’ambizioso progetto. Vi lascio un indizio con soluzione compresa: suona la chitarra e supporta vocalmente il cantante Tunde Adebimpe in una delle mie band preferite, i Tv on the Radio.

camera con vista

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Ora non vorrei sembrarvi monotematico, ma la chiave di lettura dell’affaire Malinconico e dei suoi soggiorni nelle strutture alberghiere è: avercene di dirigenti e figure apicali della Pubblica Amministrazione che hanno il potere, e la fermezza, di lasciare a casa o persuadere a dimissioni manager pubblici in odore di corruzione o che agiscono contro il bene dell’organizzazione cui appartengono. Come scrive Andrea Sarubbi, “Malinconico sta a Scajola come Monti sta a Berlusconi”.