il giogo delle coppie

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Per il suo compleanno si è regalato il cambio della lametta nel rasoio mentre lei, molto più giovane ma priva di quegli attributi che, da un punto di vista maschile, giustificano l’innaturale divario anagrafico in una coppia, si è presa addosso tutto il suo scomodo vissuto ed è stata questa lettura che l’ha convinta dell’idea di un canale televisivo basato sugli archivi RAI che trasmette palinsesti tv di giornate intere del passato, nella giornata del presente corrispondente. Avete capito, vero? Tutti i programmi di Rai Uno del 26 gennaio 79 riproposti all’ora esatta in cui erano andati in onda ma il 26 gennaio 07. Ma non pensava ancora a questi sviluppi della sua carriera quando lui l’aveva notata per la prima volta, così minuta al volante di una Opel Corsa verde in coda in tangenziale, quando sembrava talmente giovane da essere un’adolescente su un’auto a pedali, priva di ogni traccia di quell’aria da assistente sociale pronta ad accollarsi le magagne altrui che, vent’anni più tardi, la persuaderà ad abbandonarlo con i suoi ricambi per il set da barba dosati oculatamente – non più di due volte all’anno – e i suoi ricordi da Discoring per mettersi con il conduttore di un rotocalco radiofonico di un’emittente dall’inequivocabile orientamento politico, riciclatosi ai tempi del web in influencer sulle tematiche dell’integrazione tra i popoli e i grandi temi della sinistra di piazza post-grillina. Ma gli amori nascono, si nutrono e poi si rendono indipendenti, non è una novità. L’aveva osservata lungo il tragitto attraverso lo specchietto retrovisore fino alla stessa uscita, lo stesso svincolo e lo stesso quartiere periferico, e aveva deciso di approfittare del fatto che li accomunava, almeno apparentemente, grosso modo la stessa destinazione. Il mattino dopo l’aveva rivista in piedi avvolta dal gas di scarico, ferma a fianco della macchina accesa in attesa che si sciogliesse il ghiaccio sul parabrezza, quando aveva deciso di rompere invece quello che c’era tra di loro avvicinandosi per offrirle un grattino di plastica rossa, un evidente gadget natalizio fuori tempo utile, mentre in controluce aveva notato in lei una goccia di liquido trasparente tra le narici, pronta a cadere raccolta dall’ampia sciarpa o a fermarsi prima per trasformarsi in stalattite fisiologica.

vieni a vivere con me

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Convivere per vedere come vanno le cose e simulare il ménage matrimoniale, quella scusa che adottano le coppie quando uno dei due non si sente ancora pronto per fare le cose serie (o entrambi, perché no), non è che non serva, è che i futuri sposi (e intendo binomi m+f, f+f, m+m, chiaro) spesso sbagliano il raggio entro cui effettuare il periodo di test. Le affinità sono sicuramente su quello che piace e quello che no, obiettivi, grandi temi della vita da condividere, attitudine alla complementarietà, film e dischi e scrittori, ma nel lungo periodo non sono certo queste cose a dare una marcia in più e a mantenere vincente un rapporto a due. Credo sia invece importante motivare le giovani start-up familiari a provare la compatibilità in situazioni più pratiche. Provate ad acquistare un’auto usata insieme, per esempio. O a far finta di dover supportare un figlio nella scelta della scuola superiore. Provate a immaginare di avere un genitore alla frutta o improvvisamente di iniziare a russare con un timbro da basso tuba. Oppure siete nella fase in cui un certo livello di stress vi fa puzzare i piedi, o magari di colpo una nuova tecnologia inebetisce il più debole della coppia a un livello senza ritorno. I gatti che si ostinano a svegliare solo uno dei due o una certa incolmabile lacuna in attività utili a risolvere piccoli problemi della quotidianità che prima passava in secondo piano grazie all’estro o ai residui di una dose post-adolescenziale di creatività artistica. Il sovrappeso o l’azienda che ti lascia a casa senza tanti complimenti. Insomma, tutto quello che in una nota cerimonia viene sintetizzato con la formula della buona e della cattiva sorte. Ma il problema è che non ci si deve certo lasciarsi andare al pessimismo o anche solo al realismo, quando sboccia l’amore, quello è il tempo della costruzione della vita in comune e di trombare come ricci. Se mi chiedessero però di lavorare a un corso pre-matrimoniale, come quelli che si fanno con il parroco, ecco, io mi concentrerei su un efficace training rigorosamente laico sulla coppia nel lungo periodo, e quelli che comunque alla fine tutto quello che abbiamo detto sopra si supera o anche non si supera ma non ha valore poi ai fini dell’amore, ecco sono loro, siamo noi anzi che avremmo diritto a una cattedra ad honorem.

va bene, lasciamoci

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Va bene, lasciamoci. Se siamo al telefono vorrei però che almeno riattaccassi tu, io mi sono già preso la responsabilità di troncare il rapporto. Se siamo entrambi stufi, diciamoci a domani come tutte le sere e poi non incontriamoci più, al massimo dopo vent’anni su Facebook, per dimostrare che avremmo già dovuto essere sposati e invece siamo solo spossati. Nemmeno te l’avessi chiesto: vuoi spossarmi? Non hai risposto sì o no a alla fine ci sei riuscita e io ti ho tenuto il passo. Spossati dal caldo? Va bene, allora lasciamoci oggi che è il primo d’agosto, sento qualcuno mormorare al telefono, tanto voi che vi lasciate ai tempi dell’Internet siete autosufficienti con le serie tv, le interazioni virtuali e la masturbazione davanti a contenuti digitali. Se vi foste lasciati oggi ma vent’anni fa, al massimo avreste passato il ferragosto come me, con un po’ di synth collegati a un vecchio Mac a comporre colonne sonore della imminente solitudine e nemmeno un modem con cui parlare.

Non c’è il caso di dire lasciamoci invece se vedo la tua cinquecento bianca davanti alla palestra fuori dell’orario di apertura, o se per farmi una sorpresa mi sorprendi appartato con una comune amica, o se hai lasciato che il batterista che ti ricorda Sting (e nemmeno Copeland, che miseria) si facesse dare il tuo numero di telefono da un conoscente comune a tutti e tre, o se non c’è più niente da dire, non c’è via di uscita e tira un vento da temporale che spaventa più del lasciarsi in sé. Oppure lasciamoci con le più celebri dichiarazioni di intenti: così non va più bene, sono perplesso, non ne posso più, meriti ben altro, non credo di amarti, prendiamoci una pausa, mi sento oppresso, mi hai rotto il cazzo, devo riflettere. Va bene, lasciamoci, anche se non dovremmo lasciarci in troppi d’estate perché d’estate siamo già lasciati abbastanza a noi stessi.

concittadini che non meritano di esserlo

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Ester ha un nome importante per una ragazza che viene da un paese di quelli che non conoscerebbe nessuno se non avesse dato i natali a Paola Barale. Nemmeno noi crediamo che da un posto di campagna possa nascere una bellezza come quella, e non ci riferiamo certo a quella sciacquetta dei programmi Mediaset. Ester probabilmente è la diretta discendente di qualche stirpe di dominatori locali, famiglie di conquistatori che nel tempo hanno assoggettato genti e terre costruendo castelli, uccidendo draghi e dettando legge. Alta più di uno e ottanta, chiarissima di capelli e carnagione e con un fisico da modella, Ester manco a dirlo studia Storia Antica e questo rende ancora più luminosa l’aura di fascino che di notte ti indica la strada che ti conduce da lei più una stella cometa qualunque e meno male che almeno io disprezzo tutto il genere fantasy, così non faccio la fine di Claudio o Marco che idealizzano qualunque cosa come fosse un passaggio narrativo di quella sagoma di Tolkien. Ester ha un solo una drammatica lacuna. Anziché frequentare dei falliti come noi si accompagna con Mirco che è quello che dice di aver inventato l’escamotage per dire la frasetta accelerata in coda alle pubblicità dei medicinali alla tv, e ci è arrivato per un errore compiuto in diretta perché lui sceglie i rumori per i programmi tipo Paperissima. Il collegamento con Paola Barale sarebbe fin troppo ovvio se non fosse che Ester ha confidato a una comune amica – che poi è la nostra infiltrata nella sua vita e speriamo che la cosa prima o poi dia i suoi frutti – che è stufa di uomini che quando gli chiedi “che cosa pensi” dopo aver fatto l’amore rispondono “a niente”. Ester, vogliamo solo dirti che siamo pronti a rispondere in un modo che non immagini nemmeno a una di queste tue domande. Ci siamo preparati con tutta una serie di cose che scommetto non sai nemmeno che i maschi nascondono nelle loro corde. Nel frattempo, tutte le volte che passo in autostrada e vedo l’uscita per il paesello che ti ha dato i natali penso a come sarebbe bello vivere insieme a te, in campagna, e provo a immaginare come stia la bellezza che hai addosso con tutto quel verde rigoglioso di sfondo e se il profumo che usi non sia d’impiccio alla natura quando esplode in primavera.

l'amore a volte ha domicili diversi

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L’amore a volte ha domicili diversi. Ci si spreme di passione in campi neutri e poi si torna alla rispettive abitazioni, portando con sé le farfalle nella pancia, la spossatezza dell’amore incompiuto, la mandibola sforzata come dal dentista e l’arsura sulle labbra. Il profumo di un’altra pelle che non è la propria, un biglietto del cinema o di un concerto o del teatro o anche solo del bus, un capello lungo e rossiccio sulla spalla della giacca blu.

Ci si allontana così a qualunque ora del giorno o della notte. Anche la mattina appena svegli, subito dopo colazione, alcuni prendono la macchina e tornano a casa e si lasciano l’amore dietro, tanto presto riprenderà daccapo come un corso della natura. Le stagioni o le maree. Ripercorrono l’autostrada in senso opposto rispetto a quello che ha consentito loro di trovarlo, l’amore la notte prima. La città dormiva e ne hanno approfittato per sbagliare strada tutte le volte senza nessun rischio di non poter tornare indietro.

I ragazzini lasciano l’amore addirittura prima di cena. Rientrano nelle case in cui sono ospiti dei propri genitori e si sentono forzatamente reclusi nei rispettivi campi di sofferenza. Non passa un quarto d’ora che già verrebbe voglia di chiamarsi al telefono, toccare reliquie come testimonianza che è tutto vero, che là fuori c’è l’amore che ci aspetta ma che non c’è altro da fare che attendere il giorno successivo.

Ma l’amore conduce vite separate anche quando potrebbe permettersi il contrario. Una famiglia. Un letto a due piazze. Un divano a tre posti. Un bicchiere con almeno due spazzolini. Perseverare in un domicilio diverso da quello in cui potrebbe abitare l’amore può essere una questione di abitudine a condurre un’esistenza separata da tutto anche se si ha molto da dare. Si radicano pratiche che poi sono difficili da estirpare. Comportamenti che mai più potremo rendere complementari a quelli di qualcun altro. Così si fa prima a mettere tutto come parte del corredo, tanto con due domicili diversi l’amore ha a disposizione tutto lo spazio necessario.

Fino a quando poi l’amore fa il doppione delle chiavi, mette insieme dischi, libri, vhs anche se i videoregistratori non se ne vedono più in giro da un pezzo. Capita anche che ci siano di mezzo pesci rossi in una boccia di vetro, gatti (meglio se non simultaneamente), cani. Nel migliore dei casi bambini nella pancia di uno dei due o già grandi, già svezzati, scolarizzati, viziati, cresciuti o addirittura a loro volta già sistemati. O, dall’altra parte della barricata, anziani non più indipendenti. In certi casi persino avvocati per storiacce non consensuali, creditori o gente di qualunque tipo da cui nascondersi.

Ed è incredibile perché, qualunque esso sia, quando l’amore trova un domicilio comune tira le tende, chiude le veneziane, abbassa le tapparelle, spegne le luci, e al buio poi non parla d’altro che di amore e di quello che si può fare lì insieme, in due.

posso fare un'osservazione?

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Quando si inizia a litigare o anche solo a non provare più granché del sentimento che ha unito due persone in uno dei svariati modi in cui due persone si uniscono, che va da quell’amore totale che ti toglie il fiato fino alla semplice comunione di intenti passando per flirt o anche una tiepida frequentazione estemporanea oppure sesso sfrenato e reiterato ad libitum senza implicazioni sentimentali ma anche amici e basta. In quel momento in cui scorgiamo nei lineamenti di cui siamo esausti a furia di quella sovraesposizione che poi è un po’ la causa di tutto nella società dell’immagine (non a caso si sono inventati le gif animate), dei quindici minuti di fama (non a caso c’è snapchat), dei video in fullHD (non a caso vediamo i film sul telefono), dovremmo impegnarci a ravanare nella memoria e trovare la prima volta in cui abbiamo visto quella faccia lì che oggi prenderemmo a schiaffi tanto siamo stufi di averla a pochi centimetri da noi, per ricordarci l’impressione che avevamo avuto osservandola senza averla mai notata prima e ritrovare gli elementi che avevano attirato la nostra attenzione.

Lo so, è una specie di gioco della settimana enigmistica difficile da fare così a posteriori e so anche che non vale se state per fare un paragone con qualcosa di più attuale, se comunque la novità è sempre più sexy della solita minestra. Allora facciamo la stessa cosa al contrario. Iniziamo a imprimerci bene in mente ogni persona come se un giorno, a seguito di un lungo e profondo rapporto di amore o calessi o chissà cosa, ci dovessimo ritrovare a cercare l’archetipo di quel sentimento in un unico istante che è quello in cui come dei pazzi vi state mettendo a fissare le persone sui mezzi, per strada, all’Esselunga o in fila al cinema. Oggi possiamo stare ore a sbirciare i profili altrui su Internet e persino a salvare quello che ci piace con il tasto destro del mouse. Eppure la sensazione che una persona dopo anni in cui ce l’hai a disposizione sia la stessa che uno, cinque, dieci anni prima ha occupato il tuo campo visivo senza averlo mai fatto prima e ti colpisce (in senso figurato, eh) ha qualcosa che se non è un fattore soprannaturale ci va vicino. Quindi guardatevi bene dal non guardare il prossimo, magari state perdendo un’occasione che vi tornerà utile prima o poi.

divertimento in senso traslato

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Il direttore dei giochi delle giostre, con la sua voce nasale, esorta i marmocchi a spingere nella feritoia delle automobiline da scontro la moneta di plastica in loro possesso per attivare il mini-veicolo. Giù il gettone, dice. Giù il gettone. Dalle casse sovradimensionate alla situazione parte “Girls just wanna have fun” a un volume vergognoso perché c’è pieno di bambini e i bassi così pompati, che in natura non si trovano da nessuna parte, ai bambini fanno male, finisce che cresceranno audiolesi o nel migliore dei casi con l’acufene a cinquant’anni. Io i bambini li vorrei fare proprio in quell’istante – anche se prematuramente – con Cristina che è la ragazza che tengo per mano. Cristina è un modello di classe A++ detto con il metro con cui trent’anni più tardi si sceglieranno gli elettrodomestici, ma che nel 1983 significa tipa con fascino da vendere. Cristina è in vacanza al mare dal nonno che, per pura combinazione, è un amico di mio papà. Vive in una casa di proprietà a ridosso di una antica fortezza, e da una serie di cunicoli dal suo sottoscala si accede a una cella all’interno dei bastioni che lui, in via del tutto abusiva, usa come cantina. Sarà anche per questo contatto che dopo una specie di gara delle affinità elettive, Cristina ha detto a tutti i ragazzi della compagnia, la stessa che frequentiamo entrambi, che toccava a me e sapete com’è che a quell’età vanno le cose. La notizia si diffonde, la cosa giunge al diretto interessato, il diretto interessato si fa avanti e il gioco è fatto. Io e Cristina, nemmeno trent’anni in due, avanziamo di sera tra le attrazioni di una versione semplificata di un luna park di provincia, vestiti come in un video degli Human League ma con le espadrillas a strisce blu perché siamo in pieno luglio. La hit di Cindy Lauper non passa inosservata a Cristina, accenna un passo di disco music è mi dice che è vero, le ragazze in fondo vogliono solo divertirsi. Io l’inglese lo capisco abbastanza bene, ho preso anche un dieci in un compito in classe, e quello che mi resta di quella traduzione simultanea è che Cristina, con me, sta passando una serata indimenticabile. Ci sediamo su una panchina e ci baciamo per la prima volta, e mentre ci baciamo penso che sarà così per sempre. Ma il senso della canzone era molto distante dalla mia interpretazione, questo l’ho capito qualche mese dopo, quando in una trasmissione televisiva dedicata proprio alla musica più in voga passano il video di “Girls just wanna have fun” con le parole in sovrimpressione. Ho intrecciato quella intuizione tardiva con un episodio successo qualche sera dopo il bacio alle giostre, quando mi avevano riferito di aver visto Cristina ballare un lento appesa a uno che non ero io, allo spazio live della Festa dell’Unità. La sua idea di divertimento era molto diversa dalla mia ma subito non avevo collegato le due cose.

se qualcuno ha ancora dei dubbi su chi è vincente e chi invece no

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Il rito che seguiamo prevede tre tiri a testa. Il numero perfetto, l’azione che si velocizza e soprattutto entrambi dobbiamo impegnarci a rispettare il turno dell’altro. Non so se a iniziare sia stata io o Paolo, forse lui per un retaggio scaramantico legato alla superiorità dei numeri dispari, ma in questo momento sono piuttosto cotta e abbastanza fuori, quindi non chiedetemi troppi sforzi di memoria. La domanda invece me la rivolge a sorpresa Paolo. “Buono questo fumo, dove l’hai preso?”. So dove vuole arrivare perché una delle sue strane convinzioni è che le ragazze non siano così scaltre da riconoscere i pusher e combinare acquisti vantaggiosi. E Paolo, almeno con me, ha ragione. Gli dico che non ricordo e che probabilmente l’ha lasciato qualcuno alla coinquilina enfatizzando il mio accento da napoletana che so così Paolo mi perdona tutto. La verità è che me l’ha regalato quel tipo che si mette sempre a fianco a me a Statistica, quello che mi ha idealizzata a tal punto che si è fatto tutto un suo quadro di me che non risponde alla realtà. Intellettuale, sofisticata, con certi gusti musicali e letterari. Flirta persino raccontandomi che mi vede con una specie di luce, un’aureola, ma davvero non so come sia riuscito a farsi questa versione di me che mi sembra non mi assomigli per nulla. Forse perché vesto così e lui associa il mio abbigliamento a un tipo di persone che frequenta, non capisco e nemmeno mi va di capire. Comunque è simpatico e lo lascio fare. Vi dicevo del fumo. Ieri arriva con una cassetta di un gruppo mai sentito, mi prende il blocco degli appunti e mi scrive che devo assolutamente ascoltare quella musica, un vero e proprio viaggio per il quale però serve un accompagnamento adeguato. Lo ha incastrato nelle rotelline delle bobine della cassetta e mi ha chiesto di dirgli poi come è andata. A me la musica non piace ma fumare sì, così eccomi qui con Paolo che non è il mio ragazzo anche se Paolo pensa il contrario perché ci vediamo con una certa regolarità, fumiamo e poi ci mettiamo a letto. O se abbiamo voglia ci mettiamo a letto e poi fumiamo dopo. Che poi adesso che fa ancora caldo nemmeno tiriamo su le lenzuola. Oggi però ho chiuso le tende per ripararci dal sole ma un po’ me ne sono pentita perché viene subito sera, a settembre, e il sole che abbiamo nascosto può esser stato l’ultimo. Invece la cassetta sentitevela voi e poi ditemi che roba è così, dopodomani a lezione di Statistica, racconto al tipo che me l’ha data insieme al fumo che cosa avrei dovuto provare, mica posso dirgli come è andata veramente.

la vita on demand, ecco gli operatori più convenienti

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Quante sono le cose che durano ventiquattr’ore a partire da certi abbonamenti a servizi virtuali, pensate al wireless in alcune strutture turistiche ma anche i biglietti giornalieri per i mezzi pubblici, d’altronde lo dice il nome stesso. Le più belle cose vivono solo un giorno, come le rose, e non sono certo io il primo a dirlo. Il sabato e la domenica durano così sulla carta, poi però al lunedì ti rendi conto di essere stato fregato, c’è sempre qualche ora marcia come quando compri la frutta e ti mettono i pezzi peggiori di cui si vogliono disfare in fondo, nel sacchetto di carta. Questo perché in realtà il tempo dovrebbe a consumo come alcuni servizi che oggi stanno avendo un vero e proprio successo commerciale. L’assicurazione, per esempio. Perché pagare un prezzo annuale quando guidiamo solo due o tre ore a settimana. Prendi la macchina per una gitarella fuori porta che è una bella giornata e l’assicurazione si attiva nel momento in cui schiacci il pulsante di apertura elettronica sulla chiave. Il costo ti viene automaticamente addebitato sulla carta di credito e ci si possono inventare millemila prodotti accessori a seconda se usi l’auto poco o tanto, tipo i km accumulati e a fine anno hai degli sconti o buoni benzina. Ecco, la vita dovrebbe essere più o meno così. Ci sono un sacco di episodi in cui il tempo che passi è sprecato, certo è difficile dirlo a priori ma con un po’ di esperienza le “sòle” le riconosci da come ti si presentano. Sai già in partenza se un’occasione è sprecata e così non attivi questa specie di telepass esistenziale. Pensate a quanto dureremmo con una modalità in questi termini. Ci sono cose, per esempio, che facciamo per amore e chi se ne importa se buttiamo via del tempo. Ami una persona e stai lì a osservarla anche quanto compila il 730 e tu non te la senti di allontanarti perché comunque il fatto solo di rimanere vicino vale il credito che si consuma. Anzi, quello che provi è una sorta di servizio aggiuntivo grazie al quale la vita non costa nulla. Il rovescio di questa medaglia è che i secondi, quando l’amore va in rosso, costano un botto, come le telefonate ai cellulari che faccio dal fisso con Fastweb. Anche solo una conversazione di circostanza, quelle che si hanno quando si ha più poco da dire, e solo lo scatto alla risposta ti toglie interi pomeriggi di futuro.

non sottovalutate la potenziale santità delle persone che avete intorno

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Quando sul treno inesorabile parte il ritmo del guiro a introdurre la cumbia con quel ci ci-ci-ci ci-ci-ci ci-ci-ci è il segnale che la giornata è già bella che rovinata. Certi suoni a me invisi (i generi latino-americani stanno agli antipodi della mia sopportazione) hanno la particolarità di farsi sentire anche attraverso gli auricolari altrui. E pensare che mi ero svegliato con il piede giusto perché avevo appena pensato che, davvero, io di storie d’amore ne so a pacchi. Ovvio che non sono tutte mie, mica ho tutta st’esperienza, di molte ne ho sentito solo parlare da altri ma sono comunque incredibili da raccontare. Storie d’amore con protagonisti di qualunque età. Ragazzini alle prime armi, adolescenti dalle passioni mutevoli, giovani in cerca di stabilità, adulti che cercano una storia di seconda mano, persone di mezza età per le quali non è cambiato nulla, vecchi che perdono la memoria e aspettano vestiti di tutto punto che il loro amore passi sotto casa anche se era una cosa che accadeva settant’anni prima ma per loro è come se non fosse ancora successo.

Fortuna vuole che il calore della musica colombiana con quel ci ci-ci-ci ci-ci-ci ci-ci-ci che sembra coprire tutto a causa della pessima equalizzazione degli acuti sia raffreddato dall’austerità di Mitte, ne sento parlare così da due del Politecnico con questo diminutivo di Mitteleuropa perché, a detta loro, è una ragazza che sembra uscita da una seduta del Bundestag per la postura che tiene anche nei momenti di relax, per esempio sulle panchine del parco. La schiena eretta e le gambe dal ginocchio in giù arrotolate in una serpentina innaturale, ma anche i capelli dello stesso colore della borsa in tela rossa brandizzata Artemide con il pranzo dentro che trasmette studi di architettura da esercitare al più presto al servizio di qualche archi-star della città e visite mirate a iniziative collaterali della Design Week. Uno dei due del Politecnico conferma la capacità che ha Mitte di materializzarsi all’improvviso dove si trova lui, a partire dal tragitto verso casa fino al ristorante vietnamita e al concerto agli Arcimboldi. Queste manifestazioni quasi divine ogni volta alimentano una fiamma che gli arde dentro e che lo brucia a tal punto da non riuscire a proferire parola per un approccio a Mitte nei momenti più opportuni.

“È un po’ come agli esami”, lo sento raccontare, mentre in sottofondo continua sto cazzo di ci ci-ci-ci ci-ci-ci ci-ci-ci. “Quando sono pronto non la incontro mai. Poi quando patisco le pene dell’inferno per un abbigliamento in eccesso con 30 gradi all’ombra, nemmeno lo spunto di discutere sul fatto che sia meglio vestirsi come impone la stagione anziché secondo la temperatura percepita mi viene, quando mi si presenta all’improvviso proprio al mio fianco in metropolitana”. Me lo immagino come ora, orgogliosamente grondante nella sua sudorazione sovradimensionata perché per nulla si sfilerebbe la maglia di lana, soprattutto se Mitte è nelle vicinanze e lui sa di avere la camicia pezzata. L’amico lo prende in giro e gli ricorda di quando aveva ammesso di aver notato Mitte sovrastata da una specie di aureola intorno alla testa, un dettaglio su cui nutro molti dubbi perché il color oro non si intona bene con il rosso dei capelli (attenzione: non rosso carota ma rosso mattone, così l’hanno descritta). Così, sul più bello, mi rendo conto che anche per oggi ho guadagnato una bella storia d’amore, che anche per oggi avrò tutto il giorno nella testa un pessimo brano di cumbia con il guiro che fa ci ci-ci-ci ci-ci-ci ci-ci-ci almeno fino a quando, in ufficio, scopro che il subject della prima e-mail di lavoro della giornata inizia con “HR Executive Meeting with Jesus”.