chi è sopravvissuto agli anni novanta batta un colpo anzi no faccia una cover

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Che gli anni novanta rappresentino la perfezione totale globale in tutto e per tutto non sono io il solo a sostenerlo e, se volete la prova a supporto di questa teoria, vi dico solo che non c’è come la musica degli anni novanta che è in grado di riassumere e trasmettere tutte le varie emozioni del genere umano. Se vi guardate in giro e siete buoni osservatori, anzi, ascoltatori, la realtà del nuovo secolo in cui siete immersi è imbevuta della musica degli anni novanta e dei richiami ad essa perché, come ho appena affermato ma ripetermi non è certo un problema, negli anni novanta c’è stata almeno una hit per ogni stato d’animo conosciuto dall’uomo. Certo, la causa di tutto ciò è anche che oggi chi tiene i fili della sonorizzazione pubblicitaria o documentaristica in generale negli anni novanta muoveva i primi passi sul dancefloor e certe atmosfere gli hanno trasmesso altro che un imprinting. Pensate a un genere come il trip-hop che piace alle persone intelligenti e a quelli che ascoltano lo zoo di centocinque, agli amanti dell’elettronica ma anche ai rockettari, e solo perché si spazia dal versante solare dei Morcheeba a quello cupissimo dei Massive Attack con quasi tutti i ritmi del creato. D’altronde gli ottanta si abbinano solo alla frivolezza (new wave a parte, ma non sono in molti ad avere gusti così raffinati), i settanta sono troppo politicizzati, i sessanta oramai troppo classici e, per venire ai giorni nostri, i duemila troppo derivativi dalle decadi precedenti, senza contare il rimescolamento che ha causato l’Internet e la confusione che regna oggi tra gli ascoltatori.

In pubblicità e, in genere, per sfruttare appieno il potere evocativo della musica occorre utilizzare dei punti fermi e se dovete musicare l’allegria, la tristezza, una velata gradazione di malinconia l’unica soluzione è pescare in quella best practice di categorizzazione che sono, appunto, gli anni novanta. Posso farvi qualche esempio? Ci sono forti probabilità che, facendo zapping in radio o in tv, almeno una volta al dì vi capiti di imbattervi nel versione remix di Fatboy Slim di “Brimful of Asha” a corollario di immagini di spensieratezza, oppure “Drinking in L.A.” per sottolineare la coolness di qualcosa. In questi giorni gira in TV uno spot di non so cosa che ha come colonna sonora la versione di “I Will Survive” dei Cake. Ve la ricordate? Fu un successone sia per la voce tremendamente scazzata e sexy con cui la band ha de-costruito il successo di Gloria Gaynor, sia per la geniale sostituzione nel testo di “that stupid lock” che diventa “my fucking lock”, vuoi per il solo di chitarra impensabile per un virtuoso delle sei corde e anche quello di tromba, perché no, e vuoi perché in quegli anni si faceva gara a imporre lo stile musicale anni 90 su tutto con risultati davvero sorprendenti. Nessuno ha mai rivolto al futuro, nemmeno allora, la domanda “cosa resterà di questi anni novanta” come fece Raf per il decennio precedente. Bene, sappiate che se qualcuno prima o poi lo farà la risposta sarà scontata. Gli anni novanta non sono ancora ritornati in questi anni in cui molti degli eroi di quel tempo ci hanno lasciato prematuramente le penne, e penso a Chris Cornell, e non sono mai ritornati perché gli anni novanta vivono e combattono insieme a noi, le loro idee camminano sulle nostre gambe e la loro musica non è ancora passata.

mentre la bolla saliva

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Marco ha la stessa maglietta di ieri, questo significa che ha trascorso la notte in ufficio e spiega anche il motivo per cui la porta dell’ufficio di Gianpaolo, che è il suo responsabile, è chiusa a chiave. Lì dentro ci sono un paio di poltroncine che, messe l’una di fronte all’altra, formano una branda per i casi di emergenza come questo. Gianpaolo deve aver gettato la spugna e ha lasciato Marco da solo a portarsi avanti con il lavoro, tanto è lui che macina codice e Gianpaolo che sia sveglio o dorma da un certo punto in poi non fa differenza. Nicolino addirittura ha fatto di questo regime uno stile di vita ed è un vero precursore di quello che accadrà più o meno vent’anni dopo con il telelavoro e i progetti da portare a termine senza il bisogno di orari e postazioni in ufficio. Nicolino dorme di giorno e lavora con il buio nemmeno fosse un vampiro ma ha imparato a fare così nei due anni che ha trascorso a Manhattan nel pieno della bolla che da loro è iniziata prima. Stefano mentre programma ascolta solo musica che compone lui e non si pone nemmeno il problema che altri, me per esempio, trovino irritante la techno degli autodidatti. Matteo invece è un creativo tradizionale. Si piazza a fianco di Hanna, che è una grafica finlandese (e come dice lui una granfica finlandese) e mi chiedo cosa ci faccia a Milano, e insieme portano avanti le loro cose. Comunque è vero che Hanna ha il suo fascino e Matteo ci è caduto in pieno, li ho visti pranzare insieme al chiosco del parco e lui con le sue manone le ha afferrato il polpaccio come a stabilire una forma di possesso. Anche io ho i miei flirt. Con Erica ci mandiamo sms e mail e chissà, prima o poi la invito a bere qualcosa. E anche a me capita di fare degli straordinari che, con la mia partita iva, non hanno nessun tipo di riconoscimento. Il nostro bagno ha persino una doccia e qualche volta, quando resto qui tutta la notte a lavorare, mi ci butto sotto per ripartire la mattina almeno a mio agio dal punto di vista degli odori corporei. Mi sono attrezzato con il minimo necessario, lo stesso che ci si porta in hotel nel caso dei viaggi di lavoro ma con in più una salvietta da palestra. Una volta ho avvisato Ale, il mio responsabile, che malgrado le ore extra non sarei comunque riuscito a chiudere tutto per il giorno successivo a causa di una richiesta del cliente. Alessandro era già a letto anche se non era nemmeno mezzanotte – non lo pensavo così reazionario – quando gli ho telefonato e non ha preso bene i cambiamenti sulla tabella di marcia. A volte arriviamo così a ridosso della consegna che il corriere non fa più in tempo a ritirare il master e a consegnarlo alla casa editrice, così ci imbarchiamo in imprese pittoresche tipo corse notturne in auto verso Roma o il treno con le cuccette. Non tutti reggono il ritmo, non a caso l’agenzia fallirà qualche anno dopo, ma quelli che sopportano meno lo stress li perdiamo man mano per strada. La Giò, anche lei una grafica, l’ho appena vista fuori in cortile con la sigaretta accesa a piangere su un manuale di un nuovo programma che si chiama Flash e che prima o poi dovrà imparare a usare, se vuole mantenersi aggiornata e conservare il suo ruolo. Qui nessuno è al sicuro, dovremmo scrivercelo da qualche parte per averlo sempre ben chiaro in mente nel caso ci facessimo piacere questo posto e dimenticassimo che cosa tutto ciò comporta.