disfunzione rettile

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il futuro non è scritto, è stato solo dematerializzato

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Vi aspetto a ridosso del muro con un sintetizzatore senza custodia appoggiato sulla creeper destra per evitare che si graffi. È un DX 21 noleggiato per dodici mesi, non voglio rimetterci la caparra per qualche segno sulla plastica. Arrivate più o meno tutti contemporaneamente e vi rallegrate per la possibilità di avere suoni diversi, a partire da quella sera. So tutti i vostri pezzi, li ho imparati perché mi infiltravo sempre alle vostre prove o spiavo dal vivo il tastierista che ho l’opportunità di sostituire. Ho visto quasi tutti i vostri concerti, conosco le parti a memoria. Lo scantinato puzza più del solito, demerito del gruppo che ha provato prima. Posiziono il DX 21 sul trespolo, sopra il Poly 800, poi mi giro verso di voi che state sistemando i vostri strumenti, vi osservo e penso che è fatta, ho raggiunto il mio obiettivo. Non chiedevo altro e ora sono nella line up. La proposta l’avevo ricevuta un paio di settimane prima dal vostro cantante, era appena arrivato al sound check di un vostro concerto con i suoi occhiali sovietici tondi fighissimi e l’asciugamano bianco sulla spalla, il taccuino dei testi in mano, sigaretta in bocca, a torso nudo appena uscito dal mare. Chiaro che eravate già al corrente e comunque un po’ ci speravo. Mi chiedete con che brano voglio rompere il ghiaccio, e allora sorrido perché mi aspettavo proprio che iniziasse tutto così.

il vaffanculo al tempo della crisi

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Ho pensato che dovrei contare fino a dieci prima di scrivere un post come questo, in cui cerco di concentrare tutto il veleno che vorrei riversare su di voi che mi fate perdere tempo al telefono con la vostra disorganizzazione, perché non siete nemmeno d’accordo tra di voi e in più dovrete coinvolgere in un secondo tempo il vostro amministratore delegato. Un approccio che non sarebbe velato di incompetenza se vi limitaste a fare il vostro, di lavoro, perché se ricoprite quella posizione sicuramente lo sapete fare. Ma non vorrei sembrarvi presuntuoso se vi dico che fare il mio lavoro come dite voi non è la maniera più percorribile, e se mi avete scelto come fornitore dovreste fidarvi di me. Ho pensato che dovrei contare fino a dieci prima di scrivere un post come questo, per evitare le scurrilità se non nel titolo così da attirare qualche lettore coprolalo in più ma che riassume un sentimento che provo fin nel profondo, perché anche se te ne approfitti sai che non posso interrompere la mia collaborazione con te, in questo periodo signora mia non si lascia certo scappare un cliente che paga anche poco, e si sente libero di cambiare il brief ogni volta. Perché le proposte creative sono proposte creative altrimenti ti preparo tre, quattro, dieci, mille varianti complete del progetto ma me le devi pagare tutte, perché ti devi fidare di me: la proposta che sceglierai con tutte le sue immagini provvisorie e tutti i lorem ipsum, alla fine vedrai che sarà piena dei contenuti e dei valori e della filosofia della tua azienda. (avevo aggiunto “di merda” ma lo ho cancellato, grazie allo sfogo che la scrittura comporta un po’ di rabbia era scemata e ho pensato che forse era un finale troppo forte, che dite?)

utenti anonimi

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che rivela saggezza ed equilibrio di giudizio come quelli dell’antico re ebraico Salomone

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– Signora, la smetta però di urlare così, esclama seccata la cassiera. – Là c’è il direttore, vada a lamentarsi con lui.
– Io urlo perché mi ha detto che sono una bugiarda, incalza la cliente, una sciura sui settanta dai capelli bianchi con riflessi viola.
– Cosa le ho detto io? È impossibile che li ha presi da noi quei bollini lì, signora, non è una raccolta che facciamo noi.
– Ma secondo lei sarei scesa fino a qui se non sapessi che me li avete dati voi? Ho fatto la spesa sabato mattina.
– Signora, sabato mattina avrà fatto la spesa ma nessuna cassiera può averle dato quei bollini lì.
– Non sono una bugiarda!
Ed ecco che arriva il direttore con il suo bell’auricolare metallizzato piazzato nell’orecchio, interrompe una chiamata e si mette immediatamente al servizio della causa.
– Signora buongiorno, dica pure a me. Anzi, mi faccia dare un’occhiata ai bollini, la rassicura il diretùr.
– Sono scesa apposta per avere la mia padella, altrimenti me ne sarei rimasta a casa.
È sufficiente un’occhiata veloce, il logo della concorrenza presente sui bollini non lascia dubbi. Anche la cassiera li nota e solo un’occhiata severa del suo superiore la ferma prima di cazziare la cliente sbadata che le ha fatto perdere un mucchio di tempo. L’ora è quella di punta, le casse sono gremite di acquirenti che sfruttano la pausa pranzo per la spesa o, come me, si approvvigionano lì per i pasti in ufficio.
– Avete ragione entrambe, perché sono bollini nostri ma sono scaduti proprio la settimana scorsa. Probabilmente la cassiera non se ne è accorta. Linda, per cortesia, cambia i bollini alla signora.
Il direttore strizza l’occhiolino alla cassiera a fianco, chiedere una cortesia alla ragazza coinvolta nel battibecco sarebbe sconveniente. La sciura afferra con il piglio di chi ha vinto una battaglia per la sopravvivenza i suoi nuovi bollini e, uno ad uno, li attacca alla scheda di raccolta, e mentre intorno il flusso riprende regolare, si avvia al banco di assistenza per ritirare la sua padella antiaderente nuova.

formazione permanente

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Si insegna così, ai bambini, ad andare in bici quando non imparano da soli. Se sono piccoli, molto piccoli, è difficile che apprendano in autonomia. Quindi occorre stare dietro di loro, una mano sul manubrio l’altra sulla spalla, di corsa per far prendere loro velocità. A me è successo quando mia figlia aveva quasi cinque anni, la bicicletta bassissima e io a dovermi piegare a terra dal mio metro e ottantasei. Avanti e indietro in una stradina al sicuro, avanti e indietro senza sosta, ma in un paio di giorni i bambini imparano. Fare i nodi invece è un’attività meno divertente, per loro e per noi. Non ha il fascino della vertigine dell’equilibrio, come pedalare. Poi occorre avere la mano già salda, e lì l’età non c’entra, io non ce l’ho a quarantaquattro anni senza contare che, nel caso dei lacci delle scarpe, l’esempio occorre mostrarlo specularmente. E per i grandi è molto, molto complesso. Ho imparato a leggere al contrario per raccontare i libri con la pagina e le illustrazioni rivolte a lei quando non potevo tenermela in braccio e leggere normalmente. Ma per insegnare ad allacciare le Clark tarocche misura 32, dove l’occhio c’entra marginalmente ma occorre la manualità, sono nel panico. Provo davanti, passo dopo passo, ma il risultato non è granché. Mi metto alle sue spalle e inizia la lezione, lei si annoia e io non vi dico, mi perdo in un bicchiere d’acqua. E cerco di ricordarmi come ho fatto io ad apprendere questa tecnica aliena ma chiedo troppo. Per oggi mettiamo ancora le scarpe con la chiusura in velcro, prima devo imparare a insegnare.

emanazione di sé

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Tutti noi qui abbiamo il sospetto che il nostro capo ami il turn over del personale solo per avere intorno nuovi collaboratori. Ma la sostituzione di materiale umano avariato o difettoso con carne fresca ed entusiasta, sempre meno senior e sempre più a basso costo, ha un obiettivo che non consiste nella riduzione delle spese, nel portare nuova linfa creativa in un mercato sempre più autoreferenziale o nell’investimento in individualità pronte a portare quel qualcosa in grado di concretizzarsi in vantaggio competitivo e farci guadagnare di più. No. Il recruitment viene fatto unicamente per quell’impagabile primo giorno di lavoro della nuova risorsa in cui il capo può interpretare la parte di se stesso nella messa in scena de “il pippotto”.

Il pippotto consiste in una pièce in atto unico, massimo due se inizia a ridosso dell’ora di pranzo, il cui il capo concentra la storia dell’agenzia, come si lavora qui, l’organigramma e relative funzioni, il clima, i processi, le risorse e gli strumenti. Quindi passa alla storia delle aziende clienti, la struttura del principale cliente che, trattandosi di un colosso multinazionale, non lo si può certo liquidare in un poche parole. Quindi la descrizione dei processi produttivi, la struttura marketing e communications, comunicazione esterna e interna, la terminologia da utilizzare per la localizzazione del materiale dall’inglese all’italiano. A questa prima sessione dalla durata variabile segue la raccolta della bibliografia a supporto. Brochure, guideline, materiale utile a precipitare senza tanti complimenti nel vivo della produzione. La bibliografia comprende inoltre contenuti utili allo svolgimento dell’attività della nuova risorsa, i vari manuali del nomelavoroqualsiasi, l’agenzia è provvista di una nutrita biblioteca tutta rigorosamente datata e obsoleta. Dopo la full immersion il nuovo acquisto è pronto per il secondo giorno di lavoro e può in autonomia dedicarsi all’attività per la quale è stato contattato, ovvero fare di tutto, indipendentemente dal suo profilo. Sempre che si presenti la mattina dopo.

la storia, e che sarà mai

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non me ne parlare

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Giusto per chiudere il cerchio sulle complesse dinamiche famigliari nel caso in cui tutti i componenti hanno un’età compresa tra i quaranta circa e gli ottanta o giù di lì, è significativo sottolineare l’idea che gli anziani genitori hanno dei figli adulti e quali ricordi portano con sé del loro vissuto. La componente materna tradizionalmente si sofferma spesso sul periodo tra i zero e i dieci anni. Tutto il resto della vita, magari anche fatto di successi e soddisfazioni personali e professionali giace invece in una memoria back-up raramente consultata, il che induce a pensare che i suddetti successi e soddisfazioni personali e professionali in realtà abbiano un misero valore relativo. La componente paterna, invece, specie se tende a quell’esplosivo mix di umore nero (giustamente) causato da età avanzata e depressione più o meno latente, conserva con sé pronti da sfoggiare a ogni incontro con i figli – occasioni in cui, essendo rade e tenendo conto che la memoria non è più brillante come un tempo, facilmente si tende a ripetere sempre le stesse cose – quei due o tre aneddoti fortemente imbarazzanti per la controparte. Cioè capita che sei lì a cena e così d’emblée ecco che senti tuo padre raccontare di quella o quell’altra volta che e così via. Ora è piuttosto naturale avere commesso errori nella propria vita e avere cose di cui vergognarsi, pochi sono immuni dalla normalità, ma diciamo che in quattro decenni e rotti di esistenza argomenti inediti di discussione possono essere facilmente rinvenuti. Così uno inizia da capo ogni volta con lo stesso spirito positivo e i buoni sentimenti fino a quel momento di rottura: rottura dell’armonia, rottura di coglioni.

tanto di cappello

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Provo un pizzico di invidia, lo ammetto, per quella coppia di padre e figlio che sosta davanti all’ingresso della scuola elementare ogni mattina, come me, prima del suono della campanella. Il padre si riconosce perché, da quando è arrivata la brutta stagione, indossa un modello di coppola all’inglese di cui mi sfugge il nome, la stessa che usa Andy Capp, per farvi capire. Nell’insieme non ha propriamente uno stile inglese, sfoggia solo quel berretto che lo distingue dagli altri genitori. Poi anche il figlio ha iniziato a indossarne una identica, stesso colore, solo di taglia diversa. E si assomigliano molto padre e figlio, hanno gli stessi lineamenti un po’ albionici, in effetti, pallidi e rossicci. Vestono lo stesso cappello e sono molto teneri. E sapete perché li invidio? Perché hanno un tratto distintivo che mostra il loro legame, sembrano uno la piccola copia dell’altro. Ora a me non piacerebbe di certo che mia figlia sembrasse la mia versione in miniatura, non sopporto questo genere di leziosità nell’abbigliamento. E poi io vesto tutto di blu scuro con il loden, per esempio, look inadatto per una bimba. Ma io e lei, sono certo, siamo altrettanto uniti. Quando ci avviamo per il vialetto della scuola, per farvi un esempio, ci divertiamo a parlare di insetti, di quella volta in cui mi sono preso una zecca in un bosco e lei mi assilla perché vuole tutti i particolari. O passando per strada nei pressi di un cartellone pubblicitario, quelli appesi ai pali sul marciapiede, io vado da una parte, lei dall’altra e insieme ci facciamo “bù!” quando lo superiamo e ci ricongiungiamo. Sostiamo insieme nella calca mattutina e se non ci sono le amiche del cuore sono io a tenerla per mano. Questo e tanti altri particolari sono il segno di quanto siamo legatissimi, ci mancherebbe, siamo padre e figlia. Ma gli altri lo noteranno come io noto i copricapi altrui? Non vi nascondo che mi piacerebbe avere un indumento comune, un accessorio, un vessillo, una qualsiasi in grado di indicarlo a tutti. Un led luminoso, con una freccia rivolta verso di noi e un testo a scorrimento:  io e questa bambina, questa bambina ed io, siamo più o meno la stessa cosa a trentasei anni di differenza.