A E I O U Y

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un popolo di comparse

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Quando, nel 2011, vedo i passanti fermarsi dietro gli inviati dei telegiornali per strada, prendere il telefonino e chiamare la zia o la nonna per avvertire che sono in tv. Quando vedo grandi e piccini mettersi sotto le luci, davanti alle telecamere e ai monitor per guardarsi come vengono in trasmissione e fare ciaociao con la manina, fare le facce. Quando, nell’epoca di youtube e della democratizzazione del protagonismo tramite la rete e la diffusione delle immagini private a sproposito vedo persone che subiscono il fascino di un canale, quello televisivo, che fa fatica a sopravvivere a tutto il resto, penso che proprio non ci sia più nessuna speranza.

giallo

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Bambina A: “Secondo te il canarino Titti é un maschio o una femmina?”
Bambina B: “Non so, dai cartoni animati non è che si capisca molto. A me sembra una femmina”
Bambina A: “No, no, è un maschio, ora mi ricordo: in una storia aveva una fidanzata canarina femmina”
Bambina B: “Questo non vuol dire nulla”.

p.s. aggiungo con orgoglio che la bambina B ha il mio stesso cognome e ha quasi otto anni.

non piglia pesci, no

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Se avete qualche reminiscenza di latino, ricorderete che l’etimologia di negotium deriva dalla netta contrapposizione all’otium, ovvero la sua assenza. Il riposo dedicato al tempo libero e alla cura individuale rispetto all’impegno per lo stato e la cosa pubblica. Pensate un po’ che livello di civiltà, altro che. Ma, in senso lato, il riposo e l’attività sono tuttora due momenti ben distinti. Quando c’è uno non c’è l’altro, è impossibile la compresenza. O no? Un paio di agenzie fa non erano così rare le notti in ufficio per arrivare puntuali con la consegna il mattino dopo, l’otium era relegato a un paio di ore sdraiato sul divano comune, quello su cui dormivano a turno tutti quelli del team che erano sul pezzo verso la deadline a rischio. Il mio record personale? Ingresso in ufficio lunedì mattina alle 9.00, uscita il mercoledì mattina alle 6.30, quasi 48 ore filate a macinare codice senza interruzione, senza un’ora di sonno, giuro. E nemmeno nei più contorti cicli, nelle funzioni più complesse, mai, dico, mai ho avuto il minimo cedimento. Working class hero. Altri tempi, altro fisico, altra economia, altro contesto produttivo.

Ci sono stati invece casi opposti in cui l’otium ha preso prepotentemente il comando di me, la rivincita del corpo che pretende di essere lasciato in pace e lo lascia subentrare al negotium, ma senza avvertire nessuno. Che non è bello. Una volta in ufficio, questo agli albori della mia fulgida carriera professionale, sedevo su una poltrona molto comoda, troppo, e bastava scendere di poco giù che si poteva appoggiare la nuca. Ricordo perfettamente quel giorno, un panino con la cotoletta di troppo è stato fatale. E pensare che ero lì da poco, per arrotondare suonavo il liscio alla sera nelle balere e la mattina facevo la storia della multimedialità. Ma, non appena calate le palpebre e sceso nel torpore dell’incoscienza narcolettica, mi sorprese il mio capo-progetto che non si premurò di evitarmi la figuraccia di fronte a quel manipolo di ingegneri che già si facevano beffe di me per il modo bizzarro con cui nominavo le variabili. E meno male che non ho russato.

Potrebbe andare peggio? Sì, in attesa di incontrare un cliente per una presentazione. Ma sentite: più di venti minuti di attesa dell’amministratore delegato in sala riunioni, da solo. Fuori il buio del tardo pomeriggio del venerdì, cullato dal rumore delle rotelle dei trolley dei pendolari settimanali che si avviano lieti e pensosi verso casa, la vera casa. Dentro, il ronzio del riscaldamento, gli occhi annoiati dall’arredamento discutibile di contorno, e io che aspetto, aspetto, asp… zzzzzzzzzzzz. Mi sorprende un rumore di maniglia che si gira e un “buonasera!” virile, io che balzo in piedi nemmeno fosse entrato il colonnello e io fossi un soldato semplice con la coscienza sporca. Si tratta di un attimo, quando apro gli occhi e lui voltato a chiudere la porta. Questa volta l’ho scampata davvero per un pelo. Peccato però, stavo sognando, non ricordo cosa, ma era molto, molto rilassante.

capre espiatorie

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Un bambino corre durante l’intervallo nel giardino della scuola elementare per inseguire con foga un compagno di giochi, passa a ridosso del tronco di un albero, inciampa in una radice e cade a terra. Nulla di grave, graffi sul volto e sul collo, lacrime, visita al pronto soccorso per controllare che non ci siano complicazioni. Indovinate quale sarà la reazione dei genitori:

  1. rimproverano il figlio perché troppo scalmanato, mettendolo in castigo: la lezione è che deve imparare a non essere così turbolento
  2. rimproverano la maestra perché non è stata sufficientemente vigile e avrebbe dovuto impedire ai suoi alunni di giocare all’aperto
  3. se la prendono con la scuola perché fa uscire i bambini in aree a rischio
  4. denunciano il Comune perché avrebbe dovuto tagliare o sotterrare le radici che affiorano oltre la superficie del terreno

Un indizio: il caso è un fedele ritratto dell’odierna società italiana, un tiro al piccione contro la Pubblica Amministrazione.

11/11/11 alle 11:11

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11:11 dei Film School, è ora.

un po’ di area nuova

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Stavo giusto per scrivere le mie solite considerazioni onanistiche questa volta sulla situazione di stallo della musica italiana, una fase che sembra aderire perfettamente al livello da pantano in tutto il resto e che anzi forse non è un caso bensì una conseguenza. Sapete, quei miei post retorici e senza capo né coda che iniziano proprio con frasi del tipo “stavo per scrivere un post su” e che poi non si capisce bene dove voglio andare a parare, quindi continuano con invettive tipo che quando ero giovane io quelli sì che erano anni di attività febbrile, la tensione e gli Almamegretta di qua e ancora prima i CCCP e poi dopo la verve dei Subsonica e ora solo Caparezza che comunque tanto giovane non è più, e che palle che mi fanno Le luci della centrale elettrica e Dente. Quindi vado al punto da cui è scaturita l’ispirazione, ovvero la lettura di due interventi. Il primo su Polaroid, un paio di gruppi italiani che probabilmente l’Italia non se la filano nemmeno. Compongono, pubblicano on line le loro cose, contattano etichette dall’altra parte del mondo e vanno in stampa o vengono comunque diffusi e suonano oltre confine. Anche loro nel novero delle risorse che fuggono all’estero, altrove oltre a un mercato c’è anche il gusto che qui manca, il tutto proprio grazie alla maglie strette della rete. Poi ho letto su Inkiostro di questa iniziativa che mette insieme un po’ tutto quello che non mi piace, a parte Max Collini e gli Offlaga Disco Pax che, comunque, sono un fenomeno al di là della musica in senso stretto, su questo ne converrete. Il resto proprio esula dai miei gusti e vabbé non credo che per nessuno di loro sia un problema. Questo insieme, a differenza del primo, è ancora legato al modo tradizionale di fare le cose, almeno credo. Il concerto, i locali, il booklet, la stampa verticale, l’ambiente off che conta, il primomaggio and so on. Di certo è che non è nemmeno solo colpa di quei pochi rimasti che si dilettano a suonare. Mancano gli stimoli: sia quelli che ti accendono la creatività, sia quelli che ti fanno lavorare sodo per materializzarla in arte, in questo caso musica. E così mi è venuta in mente questa intervista che ha più di trent’anni agli Area. Dalla loro scomodità intellettuale parlavano dei problemi di chi vive e suona. L’aspetto esilarante è che è sufficiente cambiare qualche termine un po’ datato o anacronistico, ma avere un guppo è ancora così.

del meglio del nostro meglio

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Che poi sono tutti lì già a scrivere i titoli di coda dei diciassette anni di egemonia culturale del berlusconismo con servizi, scritti, slide show, sequenze fotografiche, tutta una serie di “the best of” tanto che mia figlia, che in casa in quasi otto anni di vita non ha sentito parlare d’altro – male, ovviamente – quando l’ha visto esprimersi in prima persona plurale nel suo studio con i capelli e quell’approccio da venditore di pentole al momento della sua scesa in campo non l’ha riconosciuto subito e si è trovata paura. Ma chi viene dopo Berlusconi, ci ha chiesto. Di istinto le avrei detto che dubito che sia finita così, che secondo me lo stiamo sottovalutando, che da uno che ha tenuto tutti in scacco così per così tanto tempo a furia di sborsare mance e, malgrado ciò, ha ancora così tante risorse ci si può aspettare di ogni. Ma non volevo guastarle quel sollievo dall’aver saputo che quelle che erano state appena trasmesse erano solo innocue immagini di repertorio. Acqua passata. Una strategia criminale che si manifesta in differita e le sue ricadute sull’umore di un popolo, a distanza di così tanti anni. Ma come abbiamo potuto, ci chiediamo ora, tuttavia. Ma come diamine abbiamo potuto. In qualche modo dovremo trovare il modo di giustificare il torto fatto a lei e a tutti quelli nati da allora, nuovi cittadini che non hanno mai vissuto un giorno di vita senza vedere almeno una volta, in tv o sul giornale o sui manifesti, quella faccia fintamente rassicurante e sempre più gonfia di potere.

omofobia vs donnofobia

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Il corriere punto it che oggi punta il dito contro la battuta omofoba di Di Pietro ieri con morboso voyeurismo ci aggiornava sui gusti sessuali della figlia di un cantante italiano utilizzando un linguaggio che nemmeno novella duemila. Non abbiamo dubbi sul perché di questo duplice modo di considerare l’omosessualità, vero?

e ora qualcosa di completamente diverso

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Monti Python senatore a vita.