la differenza di età, istruzioni d’uso

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Uno dei cavalli di battaglia di noi persone anziane è lo sforzo di insegnare al prossimo che non bisogna vedere quanto manca al completamento della barra di caricamento ma osservare con soddisfazione la percentuale già colorata. Tanto è più ampia la parte completata – spero mi stiate seguendo in questa metafora presa dall’informatica – tanto è più vasta la gamma di quello che avete a disposizione. Cose vissute, lette, commentate, dipinte, suonate, raccontate, ascoltate, eseguite, costruite, plasmate, colorate, piantate e innaffiate, ristrutturate, fatte e disfatte e poi rifatte ancora. Nessuno di quelli che la barra ce l’ha più piccola potrà mai superarvi in questo e a chi si vanta che per lui prima di arrivare al 100% ne passerà di acqua sotto i ponti voi, che magari siete già a tre quarti, intanto ditegli di impegnarsi ad arrivare al punto in cui vi trovate – non è poi così raro che il sistema vada in crash e che occorra riavviare tutto, ma poi vediamo il modo in cui si ravvierà, magari in un’oca francese destinata a diventare paté – e poi ritenetevi liberi di pensare (ma questo non diteglielo) che hanno molte più possibilità di fare cazzate anche gravi e che, a tutti gli effetti, nessuno può considerarsi più fortunato dell’altro. E a quelli che la mettono sulla seduzione, che di questi tempi sembra essere lo specifico degli esseri umani quasi più del modo in cui impiattate le pietanze, voi rispondetegli che dall’alto della vostra vecchiaia aumenta a dismisura lo spettro di gente di cui è possibile sentirsi attratti. Fategli presente che non esercitate il diritto a manifestarlo per ovvi limiti di decenza e di buon gusto, ma che tutto sommato è bello lo stesso. Per non parlare della mappa dei ricordi da consultare al riparo dal vento caldo alla ricerca della direzione giusta come si faceva fermi alla stazione di servizio in viaggio su automobili tutte scassate o in balia di sandali al caldo delle capitali europee in estate, su e giù dai mezzi pubblici. Mi piace essere arrivato al punto in cui due dimensioni non sono più sufficienti per visualizzarla tutta insieme ma ci vuole uno di quei sistemi come la Geode di Parigi dove si vedono i film a 180 gradi, sdraiato con l’odore di ragazzini entusiasti per lo spettacolo, nel buio in attesa che cominci e con il naso all’insù.

i vecchi ci parlano ma noi gli chiediamo di fare silenzio

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I vecchi ci parlano ma noi giovani d’oggi chiediamo loro di fare silenzio, stiamo guardando la tv. Loro la tv non la sentono perché l’udito ha perso qualche colpo e poi vengono da un pianeta, il novecento, dove la razza umana ancora aveva la supremazia sulla rappresentazione della stessa altrove, a parte un paio di casi eccezionali, una certa Alice che saltava al di là di uno specchio e un tizio che faceva invecchiare il suo ritratto al suo posto, mica scemo. Ma a parte queste eccezioni, la gente in carne e ossa faceva prevalere la propria opinione contro i surrogati del sé. Poi sapete come sono andate le cose: il telegiornale a cena, Berlinguer a Tribuna Politica e la cronaca più bieca nei tempi recenti, e insomma la tele ha preso il sopravvento. E mentre a cavallo tra i due secoli c’era qualche margine di trattativa, oggi i monologhi e i dialoghi – che riceviamo via satellite se non da Internet – si dà per scontato che abbiano la precedenza e quando i vecchi ci parlano mentre noi giovani d’oggi guardiamo la nostra trasmissione televisiva preferita è tutto un shhhh, e i vecchi un po’ ci rimangono male. Che poi, in tutta onestà, anche se i vecchi sentissero quel che dicono nei programmi e nei film del duemila non capirebbero granché. Attori, doppiatori e presentatori parlano a una velocità a cui i ricettori analogici dell’uomo del secolo scorso non sono più adeguati e non è come le app che usiamo, che ogni giorno c’è un aggiornamento per adattarsi al web in continuo cambiamento. I vecchi sono abituati a rivoluzioni ogni cento anni (l’ultima proprio nel 1917), guerre ogni venti, elezioni ogni quattro o cinque ma se ci metti anche i referendum la frequenza è maggiore, senza contare che comunque andavano a votare molto più volentieri di noi giovani d’oggi, che snobbiamo persino la democrazia diretta e, al massimo, partecipiamo alle petizioni online ma ci piace molto di più la giustizia fai da te sui socialcosi, quella fatta tra amici. Io però, anche se sono un giovane d’oggi come voi, mi sono convinto che quando i vecchi parlano, anche se c’è Netflix acceso, quello che sto guardando può aspettare e lasciate perdere che su Netflix si può mettere il film in pause. Non chiedete ai vecchi di fare di fare silenzio, lasciateli dire, anche se la cosa che dicono l’hanno già detta altre dozzine di volte. Che male può farci?

vite in fila

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Quando entro alla Coop qui vicino e vedo la grande scritta rossa torreggiare sul parcheggio mi sento un po’ in colpa per Caprotti, scomparso da poco e già nella Hall of Fame dei morti del 2016, a fianco di Prince e Dario Fo. Il supermercato rientra nella cultura pop ed è un aggregatore di masse tanto quanto le canzonette, e l’autore del best seller “Falce e carrello” sarà stato uno dei primi a notare che sarebbe sufficiente staccare un po’ di plastica dal logo per leggere Cccp. Io però non ho bandiere, almeno nella spesa. Passo dall’Esselunga al Carrefour ai discount senza tanti complimenti e ostento per distinguermi le borse con i brand della concorrenza. Alla Coop qui vicino, che è un supermercato piccolo e davvero è difficile comprendere come riesca a sopravvivere con tutti i gigantoni che gli hanno costruito intorno, compreso il centro commerciale più grande d’Europa che è a venti minuti da casa mia, mi piace andare al sabato mattina, quando è zeppa di anziani che si servono della Coop di paese anche nel weekend, mischiandosi agli idealisti del tre per due e gli agnostici che vi si recano perché non hanno voglia di affrontare il muro dei folla dei grandi supermercati. Stamattina ho aiutato un vecchietto a trovare le scatolette per i gatti al pesce, perché il suo micio la carne proprio non la riesce a digerire. Ero nel reparto animali anch’io per fare la scorta e approfittare degli sconti del giorno. Ho riempito il mio carrello e così, in fila alla cassa, una signora anzianissima con un dente solo mi ha fatto un sacco di domande. Quanti gatti ho, se i miei due sono madre e figlio, di che colore sono e come facciamo quando andiamo in vacanza. Mi sono dilungato in particolari, tanto la fila – di età media elevata – non si muoveva e di tempo ne avevamo sin troppo. Alla fine abbiamo convenuto entrambi che i gatti tengono molta compagnia. Le ho raccontato che dopo pranzo mi sdraio sul divano e loro si coricano sopra di me. Lei ha riso con l’unico dente e poi mi ha fatto cenno che era arrivato il mio turno, nemmeno me ne ero accorto.

le 10 cose più spiacevoli che dimostrano che non sei più un ragazzino

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C’è una leggenda metropolitana dell’informatica che dice che ci sono poteri occulti che attivano attraverso un virus da remoto la webcam di cui i laptop sono provvisti e registrano a tua insaputa quello che fai al pc e poi ti ricattano. Bene, cari poteri occulti, ricattate pure un povero vecchio che scrive al suo blog con gli occhiali perché altrimenti le lettere sul foglio elettronico bianco sfarfallano e non a causa di un effetto programmato in html5 o un javascript ma perché la vista, dopo venticinque anni di lavori al computer, ha avviato la sua speranzosa procedura per andare in pensione. Questo solo per iniziare, perché da qualche altra parte in questi nostri corpi cinquantenni tutta la smania di fare e disfare, accelerare per arrivare, salire metaforicamente i gradini due a due, cambiare arbitrariamente alla ricerca del meglio, sfidare le leggi della natura con notti in bianco, aglio olio e peperoncino all’una di notte, abbigliamento indossato in base all’estetica e non alla comodità o alle condizioni atmosferiche, senza contare gli effetti collaterali di pressione circolazione digestione e altri ameni sconvolgimenti fisici, insomma giustamente certe cose di questo mondo non sono più alla nostra portata e sarebbe giunta ora di fare spazio alla nuove leve, se non fosse che le nuove leve ancora sono lì che arrancano per emanciparsi emotivamente, professionalmente ed economicamente. Ci viene richiesta la stessa freschezza di un tempo ma qui un certo entusiasmo che avevamo già messo via con l’ultimo cambio degli armadi delle stagioni della nostra vita ormai è tutto tarmato che sembra un colabrodo. Che figura ci facciamo se ci dimentichiamo cose importanti nello svolgimento del nostro lavoro? È colpa nostra se gli standard della concentrazione oggi si sono evoluti come la velocità dei microprocessori o le capacità degli hard disk, e la nostra è a rischio obsolescenza come uno di quei vecchi sistemi operativi che la modernità non tiene nemmeno più in considerazione nella compatibilità delle nuove tecnologie? E per fortuna che lavoriamo nei servizi e le conseguenze di quello che facciamo non mettono a repentaglio l’incolumità fisica nostra e degli altri. Al massimo ci dimentichiamo di rispondere con prontezza a una mail perché arriviamo in ufficio cotti dopo una notte agitata dagli incubi professionali generati dalle incombenze alle quali sicuramente non siamo più adeguati. E la cosa paradossale è che il mercato richiederebbe sempre più carne giovane e invece si deve accontentare di vecchietti sempre più rincoglioniti dai social network. Forse è questo il motivo per cui l’economia non si riprende.

una madre non sbaglierebbe mai la taglia dei boxer del proprio figlio

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Non è superstizione, piuttosto statistica. Più fai visita ai moribondi e più diminuiscono le probabilità che ti succeda qualcosa di sconveniente. Due su due a miglior vita è una percentuale del 100%, il che equivale a un jackpot ma al contrario, nel senso che è meglio non vincere o, per lo meno, sperare di arrivare secondi. Se c’è qualcuno più prossimo a tirare le cuoia di noi proviamo a stargli vicino il più possibile e vediamo se questa teoria funziona. In realtà, come ci insegna il Campo Minato poi ribattezzato Prato Fiorito che a pensarci bene è un po’ che non si vede sugli schermi degli ambienti di lavoro rilassati, la prossimità a una catastrofe non è per nulla vantaggiosa, come allo stesso modo si sconsiglia alla gente di ripararsi sotto gli alberi durante i temporali di montagna. E invece è alle persone che soffrono che bisogna stringerle a sé e toccarle, perché il conforto si trasmette come gli elementi conduttori che insegnano alle medie in scienze. Rivolgersi a loro come a quelli che sistemano gli scaffali al supermercato che nemmeno loro sanno dove si trova il sale grosso non serve a niente.

La vecchiaia e la malattia bisogna accarezzarle come si fa con la giovinezza e la salute, ho pensato proprio così mentre stringevo la mano a mia mamma che è in ospedale. E tra tutte le cose che potevo pensare di lei mentre mi parlava con la voce di chi ha il morale sotto i piedi è che ha badato all’approvvigionamento di biancheria intima a suo figlio, che poi sarei io, abbondantemente oltre il conseguimento della maggiore età.

Be’ che cosa avete da ridere? Le dicevo che avevo la mutande con i buchi e il rischio era che, in caso di incidente, al pronto soccorso tutto insanguinato qualcuno avrebbe potuto pensare male di uno strappo sulla cucitura dell’elastico. Così il pomeriggio della successiva giornata di mercato mi trovavo sul letto una risma di boxer blu perfettamente della mia taglia, una missione compiuta con una precisione tale che io non sarei mai riuscito a portare a termine così con successo. Ma nemmeno oggi, anche se mi tocca fare da me. Al massimo, appunto, ancora tra gli scaffali del supermercato, non trovando il sale grosso posso rifugiarmi nella corsia dell’intimo-uomo che frequento con interesse. Ho un debole per l’abbigliamento che si trova esposto nei supermercati anche perché oggi non è più solo appannaggio degli anziani. Quando cerco la mia taglia di camicie a dieci euro mi guardo intorno e capisco che non sono da solo. Per la biancheria intima posso avere a disposizione un vasto assortimento e stare al riparo dalle figuracce con le commesse dei negozi, con le quali sarei costretto a tirare a indovinare se per me ci vuole una M o una L. Solo mia mamma conosce questo segreto, devo spicciarmi a convincerla a dirmelo prima che sia troppo tardi.

nuove opportunità professionali nel settore dell’assistenza alla terza età

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Ci stiamo scatenando a ballare Too Shy dei Kajagoogoo, pensate come siamo ridotti, ma in coda al pezzo io mi devo fermare perché non tengo più il ritmo, troppa fatica alla mia età, in più ho una vescica sopra il tallone e non voglio sembrare più dinoccolato camminando di quanto non lo sia già. Dj Pignatta (si chiama Giuseppe da cui il diminutivo Pino da cui il nome d’arte Pignatta e non biasimatelo, si fa chiamare così dal 1982) lo ha lasciato sfumare sino alla coda per partire poi in ritardo con un pezzaccio techno primi anni 90. L’amico Vito resta in pista, la malattia che gli sta erodendo la lucidità gli ha anche piallato quel rigore che, almeno fino ai sessanta e rotti, lo induceva ad additare con sdegno il selezionatore musicale del caso come un venduto alla linea dell’accostamento acritico tra stili a vantaggio del facile successo sul pubblico danzante. Che, papale papale, significa anni ottanta di un certo tipo con anni ottanta di un certo tipo, anni novanta con anni novanta eccetera. Non è che solo perché sono cose passate hanno meno dignità artistica e si può fare un minestrone. Anzi.

Il signor Vito, come lo chiama la sua badante dell’est che gli sta appresso nemmeno fosse la moglie che non ha mai avuto, probabilmente oggi crede di essere nel club in cui trascorreva le domeniche pomeriggio a sedici anni e si dava da fare con quelle ragazzine che si agghindavano con i nastrini sulla fronte, le più sfrontate avvolte dai maxi-pull stretti in vita, e ballava loro intorno in una sorta di danza propiziatoria all’accoppiamento. Che poi, diciamocelo, a studiare un po’ si scopre che ci si muove a ritmo o per accattivarsi i favori di una divinità oppure per preparare il terreno all’atto riproduttivo. Ricordo la storia romana ma anche certi documentari sugli animali. Alessia, la badante dell’est, allora lo va a prendere in pista perché Vito sembra fin troppo esagitato nelle movenze ma mi verrebbe da fermarla per dirle che non è vero, sessant’anni fa si ballava proprio così e se Vito sta prendendo il volo verso una realtà che non possiamo capire probabilmente si sta ricongiungendo con un se stesso che non esiste più se non nella sua testa.

Ma preferisco non intromettermi, sono già abbastanza severo esprimendo – pur non interpellato – lo sdegno di dover accettare il modo in cui le iniziative per la terza età siano organizzate in un posto come il nostro, quando vorrei raccontare quello che avevo visto a Berlino tanti anni fa, come ci si prendeva cura per i vecchi all’estero. Ma non interessa a nessuno. La rassegnazione di impegnarsi ad accettare un surrogato di divertimento fa parte del nostro status di cittadini di serie B in mano al partito dei giovani, soprattutto ora che è stata vietata Internet agli over 65 e che, amara ricompensa, ci sono stati lasciati solo gli scarti e tutta la fuffa del secolo in cui siamo nati, compresi i Kajagoogoo e Too shy hush, hush, eye to eye che mi risuona ancora nella testa, a tempo con il battito che sento pulsare nelle scarpe strette. Mi affretto a terminare l’analcolico bio ormai a temperatura ambiente e mi avvio verso la casa di riposo forzato, per non perdere le notizie della sera alla tv.

con tanti inverni sul groppone

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Qualcuno dice senza peli sulla lingua che i vecchi non si addicono al nostro tenore di vita, altri lo pensano e basta e si limitano a farsi il meno ingombranti possibile quando gli si siedono vicini per evitare il contatto fisico nemmeno fossero degli appestati. Ritraggono i lembi del cappotto, le borse, persino i piedi. O forse è proprio così, quelli di una certa età che non si possono permettere la bella vita sono in grado di infettare del loro amaro presente noi che stiamo al di qua della linea della vita. Eravamo già abbastanza malati di eterna gioventù senza che ci si mettessero pure i socialcosi. Così è facile sorprendere le facce di disgusto che facciamo in loro prossimità, tratteniamo il respiro come si fa quando cambiamo la lettiera zozza dei gatti nemmeno se dal loro respiro perdessimo le scorte di modernità che abbiamo accumulato con così tanti sacrifici. Il giorno in cui si diventa vecchi, quando cioè non c’è più nessun appiglio valido per rimanere nel settore della società attiva, dovrebbe essere definito per legge un po’ come la pensione e lo so che tutti vanno dicendo che noi la pensione ce la possiamo scordare. E lasciate perdere sia quelli che hanno risorse in abbondanza e che tarellano da una parte all’altra del pianeta in un tour continuo di scoperta in extremis, e sia quelli al cui sostentamento contribuiamo noi con le nostre ritenute alla fonte, magari a casa già a nemmeno sessant’anni a far impazzire con la loro energia sprecata amici, parenti e, soprattutto, vicini di casa. Non dimenticatevi di quelli per i quali la vecchiaia è solo un dato anagrafico che non implica la perdita di certi diritti acquisiti come fare le code come tutti gli altri al supermercato, viaggiare su Fiat Punto o Ford Focus a velocità anzi a lentezze inaudite e al limite dell’incolumità comune, utilizzare i mezzi pubblici nelle ore che per convenzione sociale si pensano essere dominio di giovani impiegati tirati a lucido per competere al meglio nei meccanismi di sopravvivenza dell’occidente sviluppato. Io ne incontro alcuni, sapete, e nessuno potrà convincermi che qualcuno di questi anziani non prende la metro per recarsi quotidianamente alla propria porzione di orto dall’altra parte della città, vestito con gli abiti più adatti per esercitare l’attività di contadino semi-professionista nel migliore dei modi.

posso provare che non si tratta di stalking

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In tutte queste case in cui rapido c’è qualcuno che si serra dentro per passare una notte al sicuro, immaginate un nodo di una rete invisibile che pulsa dentro e fuori tutti i pensieri che vanno a depositarsi in un archivio più grande dei data center di Google. Ecco, io che potrei essere tuo nonno con un po’ di sforzo ma di sicuro tuo padre già bello avanti con l’età, io l’intelligenza artificiale me la immagino così. Un infinito sistema operativo che riconosce le cose che uno si immagina perché cifrate secondo standard aperti e che vanno ad alimentare una sorta di Content Management System universale a cui anche io che sono vecchio e che alle cinque dell’alba già mi è passata la voglia di stare a letto posso accedere con un qualsiasi motore di ricerca e trovare le informazioni giuste. Ecco perché non ti devi stupire se ti aspetto sotto casa con gli stivali di gomma, la camicia a quadri rossa e senza dentiera. L’hai pensato tutta la notte, l’anziano che esce ogni mattina per una sorta di ricognizione. Ma ti fermo subito: sei fuori strada, cara mia, fa parte del mio percorso quotidiano per sgranchire le ossa. Al massimo posso approfittare di questo potenziale di conoscenza totale per prendere ispirazione dalla tua freschezza e valutare, nel caso ci fossero davvero altre possibilità di ripartire da capo in un secondo o terzo o ennesimo momento, come mi piacerebbe essere da giovane. Posso dirti che cerco qualche aiuto per favorire la casualità degli eventi. Se sono in anticipo o sei tu quella in ritardo mi soffermo a leggere i volantini gettati per terra e inzuppati di questa pioggia che sembra non finire mai, e interpretare i prezzi dei dispositivi a risoluzione così perfetta e adatta a farci vedere come dovrebbero essere le cose. Mi chiedo se i colori degli sfondi delle home e dei desktop di tablet e smartphone esistano davvero in natura o ci sia una componente soprannaturale in certi algoritmi. Ma voglio essere sincero con te. Mi ritengo fortunato di aver conosciuto felicità diverse dalle esperienze sintetiche condotte in stanze ricostruite su linee guida di cataloghi Ikea, ambienti privati in cui viene da passare e guardare e andare oltre mentre bambini saltano sui divani e genitori e figli grandi si sforzano in astrazioni che sempre più sono distanti dalla nostra natura. Io almeno me la sono evitata e sono orgoglioso di aver abboccato al mito dei mobilieri brianzoli, del distretto degli artigiani e di tutto il suo indotto. Avere giovinezze sfasate ma solitudini sincroniche è uno dei mali della società che consente il rimescolamento generazionale, voi dovreste essere altrove a conquistare il mondo e noi vecchi qui, chiusi da qualche parte, a contare i giorni che ci separano dai ricordi che in avanti è meglio non pensarci più.

quando il nonno va in tilt è meglio una terapia d’urto

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Uno dei tanti motivi per cui questo 2057 che volge al termine passerà alla storia è il curioso caso del novantenne in avanzato stato di demenza senile, divenuto fenomeno virale per i suoi sproloqui e atteggiamenti più che originali.

Il veterano del post-punk, così lo chiamano i frequentatori del Circolo “G. Casaleggio” di Milano, uno dei luoghi storici della cultura del partito di regime radicato sul territorio che, in orari diurni, accoglie molti anziani del quartiere alla ricerca di un centro di aggregazione dove trascorrere il tempo, scambiare quattro chiacchiere e giocare ai videogiochi dei loro tempi. Ma il signor R. B., novantun anni il prossimo maggio, è ormai una vera e propria attrazione locale, suo malgrado.

Si presenta conciato alla moda del secolo scorso, quando il signor R. doveva essere proprio una testa calda, oltreché un musicista dilettante ma attento alle tendenze. Recita a memoria scioglilingua che, a detta degli storici della musica antica, sono riconducibili al precursore di quella che è oggi la principale forma di espressione artistica. Il suo cavallo di battaglia è il rap di “Fight da faida” di un autore della fine del xx secolo, tal Frankie Hi-Nrg Mc, uno dei tanti dissidenti nostalgici della repubblica spazzati via dalla rivoluzione del quarto Vaffa-day. Il signor R. si diletta anche nelle riproduzioni di ritmi obsoleti con la bocca, durante le quali i suoi conoscenti sconsigliano la sosta nelle sue vicinanze, facile immaginare il perché. Cita di continuo artisti e gruppi musicali ormai cancellati dalla memoria comune popolare e digitale.

Secondo il geriatra che lo ha in cura, si tratta di una forma di demenza, in cui tutta una serie di condotte volutamente dementi, esercitate durante la sua vita, hanno preso il sopravvento sul comportamento. Se avesse trascorso la vita raccontando barzellette, abitudine comune tra gli anziani prima della rivoluzione digitale e della consacrazione del pop come arte nobile, probabilmente ora si limiterebbe a far arrossire i suoi congiunti con qualche freddura spinta, come usava tra i nonni di una volta privi dei freni inibitori.

“Sicuramente mio marito ha condotto una vita all’insegna dell’eccentricità, sotto questo profilo” chiarisce F. D., la moglie novantunenne ma di tutt’altra lucidità mentale. “Ha passato buona parte della sua vita a imparare testi di canzoni, a storpiare frasi e parole per lavoro, ad armonizzare qualunque melodia compresa la sirena dell’ambulanza l’ultima volta in cui è stato necessario ricorrere al soccorso, e ad accattivarsi il plauso dei suoi contatti sui social network con contenuti sempre pensati per suscitare simpatia”.

La signora F. racconta qualche altro aneddoto a cui avrebbe dovuto prestare maggior attenzione, presagi di difficile comprensione del decorso mentale del marito. “I primi tempi della pensione, intorno ai 75 anni, li ha trascorsi guardando per intero le serie di cartoni animati preferite da nostra figlia quando era piccola, come Il giro del mondo in 80 giorni o Sherlock Holmes”. Decine di episodi visti senza interruzione e per più volte, con le stesse reazioni emotive. “Versava spesso qualche lacrima durante la sigla, perché si ricordava tutti i momenti trascorsi insieme a lei, cui è fortemente legato, malgrado viva negli Stati Uniti ormai da più di trent’anni”.

Decisamente un segnale di depressione che non lascia ombra di dubbio sull’equilibrio del signor R., una persona facile ai sentimentalismi ma anche capace di azioni che hanno dell’incredibile. “Qualche anno fa”, continua la signora F., “ha riesumato un vecchio strumento musicale elettronico che deve aver conservato a mia insaputa, nascosto da qualche parte. Poi tramite il Grande Archivio Informatico dei Cittadini ha rintracciato un paio di suoi amici musicisti ancora vivi, con i quali si è incontrato per realizzare un suo antico progetto: suonare i Joy Division da vecchio e vedere l’effetto che fa”.

Mai sentito una comportamento così bizzarro. Al Circolo Casaleggio non è più una novità. Quando accenna passi di break-dance malgrado la precaria mobilità i gestori comprendono che è il momento di avvisare la consorte che si precipita, per modo dire, a togliere l’arzillo novantenne dall’imbarazzo. “Lo riaccompagno a casa e cerco di fargli capire che quei tempi sono passati, che da allora ad oggi c’è stata in mezzo tutta una vita di cui non ci possiamo lamentare. Siamo siamo stati molto fortunati”. Ma il metodo più veloce per tranquillizzarlo potete immaginare in cosa consiste. “Ci mettiamo subito in videoconferenza con nostra figlia, che con grande pazienza e amore gli si rivolge come faceva da piccola, e lui si rilassa, si mette il cuore in pace, contento come è sempre stato”.

eleganti dentro

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Non ho ancora ben chiaro come mi piacerebbe essere quando sarò vecchio, anche se qua e là ho già espresso qualche desiderio, per esempio quello di riformare una band con cui suonavo intorno ai vent’anni  – e che mi ha dato l’imprinting su quale sarebbe diventata poi la mia idea di far parte di un gruppo – e lo farò in formazione originale. Immaginatevi quindi un gruppetto di ottuagenari che suonano new wave. E di un’altra cosa sono certo. Quando sarò vecchio adotterò il codice di eleganza casalinga di mio suocero. Il Franco, che ha più di ottant’anni, esce pochissimo di casa, passa il tempo a leggere il Corriere e a guardare le foto delle sue nipoti sul computer. Ogni tanto va a bere il caffè al bar con mia suocera, scende a prendere il pane alla mattina, ma per il resto è difficile schiodarlo dai suoi ambienti. Malgrado ciò, in casa veste sempre impeccabilmente, sia che aspetti le famiglie delle figlie al pranzo della domenica o che non debba ricevere nessuno e si accinga a trascorrere la giornata con la moglie. Nel primo caso apre la porta agli ospiti con il golf e la camicia, sempre. Molto spesso ha anche la cravatta a cui comunque non rinuncia mai quando va fuori. Completano il quadro i pantaloni grigi e, unico elemento da comodità domestica, le pantofole, comunque sempre di un certo tipo. Unica eccezione quando non sta bene e aggiunge al pullover la sua giacca da camera, una di quelle che si vedono nei film di una volta indossate da attori di un certo tipo che ti aspetti che aprano lo sportelletto del mobile bar per versarsi un brandy. Ecco, se mi verrete a trovare quando avrò una certa età, sempre contando di arrivarci come c’è arrivato lui, mi troverete così. Niente felpe, niente tute, niente capi da lavoro. Plus1gmt in golfino, camicia e cravatta, seduto sulla poltrona molto probabilmente con un libro in una mano e l’altra poggiata sulla nuca di un gatto amorevole e rispettoso dei vestiti di classe del suo padrone.