facciamo il punto su quello che emerge da certe persone

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Ora che la barba va così di moda capisco cosa c’è che non andava nella mia. Volevo tenerla a tutti costi non tanto per un fattore estetico quanto di praticità, non avete idea di che rottura di scatole radersi ogni mattina e quanto possa essere deprimente farlo nella solitudine delle ore prima dell’alba in inverno, quando il bagno non è nemmeno riscaldato adeguatamente. La principale conseguenza di questo modo di allestire i megastore con scaffali alti è che le persone dall’altra parte le vedi appunto solo dal mento in su, ammesso che siano alte a sufficienza, e se uno sfoggia la barba risalta particolarmente. Quelli più bassi sono affari loro, probabilmente hanno più possibilità di trovare la merce – in questo caso si tratta di scarpe del numero giusto – nei ripiani inferiori e quelli sopra l’uno e ottanta, indifferentemente con o senza barba, hanno solo la vista su quelle in esposizione nel livello superiore e in questo negozio, che guarda caso fa parte di una catena, non è detto che ai modelli in cima corrisponda tutta la disponibilità delle misure nelle scatole impilate sotto. Ci sono altri tipi solo nei ripiani bassi, probabilmente occultati perché incompleti nei numeri. Non c’è nulla di conveniente, qui, almeno non lo vedo, ed è questo il motivo per cui le barbe altrui mi fanno riflettere. Ci dev’essere una procedura complessissima per tenerle così curate, io ripeto ci ho provato ma uno non avevo molta pazienza, due non sono provvisto degli strumenti adatti, tre mi sembrava anti-economico rivolgermi settimanalmente a uno di quei barbieri che oggi spopolano tra gli hipster, quattro la barba a me cresce uniformemente ma non ho quei peli setolosi e dritti che sembrano scolpiti, piuttosto un ammasso di lanugine smidollata come la persona a cui appartiene. Cinque, last but not least, se mi rivedo nelle foto di qualche anno fa con la barba mi rendo conto che stavo davvero male. Troppa asimmetria e lineamenti che se ne vanno per i fatti loro. E se questo negozio non avesse adottato questo modo di mostrare la merce che va contro a qualsiasi legge del marketing del punto vendita mi deprimerei di meno. Vedo mariti percorrere i corridoi in punta di piedi alla ricerca delle loro mogli basse, c’è il rischio che non possano concludere lo shopping di coppia. D’altronde l’open space continua a essere principalmente un fattore mentale. Qualche giorno fa, per dire, Fulvio mi ha mostrato il suo ufficio nuovo e sono rimasto sbalordito dalla somiglianza tra la redazione in cui lavora – un posto gigantesco ma cosi parcellizzato da separé di armadietti e scrivanie da farti venire la claustrofobia – e questo inferno della calzatura low cost. Si salvano gli spilungoni come me che invece non corrono rischi di deteriorare i rapporti con il o la partner e riescono persino a conversare dalle due parti di quella muraglia di scarpe made in China. La coppa Italia e la Juve e cenni di storia dei reality nella tv pubblica vanno per la maggiore tra chi non è tenuto a dare giudizi sulle scelte d’acquisto. Ci stupiremmo se parlassero del panlogismo hegeliano o anche solo del sogno della notte precedente, sono argomenti che di fronte a certa realtà non tirano più.

nuovi modelli caserecci di ritorno al futuro in concomitanza con l’imminente anniversario

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Se vi esorto a riprodurvi (in quantità controllata se no il pianeta esplode, anche se il procedimento per farlo è pur sempre un bel momento) è perché non vorrei privarmi del piacere di rivedere le vostre facce un po’ incartapecorite ancora una volta giovani se non addirittura fanciullesche come un tempo. È una bella esperienza, sapete? Una specie di ritorno al futuro, proprio in questi giorni in cui il 21 ottobre 2015 che ci sembrava così remoto oggi è così a portata di mano. Ma non servono macchine di lusso da far taroccare dal vostro amico scienziato, lo stesso che elaborava il carburatore del Garelli in cantina per accattivarsi le simpatie della bella del quartiere con le sue impennate. Il mio paesello natio, per dire, sembra essersi ibernato al 1985. Vado a spasso e rivedo adolescenti dai lineamenti famigliari e mi verrebbe da fermarli uno per uno se non rischiassi di esser preso per lo scemo di turno. Che già il fatto di non riuscire a non fissarli per ricondurre i volti e le espressioni al ricordo di qualcuno è rischioso, un maschio di mezza età che dimostra interesse ai ragazzini di questi tempi marca male. Allora lasciatemi esprimere qui la gioia di rivedervi tutti, amici o conoscenti o gente con cui ci siamo frequentati o ragazze con cui ho flirtato o comunque chiunque abbia visto da giovane che in un paesotto di cinquantamila abitanti alla fine ci si conosce più o meno tutti. Rivedervi però come eravate allora nei visi dei vostri figli, perché se è vero che l’incrocio dei geni con il vostro/a partner ha mischiato un po’ le carte alla fine la matrice è facile da riconoscersi. Non ho nessuna difficoltà a chiamarvi tutti per cognome.

gli amici si vedono nel momento del bis

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Non so se avete letto qualche giorno fa le dichiarazioni del bassista dei Rage Against the Machine che si è dispiaciuto di aver ispirato musica di merda ad artisti e band successive, riferendosi ai Limp Bizkit che davvero ho fatto fatica a ricordare chi fossero, tanto erano una nullità. Un gesto di una nobiltà fuori dal comune perché quando sei in una posizione del genere, in cui ci sono stati persino casi di gente che si suicida, inizia a drogarsi, spara ad altre persone, fa gesti epocali e altre amene tragedie, non sai mai le conseguenze che possono avere le cose che dici e le cose che fai. Certe influenze sul prossimo sono difficili da prevedere e se sei un nessuno il problema non sussiste, se muovi masse con il tuo carisma qualche dubbio devi fartelo venire. Hai messo a ferro e fuoco la musica nel 92 e qualche anno più tardi i primi bulletti con chitarra cappellino e skate ti prendono a modello? La tua responsabilità è più che limitata. Encomiabile comunque il fatto che al mondo ci sia ancora qualcuno, come il bassista dei Rage, che riconosca i propri errori. Quando ti accorgi di aver fatto una cazzata, e lo puoi generalmente sapere solo dopo, la fatica maggiore non è ammetterlo con se stessi. Nemmeno con le persone che sai che non ti perdoneranno. Piuttosto, è davvero complicato confidarsi con gli amici che ti capiscono. Avete anche voi, suppongo, qualcuno che vi vuole così bene da essere fin troppo indulgente. Generalmente sono gli stessi che vi conoscono così approfonditamente che quando gli chiedete consiglio e ti dicono di fare in un modo e poi voi fate nell’altro poi non ti rinfacciano mai che loro te lo avevano detto prima. Ma tornare da questi amici, che poi sono i veri amici, con la coda tra le gambe è davvero umiliante, molto più di ispirare musica di merda.

i parenti del defunto ringraziano

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Al funerale del papà di Ale c’era qualcosa che non mi tornava ma che né durante la cerimonia né nei mesi successivi in cui ho avuto tempo per rifletterci sono riuscito a mettere a fuoco. La messa e la processione verso il cimitero sono funzioni standard, in questi casi, e vuoi l’emozione o l’eccezionalità dell’evento non è che uno riesce a trovare l’occasione per soffermarsi sui dettagli. I gradi di parentela direttamente proporzionali alla posizione dei banchi in chiesa, questo è un classico del mettersi in mostra ma ci sono passato anch’io recentemente ed è giusto così. Le corone di fiori, anche quelle. Insomma, tutto apparentemente sembrava filare liscio, con la vedova e Ale e le sue due sorelle con gli occhi gonfi. Anche il papà di Ale è morto a più di ottant’anni e di Alzheimer, tutti sono arrivati preparati all’appuntamento con il lutto. Ieri poi ho capito. L’illuminazione. A un mio amico è mancato il nonno, ha condiviso la sua esperienza su Facebook e ha raccolto, come è facile immaginare, un vasto consenso e la solidarietà della sua rete di contatti. Ho pensato che se ogni intenzione divenisse atto (qui c’entra Aristotele, a grandi linee) secondo l’esempio che vi ho citato i funerali diventerebbero eventi gremiti di amici e conoscenti o anche solo persone con cui si hanno rapporti online. Ecco, invece al funerale del papà di Ale non c’era nemmeno un amico di Ale. C’ero io ma è stato un caso, mi trovavo nella mia città natale e mi ha fatto piacere offrirgli il mio cordoglio attraverso la mia presenza, onestamente non so se mi sarei sparato duecento chilometri ma forse sì, almeno in questo momento credo che lo avrei fatto ugualmente ma perché voglio fare una bella figura con voi scrivendo questo post. Per il resto, ripeto, non c’era nessun altro. Erano presenti pure – pensate un po’ – due ex compagni di classe della sorella più grande, irriconoscibili perché ormai vicini ai sessanta, con i capelli grigi e radi ma comunque lunghi. Entrambi imbolsiti e loro stessi stupiti di essere vicini ancora a un essere umano dopo così tanto tempo. Ale invece, molto più giovane e molto attivo sui social network, era solo come un cane. Eppure aveva pubblicato una bella foto di suo papà da giovane proprio per rimarcare la somiglianza fisica e il legame che li contraddistingueva, ne era seguita una valanga di like e di abbracci virtuali ma, come sembra, senza nessuna corrispondenza al lato pratico. Non so se qualcuno abbia contattato Ale privatamente per sottoporgli le proprie condoglianze e per avere dettagli sulla cerimonia funebre. Io, ripeto, ero a conoscenza del giorno e dell’ora perché ero sul posto e se non ricordo male ho letto pure il manifesto funebre per strada. Ne danno il triste annuncio la moglie Vera, i figli Elisabetta, Magda e Alessio, c’era scritto. Alessio è Ale, appunto, il mio amico.

amici nel momento del bisogno

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Quindi avrete capito anche voi che Stefano passa il tempo con me perché altrimenti starebbe da solo, lo si evince da come me lo fa pesare. Qualsiasi cosa che dico è una cazzata, il posto fa schifo e mi si impregnano i vestiti di puzza di cucina, cambia canzone che questa mi fa cagare, insomma quelle cose lì. Mi ha appena ripreso perché mi sono trovato con le mani incrociate sul volante dopo la curva, dice che è un errore di quelli per cui ti bocciano immediatamente alla scuola guida. In genere non è un problema che sfoghi su di me il fatto che non ha amici.

Mentre guido e continua a rimproverarmi lo guardo con la coda dell’occhio. Stefano è ancora lo stesso della foto di prima media, tale e quale, e non c’entra che i dodicenni del 78 sembrano molto più adulti rispetto ai ragazzini della stessa età che si vedono oggi in giro, anche se è un fenomeno che nessuno riesce a spiegarsi. Dicevo che in genere sono abituato ai suoi modi di fare così respingenti, ma stasera proprio non sono in vena. E anzi sono talmente indispettito che mi viene voglia di attribuirgli tutti i difetti delle persone del mondo, descrivendolo. Persino i miei, anche per capire attraverso la reazione di chi legge se sono comportamenti riprovevoli oppure invece se la gente è disposta a essere indulgente, o per lo meno a far finta di niente, di fronte a certe cose. Stefano non si passa il filo interdentale. Stefano scrive cose senza capo né coda che è facile poi ritrovare in certi romanzi di narrativa americana contemporanea. Stefano vorrebbe cambiarsi i suoi piedi, tanto li detesta: ne hanno sempre una e non gli danno i risultati che lui vorrebbe, poi però quando ha sentito un amico raccontare di quello che voleva farsene amputare uno e mettersi una protesi piuttosto che continuare con il fastidio che gli dava ha pensato che, tutto sommato, possono convivere – lui con i suoi piedi – ancora qualche anno. Stefano ha lasciato che una prendesse l’iniziativa giusto perché alla fine gli piacciono solo le ragazze a cui è sicuro di piacere. Stefano sostiene che gli sceneggiatori dei telefilm che vanno di moda e che durano più stagioni, nel caso in cui qualcuno del cast molli il colpo in corso d’opera, sono costretti a rivedere tutte le conseguenze che il pretesto con cui il personaggio interpretato viene tolto di mezzo può generare ai fini della trama, che è un aspetto decisamente interessante del mestiere di chi lavora per la tv, una sorta di potere divino in grado di cambiare i destini e gli sviluppi della storia, quella con la esse maiuscola. Insomma, ci siamo capiti.

Un ultimo appunto sulle telefonate che intercorrono tra me e Stefano, quando l’uno chiama l’altro per chiedere la reciproca disponibilità, e qui entrambi ci rimettiamo al vostro giudizio. La conversazione si esaurisce in una manciata di secondi, il che dimostra la mia teoria. Le compagnie telefoniche non hanno ancora capito le opportunità di guadagno della differenziazione dei contratti a seconda se il cliente è uomo o donna. Nel primo caso io farei pagare salatissimo lo scatto alla risposta e il primo minuto della chiamata, una durata che nessun essere umano di sesso maschile oltrepassa. Al contrario, le tariffe del traffico femminile conviene impostarle sulla lunghezza delle conversazioni. Se un giorno tale modello di business sarà applicato, sapete chi ha avuto l’idea per primo.

quando sembra che proprio non si possa cancellare

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Se fingi di non ricordarti di una persona quando la incontri a distanza di vent’anni obiettivamente non ci casca nessuno. Le bugie di questo tipo hanno altro che gambe corte. Hanno gambe fiaccate dalla flebite e strette in calze contenitive color carne, e a malapena riescono a muovere un passo, tanto per iniziare. Questo perché si è accorciato tutto e tutto è a portata di mano in questa dimensione che ha Internet come unità di misura, hai voglia a dire che l’universo è in espansione. Potete risparmiarci la scena che non riuscite a collocare persone in situazioni perché si fa fatica rovistare nel passato, un po’ come quando uno è in macchina, deve prendere qualcosa dietro ma ha le cinture e non ci riesce perché non può slacciarle. Possiamo solo simulare l’efficacia di atteggiamenti come questo nella narrativa o al limite raccontare balle a quelli che si bevono ogni cosa. Me, per esempio.

“L’idea mi è venuta l’ultima volta in cui sono stato da Mino per tagliarmi i capelli”, mi dice Bianchi, e se Bianchi lo chiamo per cognome un motivo ci sarà. Io e Bianchi ci conosciamo dalle elementari e Mino è il nostro parrucchiere da allora, anzi lo è stato fino a quando ha chiuso definitivamente bottega. “C’era Morra appena uscito da uno shampoo ma visto al contrario allo specchio, lui che è così asimmetrico, mica l’ho riconosciuto”. Le facce dei clienti uomini in momenti come quelli sono infatti già di per sé irriconoscibili, deformate da occhiaie e pettinature provvisorie utili solo a chi taglia i capelli e si deve concentrare su una porzione di testa ben circoscritta. Quando usavo la riga da una parte, per dire, mi sembrava persino che mi facesse male se Mino mi forzava il ciuffo dal lato opposto, ma onestamente ero più preoccupato che l’essere tutto al contrario potesse diventare una condizione permanente.

Morra – è un nomignolo – dopo il liceo era entrato in Polizia ma prima di indossare la divisa era noto per essere il fornitore di droghe leggere più falso della zona. Bianchi ed io cercavamo di evitarlo già da allora ma più per il suo aspetto repellente che per il suo modo di racimolare soldi per i vizi – avete presente quelli secchi, con la faccia butterata e i riccioli fittissimi che indossano abbigliamento sempre troppo largo? Poi una sera, fuori come non so che cosa, si era divertito a storpiare il mio cognome in modo infantile – eravamo ragazzini. Tutti ridevano e io ero andato su tutte le furie. Un episodio che a Bianchi non risulta nemmeno ma a me si. C’era Morra con la chitarra dodici corde che suonava i pezzi di Vasco degli esordi cambiando le parole e componendo parodie sui difetti altrui.

Bianchi mi dice che stava raccontando a Mino i progressi di sua figlia quando sente la voce di Morra intromettersi nella conversazione. “Allora l’hai trovata una che ti ha scopato”, gli fa. Ora non hanno molta importanza i dettagli su come è finita tra Bianchi e Morra seduti nel negozio di Mino, che tagli hanno deciso di farsi fare e se Mino al termine della prestazione abbia rilasciato a entrambi lo scontrino, anche se sono pronto a scommettere di no. Aggiungo solo che Bianchi assume quell’espressione che gli viene quando deve concentrarsi e che induce a tutti la speranza che abbia capito qualcosa e dice una cosa tipo “Sai che non…” e per fortuna che interviene Mino, è anche il suo ruolo fare da intermediario tra i clienti. “Ma come, non conosci Morra?”. Ecco, allora ci ho provato anch’io con Mario. Malgrado avessi cambiato marciapiede pur di evitarlo, Mario mi ha chiamato e si è sbracciato pure per salutarmi pur avendo con sé la sporta della spesa. Ho stretto gli occhi come a simulare un calo della vista da lontano e Mario, che tutto sommato è sempre stato umile a suo modo e sa di non essere mai stato indispensabile, ha sollevato il collo come a mostrare meglio il capo e ha dichiarato ad alta voce nome e cognome, tanto che a quel punto non ho avuto altra scelta.

cinquanta sfumature di canizie

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Il modo più efficace per sconfiggere la vecchiaia è la solitudine. Anzi la misantropia. Non vedere nessuno permette di limitare l’osservazione del tempo che passa solo su se stessi, cosa assai più lieve e sopportabile considerando che avendo noi stessi sotto gli occhi allo specchio ogni santa mattina non ci accorgiamo dei segnali. Il che non significa che dovete chiudervi in casa. Se vivete in una metropoli o una città più o meno grande potete stare tranquilli e continuare il vostro tran tran di beatitudine asociale perché difficilmente si incontrano più volte le stesse persone, o magari succede ma nessuno ci fa caso a meno di eccezioni eclatanti, come quella volta in cui due ragazze giapponesi mi hanno chiesto un’indicazione a Londra alle due di notte a cui ovviamente non ho saputo rispondere non tanto per la lingua – entrambi ci siamo spiegati in inglese – quanto per il mio inesistente senso dell’orientamento e la mia insulsa memoria geografica. Nemmeno un paio di giorni e ci siamo riconosciuti in una zona frequentatissima da turisti, forse un mercatino di Camden, tanto che posso assicurarvi che questo è diventato un mio cavallo di battaglia nell’anedottica generalista e non, potrei mettere la manu sul fuoco che l’ho già scritto altre volte qui e sono sicuro che da qualche parte nel mondo ci sono due ragazze giapponesi che sui rispettivi blog raccontano di aver incontrato un italiano a Londra per due volte e di aver tentato un approccio la seconda, in quanto palese segno del destino, ma che tale italiano ovviamente non ha capito o si è semplicemente emozionato lasciandosi prendere dall’eccezionalità dell’evento.

Come biasimarmi, del resto. Non facciamo caso a nessuno, figurati se notiamo qualcuno già visto altrove. Possiamo giocare a riconoscere i visi sfuggenti sugli autobus quando facciamo i pedoni fermi al semaforo rosso e pensare che domani, alla stessa ora, potremmo rivederli e così tra vent’anni trovarli ancora a ripassare di qui, canuti e grassi. Ed è proprio questo quello che risalta quando coltiviamo a lungo le amicizie, da ragazzi fino alla terza età ma vedendoci poco di persona perché magari uno vive fuori e l’altro è rimasto nella città di origine. Vecchi, grassi e canuti se non calvi, ci specchiamo negli affetti perché sappiamo che anche costoro sono pronti come noi alla comparazione delle esistenze. Se lui è messo così, anch’io non sarò da meno. Così c’è qualcuno che dice che l’isolamento magari incupisce un po’ ma per lo meno lascia le persone al proprio consumarsi senza termini di paragone, prendetelo come un avvertimento, mica che pensiate che è una mia idea o uno scoop, questo blog non è una testata giornalistica e grigia.

primi dolori

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Tesoro, se mai ti capiterà di leggere queste righe sappi che l’amicizia è un fattore forse più imprevedibile dell’amore perché spesso è a fondo perduto mentre se c’è un legame fisico di mezzo subentrano altre modalità di darsi l’un l’altro. Tu non lo puoi sapere, hai solo undici anni, ma le persone si dichiarano amici al prossimo per i motivi più strampalati, anche solo per l’invidia, per calcoli strumentali all’interno di dinamiche di gruppo in una sorta di atteggiamento kamikaze: sacrifico me stesso e mi sistemo al tuo fianco pur ti metterti i bastoni tra le ruote. Non ci crederai ma ci sono pure tipi così e, se te la devo dire tutta, è proprio quello che ti è capitato. Ci sono individui subdoli e dannosi che rilasciano il loro sentimento corrosivo che ti imbriglia in uno stallo dal quale so benissimo che è difficile tirarsi fuori finché il veleno non ha fatto tutto il suo effetto. Come uno psicofarmaco che induce alla sonnolenza ci si sente incapaci alla reazione e ci si lascia andare inerti nel torpore della comodità relazionale. Sono consapevole del fatto che l’entità dei turbamenti ha tutta una sua proporzionalità distorta a seconda dell’età, e quello che a noi adulti sembra alla portata di un preadolescente può essere in grado di approfittare della tua vulnerabilità anche se si tratta di cose su cui, tempo un paio di anni, farai delle grasse risate insieme ai nuovi coetanei con cui trascorrerai il tuo tempo. Quindi piangi pure se hai scoperto che una che si ostina a definirsi tua amica ti ha spiazzato con l’affronto che hai raccontato a tua madre – giusta complicità femminile – e io ne sono venuto a conoscenza solo di rimando, e qui nota pure una punta di stizza ma è temporanea e assolutamente secondaria alla gravità della cosa. Sei piena di amiche, di compagne di classe e di compagne di squadra che ti stimano, ti rispettano e ti vogliono bene. Puoi tranquillamente permetterti di cancellare una persona inutile dalla rubrica di Whatsapp e dalla tua vita, è molto più facile di quanto sembri anche alla tua età.

vecchi e amici

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D’estate gli anziani sono un argomento tabù perché vogliamo scrollarci di dosso il senso di colpa se li lasciamo soli, poi a parte qualche mostro meteorologico c’è anche il finto pentimento di aver creato un mondo troppo esposto al sole per le loro possibilità. Non sappiamo dove metterli e dove farli stare e anche se sappiamo dove farli stare poi non sappiamo che cosa fargli fare. Ora non entro nel merito dei problemi di salute, spero di averne il meno possibile da vecchio e lo auguro anche a voi, ma mi chiedo le amicizie, la solidarietà e il reciproco soccorso che vuol dire anche passare tempo insieme in caso di evento eccezionale che fine facciano quando ci si inoltra nella terza età. Il massimo è portarseli appresso, i vecchi, ma non sempre si può, dipende dalle mete, dal tipo di viaggio, dalle necessità che ciascuno ha. Per non parlare delle dinamiche, non dimentichiamo che siamo adulti tanto quanto i nostri genitori e che quindi può succedere che i rapporti non ne traggano beneficio. Lasciamo anche stare gli anziani che, secondo i telegiornali, dovrebbero trovare riparo dal sole nei supermercati. Non so a chi vengano certe idee. Così vedo questa vostra foto che postate tutti gli anni, siete in cinque, sei, otto o più di dieci a seconda di chi c’è in quel periodo a casa, e spero davvero che continuiate per sempre con queste rimpatriate perché non so, sento sempre anziani che poi si trovano soli e non capisco se ai loro tempi era più difficile continuare a vedersi così, a stare amici per tutta la vita come voi. E sono certo che da vecchi vi troverò ancora lì, tutti insieme, ad accogliervi anche se non ne avrete bisogno perché comunque non sarete mai soli, ma non si sa mai. Anzi, lasciatemi un posto, che comunque prima o poi tornerò ad essere dei vostri.

consolare gli afflitti

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Così penso di chiedergli perché sta piangendo non tanto per impicciarmi degli affari suoi ma perché sembra essere diventato un dovere quello di intervenire sempre e comunque con gli amici che manifestano qualche difficoltà, anche a rischio di agire a sproposito ed è una cosa con cui alcuni, me per primo, devono ancora prendere le misure. Con Jose è andata così. Tutti a chiedergli che bisogno c’è di prendere i tranquillanti e berci dopo, quando ha due fidanzate entrambe strafiche, un lavoro pesante ma sicuro e redditizio, una macchina a meno di non sfasciarla una volta in cui è strafatto come ora, una casa a meno di essere sbattuto fuori per lo stesso motivo e soprattutto tanti amici che gli fanno i professori di buone maniere come noi ora ed è a quel punto che ingoia altri due tavor e li butta giù con una golata di amaro Montenegro. Ora vedi uno piangere e accendi la sirena e ti fai in quattro no? Insomma, mi tira fuori una fototessera di una mai vista con un’acconciatura smaccatamente maschile ma per il resto passabile e mi dice che è da qualche giorno che sta con questa new romantic e non è mai stato così felice. A un’occhiata piú attenta riconosco trattarsi di quella che tutti chiamano la cucustrilla, una crasi azzeccata e sin troppo vezzeggiativa tra cocorita e pipistrella, quella che si accozza sempre allo stellone, che è soprannominato così per via delle punte in cui si cementa i capelli con la lacca. Sarebbe da guastargli tutto con un po’ di sano cinismo da fine gennaio e ricordargli tutte le altre volte in cui mi sono sorbito le sue invettive misogine ma chi se ne frega, domani o dopo gli busserà alla porta un ex che rivendicherà uno strascico con cui competere o addirittura da prendere a pugni, questa cosa comunque del gruppo e dell’amicizia per cui bisogna mettere al riparo gli sprovveduti e chi si caccia nei guai deve finire. Mi viene d’istinto però voltare la fototessera e sul retro noto la data di ieri scritta a penna e mi accorgo che oggi è oggi, ed è l’ultimo giorno utile per una cosa importante, una scadenza per la quale so già che non avrò alcuna proroga. Non c’è nessuno a farmi da agenda, e penso che questa si che sarebbe una funzione utile che dovrebbero ricoprire le persone che ti circondano.