jack

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Non è uno di quegli odori che uno si aspetterebbe di sentire la mattina presto, tanto che si vede che ti guardi intorno per capire la provenienza di quel richiamo olfattivo con l’ultimo ricordo che hai da ieri sera, di cui mi stavi mettendo al corrente proprio in quel momento. Io non ho sentito nulla, giungiamo alla conclusione che la fragranza di bourbon che giuri di aver percepito tra la calca del lunedì mattina ce l’hai dentro. Non necessariamente emessa tramite volgari espulsioni forzose, diciamo così. Ma magari ti è rimasta nel naso, a volte succede e non solo con gli alcolici. La cosa sarebbe diversa se fossimo al bar con i muratori che si fanno correggere il caffé con lo stravecchio alle sei del mattino prima di arrampicarsi sui ponteggi. Ieri sera prima di coricarti nei hai un versato un dito in un bicchierino da whiskey ed era da secoli che non ne bevevi, per questo ti sei sentito in dovere di raccontarmi dell’ultima volta. Una bottiglia in due, tu e quel tuo amico assurdo che si metteva in pantaloni di tela a righe verticali e le espadrillas calzate a ciabatta a righe orizzontali, e per fortuna almeno della stessa tonalità di colore perché già il bisticcio geometrico era fastidioso quanto basta, nella sua utilitaria con l’impianto hi-fi sovradimensionato ad ascoltare a un volume assurdo una celebre hit dei Nirvana, rigorosamente parcheggiati per evitare drammi reali da sommare a quelli immaginari che utilizzavate come pretesto per darvi all’alcolismo dilettantistico.

Ne conveniamo che nessuno di noi sarebbe infatti in grado di intraprendere quel tipo di carriera professionista, che solo l’idea di stappare una lattina di birra prima delle sette di sera – be’ non esageriamo, diciamo prima delle sei – come si legge nei libri degli scrittori americani che vanno per la maggiore ci fa venire la nausea. Ed è difficile capire un sistema di autodistruzione metodico come quello per chi non avvezzo o avvinazzato – questo gioco di parole che hai usato mi ha fatto ridere – perché a entrambi sembra molto ingombrante e faticoso. La quantità minima necessaria per definirsi standard personale, il costo stesso anche se ci sono alcolici in cartone disponibili non solo nei discount che te li tirano dietro, il conseguente gonfiore allo stomaco. Bleah. Solo l’idea mi fa venire da vomitare. Nel nostro piccolo qualche eccesso da questo punto di vista l’abbiamo raggiunto anche noi, ma si sa, da ragazzi cercare l’oblio è un must. Che mi verrebbe da dire che cosa si voglia dimenticare di così grave, come quei due sull’utilitaria a scolarsi una bottiglia di Jack Daniel’s in due a vent’anni. O come quelle due ragazze di cui ho letto non ricordo dove, che in previsione di una festa si sono procurate tre litri di moscato da bere prima, per portarsi avanti col lavoro e arrivare in linea con il mood dell’appuntamento. Ci guardiamo e pensiamo la stessa cosa, che avere la testa altrove non fa più per noi, che nessuno sarebbe in grado di sopportare anche un solo post-sbronza la mattina dopo. E che davvero non riusciamo a capire come si maturi quel tipo di dipendenza lì, e soprattutto come si inizia.

i mercoledì da beoni

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Il proprietario del bar latteria posa lo straccio con cui ha appena asciugato un paio di tazzine rimaste umide dalla lavastoviglie, quindi nota l’uomo che per la terza volta in poche ore svuota un altro borsone pieno di bottiglie di birra di varie marche nella campana adibita a raccoglitore differenziato per il vetro che si trova proprio di fronte alla porta di ingresso. Esce spazientito, pronto a riprendere l’uomo: di questo passo non ci sarà più spazio nel contenitore e lui, a fine giornata, dovrà caricarsi i suoi vuoti in spalla e portarli in un’altra campana. I raccoglitori per la differenziata sono di tutti, ma da sempre quello dinanzi alla sua bottega lo usa solo lui, è l’unico bar latteria su quel lato dell’isolato.

L’uomo è un trentenne di nazionalità ucraina, da pochi anni in Italia, l’esigenza di lavorare l’ha reso bilingue, almeno per il minimo necessario a cavarsela. Ma per fornire spiegazioni al proprietario del bar, è sufficiente un cenno del capo verso l’alto. Entrambi spostano lo sguardo all’ultimo piano del palazzo di fronte, da una finestra del quale il signor Elvio osserva la scena. Il signor Elvio aspetta che l’ucraino abbia completato il suo giro, quindi si reca presso il mobiletto del telefono, cerca sulla guida il numero del bar e chiama per giustificare quel che sta succedendo.

L’ucraino si sta occupando di un lavoro per lui e la moglie, la signora Ines. I due, entrambi ottantenni, hanno chiesto ad Andrea, marito di Dana che è la signora che va due volte la settimana a fare le pulizie in casa loro, di svuotare la stanza della loro figlia secondogenita, Marina. Marina ha quasi cinquantanni ma vive ancora con i genitori. Lavora nella cucina di un ristorante pizzeria da qualche anno. L’unico giorno della settimana che le rimane libero, il mercoledì, Marina lo trascorre così. Si porta a casa la sera prima qualche bottiglia di birra e piano piano trascorre la giornata di riposo scolandosi i litri di benefit aziendale che un lavoro umile come quello le concede. Ostentando una sorta di alcolismo a giorno fisso, che le consente l’alibi di scarsa affidabilità, muove ciclicamente il suo corpo barcollante tra la cucina, il divano di fronte all’abbonamento sky e l’ex camera della sorella maggiore, suo nuovo quartier generale.

Ma butta alla rinfusa i vuoti in quella che era la sua stanza, e che ora è solo un buco nero pieno di vestiti dismessi a causa degli innumerevoli cambiamenti di taglia, assorbenti, polvere, carte e fogli e riviste, oltre alle bottiglie. Una camera piena fino a scoppiare dell’antimateria della solitudine e della disperazione, chiusa poi a chiave ogni giorno, chiave che ha sempre con sé. Nessuno sa che livello di macerie e spazzatura sia stato raggiunto, ma lo si può facilmente immaginare.

Marina ha assistito impotente ma non troppo all’escalation del suo sdoppiamento di personalità, che ora manifesta 6 giorni stordendosi di lavoro, dalle 9 del mattino a mezzanotte, benvoluta da tutti i colleghi e dai proprietari del ristorante. Il giorno dii chiusura, il mercoledì, è invece dedicato alla battaglia sempre più aspra contro i suoi genitori, l’obiettivo è fargli pesare il fatto di essere invecchiati, di non essere più all’altezza di affrontare e risolvere i problemi di una figlia adulta sofferente. Così la guerra psicologica, tutti sperano che rimanga sul piano dei sentimenti, si combatte una volta alla settimana, l’unica in cui Elvio e Ines possono assistere al decorso umano di una dei tre figli, quella che ha avuto maggiori difficoltà e delle cui difficoltà ora ha deciso di vendicarsi con i legami più prossimi e deboli. Bevendo birra di fronte agli unici spettatori interessati.

Ma avere una stanza in quelle condizioni, piena di sporcizia e inaccessibile, è diventato per gli anziani genitori un cruccio insopportabile, quasi quanto il muro che Marina costruisce mercoledì dopo mercoledì intorno a sé. Ed è Dana che fa a Ines la proposta. Suo marito accetta qualsiasi incarico pur di guadagnare qualcosa. Potrebbe venire, approfittare di una o più delle giornate piene che Marina trascorre nella cucina del ristorante. Smontare la porta chiusa a chiave non è un problema. Quindi potrebbe svuotare tutto, buttare via quasi venti anni di rancori e restituire una parziale serenità a Elvio e Ines. Almeno quella di non doversi preoccupare di avere il magazzino di una folle tendente al borderline in casa. E poi uno shock potrebbe giovare alla staticità della situazione.

Andrea quella mattina ha iniziato presto, non appena Marina si è recata alla fermata dell’autobus. Nè Ines nè Elvio se la sono sentita di riconoscere lo stato di follia della loro figlia, quando l’ucraino ha scardinato la porta. Ma la sua espressione, e dire che ne deve aver visto tante, è state eloquente. A fine giornata, ha contato 15 viaggi tra l’appartamento e i contenitori della spazzatura, e ha detto di essere a metà. Ha rimesso a posto la porta, per non destare sospetti in Marina la sera quando sarebbe rincasata, quindi si è ripresentato il mattino successivo. Il programma sarebbe stato lo stesso. Il barista di fronte non si sarebbe lamentato. Conosce il signor Elvio, per lui è disposto anche a sobbarcarsi la fatica di un centinaio di metri a piedi con un paio di sacchi di bottiglie in spalla.

Il pomeriggio del secondo giorno l’impresa è compiuta. Andrea ha avvertito Dana, insieme hanno pulito e disinfettato la stanza di Marina, finalmente vuota; è stato anche necessario gettare il materasso, è facile immaginare le condizioni in cui si trovava. Non si è salvato nulla. La signora Ines e il marito hanno così rimesso piede in quella camera che ormai davano per irrecuperabile. Entrambi seduti sulla rete del letto, in silenzio, ora osservano sbigottiti lo spazio di cui si sono riappropriati, domani inizierà un nuovo corso. Ma nessuno dei due ha idea di come dirlo a Marina. Già, domani è mercoledì.