che cosa ci insegnano le metafore degli anni 90

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Ieri pomeriggio mi sentivo così:

certo, un po’ meno figo, ma l’approccio alla vita da seguire ogni tanto è che qualcuno a spallate fa piacere anche prenderlo. Un metodo un po’ fascista perché il buon Richard Ashcroft in quel video non risparmia nessuno. Vecchiette, ragazze, afroamericani, e sapete come vanno le cose di questi tempi. Un tempo ci sarebbe bastata quella giacca di pelle e quella densità di capigliatura, e con così tanta sfrontatezza di certo ce ne saremmo fottuti dei passanti e ci saremmo dedicati a ben altri tipi di scontri tra corpi umani. E se ci riflettete “Bitter Sweet Symphony” è un brano che è ricco di ben altri rimandi e allegorie. Intanto, se vi ricordate, i The Verve hanno avuto una vita lunghissima ma molto travagliata per varie storie come si può leggere qui, ma con pochi riscontri senza contare che poi, raggiunto il successo mondiale con Urban Hymns che li ha resi celebri in lungo e in largo, sono più o meno spariti dalle classifiche. Quindi il buon Richard c’ha poco da fare il gasato per Hoxton Street.

Poi c’è la faccenda dei diritti d’autore. La sviolinata in loop che si sente per tutto il pezzo – che ricordiamo è un unico perpetuo ritornello – è un campionamento della canzone dei Rolling Stones The Last Time nella versione della The Andrew Oldham Orchestra (trovate tutta la storia qui). La morale è che fai un pezzo della madonna e poi per un capriccio estetico decidi di metterci un sample di un brano dei Rolling Stones e finisce che tutti i diritti vanno a loro e anche se balzi in cima alle classifiche e conquisti la fama imperitura e mondiale di soldi ne becchi una misera parte rispetto a quelli che meriteresti. La metafora è che quindi nella vita è meglio fare meno i cazzoni e portare a termine le cose come si deve. Finisce che fuori dal video il primo che spintoni e che si è svegliato male ti prende a sganassoni su quella faccia da inglese che ti ritrovi.

Così, alla fine, se le expectations sono quelle di vivere in un brano dei The Verve, la reality – sempre anni 90 – è apparire al prossimo come un balletto su un pezzo di Fatboy Slim.

lungimiranza

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Considerando che oggi non sei venuta senza nemmeno avvisarmi un po’ ci godo che ti sei persa la scena. Ma stai tranquilla, il mio orgoglio dura nemmeno il tempo della prima fermata del treno locale che ci porta ogni giorno in città a frequentare lezioni per il nostro comune corso di studi accademici. E considerando che a metà anni ottanta della telefonia mobile non c’è nessun sentore nell’aria, posso anche capire la situazione. Hai le tue cose o ti sei svegliata con il mal di testa e chiamare qualcuno alle sei e tre quarti del mattino non sta bene. Non è così urgente. E ancora considerando che i posti su quel tipo di convogli sono da quattro, l’averti vicina o di fronte avrebbe impedito l’avverarsi della combinazione, il caso limite che solo qualche settimana fa abbiamo decretato come la sintesi del genere umano del nostro tempo, almeno di quella porzione che siamo abituati a frequentare. Quindi c’era l’assessore ai lavori pubblici che teneva aperta la copia del quotidiano locale con la sua foto in prima pagina, e chissà in quanti l’hanno notato oltre a me. Era seduto di fronte e con il giornale spalancato occupava anche buona parte dello spazio che il mio abbonamento mensile (per gli studenti del 1986 ha davvero un costo ridicolo, a posteriori di certe inefficienze del trasporto pubblico è facile trovare le radici) mi concede di diritto. Stava sicuramente leggendo la sua intervista strabordando con il gomito sul sedile al suo fianco, che era occupato da quello che chiamiamo Bela Lugosi, anche oggi tutto vestito in nero. Bela ha trascorso il fine settimana in quella cantina puzzolente dove c’è lo studio di registrazione e stamattina, per la prima volta, ha potuto affrontare il viaggio in città ascoltando con il walkmen la demo del suo gruppo che, al giro di boa del decennio successivo, avrà un effimero successo da una botta e via. Di fronte a Bela, quindi seduto accanto a me, quello che chiamiamo Rufus leggeva una copia del suo libro che, anche se pubblicato da un editore del posto, è pur sempre un libro stampato, rilegato e distribuito nelle librerie. Questo non toglie la stranezza di un autore che, dopo aver scritto e controllato chissà quante volte la sua opera, ha ancora la speranza di trovare passaggi in grado di emozionarlo. Tutto questo per dire ti sei persa l’umanità concentrata su se stessa che dev’essere la risposta a quell’autocommiserazione che ci facciamo ogni giorno e cioè che, secondo noi, a me e te non ci regala mai niente nessuno. Niente di più dell’ordinario. Ma forse perché non amiamo abbastanza noi stessi come fanno l’assessore, Bela il cantante e Rufus lo scrittore? Per questo poi vedrai che non ci sposeremo ma nemmeno ci concederemo un’effusione entry level, meglio portare verso altre polarità opposte i segni negativi con cui, a detta nostra, sono marchiate le etichette dei nostri vestiti di seconda mano.

educazione al pensiero positivo

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Dare valore a quello che si è capaci di fare è una delle grandi sfide per accaparrarsi o spartirsi gli ultimi spiccioli rimasti nell’economia mondiale, ed è soprattutto aggiungendo lustro ai propri prodotti facendo credere che sono diversi dagli altri, che ci sono costati fatica e che sono nobilitati dal nostro estro, che talvolta riusciamo a ottenere molto di più di quello che ci spetta. Insomma, sembra che il marketing debba essere l’ultima cosa a esser spazzata via dalla crisi malgrado tutti si dicono pronti a stringere la cinghia partendo proprio da lì. Il marketing individuale non corre per nulla questo rischio perché è a costo zero e perché presunzione, boria, egocentrismo e esuberanza dell’ego, alla base del mettersi in evidenza a ogni costo, sono gratis e sempre disponibili in ampia abbondanza. Vediamo ogni giorno sul lavoro persone fare le stesse cose che facciamo noi, per esempio, ma comunicate meglio a colleghi e ai propri responsabili, ed è facile prevedere chi trarrà più vantaggi. D’altronde su questi aspetti per nulla superficiali e accessori c’è chi ha costruito un impero, e non venite a dirmi che se lavori nell’advertising come prima cosa devi essere in grado di promuovere te stesso. Io provo a farlo, per esempio, ma si vede lontano un miglio che non sono convinto di quello che faccio e ho appurato che gli altri sono molto più in gamba di me, e non solo in questo ambito, probabilmente lo sono su tutti i fronti e basta. D’altronde il mondo funziona così, il merito premia e fa volare in avanti le persone più brave di numerosissime caselle, in questo perpetuo gioco dell’oca che è la vita. Qualche giorno fa sono stati comparati due report sulle attività in corso tra me e una collega, si doveva individuare la risorsa più libera a cui affidare un lavoro rognoso, per non dire una rottura di coglioni incommensurabile. Io ho risposto dicendo che avevo dei testi da scrivere, la collega che aveva tonnellate di copy. Indovinate chi ha perso.

al via la prima settimana mondiale dedicata al culto della personalità

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Inizia con oggi lunedì 30 marzo la prima “Settimana mondiale del culto della propria personalità” che vedrà numerose iniziative individuali in tutto il mondo volte all’imposizione del sé sugli altri. L’iniziativa, pensata proprio con l’obiettivo di risvegliare i sentimenti egoriferiti nelle persone meno ambiziose, sarà l’occasione per tutti coloro i quali non hanno mai saputo ritagliarsi qualche spazio nelle esistenze altrui. Gli organizzatori contano proprio sul fatto che i presuntuosi full time e le piccole, medie e grandi celebrità di ogni disciplina – che non hanno bisogno di mettersi in mostra – si facciano finalmente da parte aderendo con entusiasmo all’iniziativa, in modo che le donne e gli uomini più bisognosi di autostima riescano finalmente a imporsi almeno in questa occasione. Ma i partecipanti potranno anche sfruttare i numerosi casi di coloro i quali hanno dato forfait, consapevoli che nemmeno una campagna creata su misura possa consentire loro di abbattere le barriere della timidezza, dell’umiltà e del posizionarsi nelle retrovie. Sono previsti anche percorsi guidati e la possibilità di seguire seminari sulll’amor proprio, l’autodeterminazione in campo artistico, demo sulla diffusione dei consigli non richiesti e auto-centralità sociale. La “Settimana mondiale del culto della propria personalità” sarà ovviamente seguita sui canali social e digital, che da tradizione sono gli ambienti in cui tutti ci sentiamo più indispensabili. Saranno premiati i migliori tentativi per attirare l’attenzione, i casi di web-stalking più efficace, i selfie più espressivi, quelli più hot, il tutto mentre una giuria di star dell’Internet che conta sceglierà le battute più ironiche da pubblicare sulla pagina Facebook dedicata all’Ironia su Twitter, un divertente esempio di transmedialità a testimonianza che per il culto delle personalità i più importanti brand duepuntozero sono pronti a collaborare per garantire la massima visibilità. Tutti i partecipanti comunque riceveranno un simpatico gadget e potranno leggere il proprio nome su una infografica dalla lunghezza record (oltre i 10km di jpeg) che sarà condivisa allo scadere della mezzanotte di domenica prossima. Non poteva mancare l’hashtag #semocult su cui sarà possibile seguire tutti gli eventi della settimana e chiunque potrà pubblicare la propria esperienza di culto. Buona auto-affermazione a tutti!

sentirsi come beaker dei muppets

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Qualche giorno fa mi sono sentito come Beaker, e se siete un po’ avvezzi ai Muppets conoscerete il modo che ha di parlare e di relazionarsi con gli altri pupazzi. Ansia e vittimismo da incompreso stavano prendendo il sopravvento e il transfert si è avviato. Purtroppo non ho più in comune con lui la capigliatura, ma tant’è. Uno stato d’animo che comunque ho saputo valutare come un passo in avanti rispetto ad altri punti di riferimento dello stesso ambiente, e mi riferisco ai due vecchietti che in uno splendido isolamento dalla massa, al sicuro sul loro palchetto, spandono il loro sarcasmo senza confondersi con el pueblo sottostante. Atteggiamento in cui mi ritrovo sempre più spesso. La colpa è l’età che avanza, ma la colpa siete anche tutti voi, non certo voi che leggete ma voi intesi come tutti gli altri, voi che occupate il territorio limitrofo al mio fino ai confini di questo Paese, che affollate gli spazi di discussione con modalità che nemmeno i compagni di classe delle elementari di mia figlia, che costruite le vostre opinioni con aforismi inventati e impaginati a cazzo su jpeg diffuse su pagine Facebook che immeritatamente raggiungono decine di migliaia di persone, che indossate stivali bianchi su leggings neri, che tenete senza interruzione in mano quella tavoletta touch con cui vi sentite in posizione apicale rispetto a una rete che basta una galleria e siete fuori dal mondo. Quindi meglio impersonare il ruolo di chi si esprime in un idioma così, che nessuno capisce bene che cosa dice, lo si può immaginare ma, se occorre, si può far finta di nulla. Ho trovato su youtube i cinque momenti top di Beaker, potrei esserci io, tranquillamente, al suo posto.

modello unico

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Ogni tanto, scherzando, dico a mia moglie che la mia condanna è quella di dover discutere con persone alle quali non riesco a far cambiare idea e che quasi mai nessuno ascolta i miei consigli. Un vero e proprio contrappasso dantesco, il girone di Cassandra, che mi pare che nell’opera dantesca non ci sia, chiederemo a chi di competenza. E mi riferisco a lei – mia moglie, non Cassandra – che comunque tutto sommato è quella che mi ascolta di più. Mi riferisco a mia figlia che invece non cambia idea ma lì per fortuna, per le cose importanti, laddove portare come esempio la propria esperienza non funziona, prevale il ruolo di genitore e, quando necessario, subentra l’imposizione.

Mi riferisco al mio capo sul lavoro. In tutti questi anni non credo di esser mai riuscito a fargli variare di un millesimo di grado la rotta da mantenere, d’altronde l’agenzia è sua, è lui l’imprenditore e sarà giusto così. Anche se poi mi è accaduto più volte di inviare di nascosto le mie proposte al cliente scartate da lui in fase di selezione e che il cliente scegliesse una di queste, e io mi dico che lo sapevo perché, lavorandoci più a contatto, conosco il cliente meglio di lui. Mi riferisco agli amici e ai conoscenti con i quali molto spesso si discute di attualità e di politica, si parte rispettivamente dai punti A e B e si tracciano linee parallele che se va bene si ritorna all’A e B perché talvolta ci si ritrova a punti C e D e ci si saluta imbronciati e magari si pensa che è meglio non frequentarsi più, che non è detto sia un male.

Mi riferisco ai miei genitori, che in quarantacinque anni posso dire con assoluta certezza di non essere mai riuscito a convincere di nulla, malgrado il loro appartamento sia zeppo di conseguenze delle scelte prese un po’ così, senza dare retta a una voce che magari da fuori e non coinvolta in processi e decisioni poteva essere utile ascoltare. Ci sono due aspetti che entrano in gioco, in questo che probabilmente è il caso più evidente di scarsa autorevolezza come lo sarebbe di chiunque. Intanto il lavoro che svolgo, cioè non ho un vero e proprio ramo di competenza per il quale possa essere considerato da loro una autorità – dubito che possano aver bisogno delle mie capacità di scrittura creativa – e quindi per tutto la gamma di argomenti sui quali ho un parere, questo di default vale meno del loro per non dire di chiunque altro. A partire dal modello di tv da prendere fino alle modalità con cui vendere l’automobile che mio padre ormai non può più guidare: i miei genitori hanno stabilito un prezzo suggeritogli da un primo possibile acquirente che poi ha mollato il colpo, quindi tutt’altro che obiettivo, poi si sono basati solo sul passaparola fino a quando un nuovo interessato ha visto il veicolo e ha acconsentito. Ma non ha lasciato nemmeno un acconto e dopo quasi un mese dalla sua visita l’auto è ancora lì, parcheggiata nello stesso punto sotto casa. Tutto questo mentre io avevo verificato il prezzo di mercato, il triplo della loro proposta, messo un annuncio on-line ed ero stato contattato più di una volta per chiudere la vendita. Ma niente, loro avevano dato la parola a quello che poi non si è fatto più vedere e ancora stamattina, dopo averle fatto gli auguri per il suo compleanno, mia mamma mi ha pregato di aspettare ancora qualche giorno prima di pubblicare un altro annuncio in Internet, “che magari si fa vivo”.

Ecco, quando ogni tanto dico a mia moglie di essere destinato a discutere con persone alle quali non riesco a far cambiare idea, lo dico scherzando ma mica tanto. Per non parlare del ritorno di tutto questo sull’autostima, la cui carenza riempie pagine di questo blog dal giorno della sua fondazione, anche se non sempre la vedete indicata tra le tag sotto ai post.

amarsi, un po’

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Le giornate campali in cui si mette in discussione tutto le senti arrivare dalla notte prima, perché si dorme poco e male, fa troppo caldo sotto il piumone invernale che è ancora lì visto che fino a nemmeno sette giorni fa c’era la neve e ci si alza sudati a bere una volta, poi per andare in bagno, poi a bere una seconda volta e alla fine un’ora buona prima della sveglia si è già con gli occhi spalancati e si inizia di buon mattino a mettere in discussione tutto. Poi ti prepari ed esci e le strade sembrano deserte, il che è anomalo, cosa c’è di diverso da ieri alla stessa ora? Vuoi forse farmi credere che anche gli altri hanno pensato di mettere in discussione tutto? Anzi, magari sono già arrivati a una conclusione prima di te, sono così determinati da aver deciso di passarsi al setaccio, punto per punto. L’ordine del giorno? Cos’è che sto andando a fare in ufficio, cos’è questa schiavitù della routine, basta con le code in automobile, perché non ho mai fatto in modo affinché sia tutto diverso. La cosa strana è che i pendolari che normalmente stanziano ordinati e silenziosi nella remissiva sopportazione dell’ennesimo ritardo li vedi ridiscendere le scale e fuoriuscire dal sottopassaggio. Hei dove state andando tutti quanti? Il treno sta per arrivare, ma siete ammattiti tutti d’un colpo? Chi è che sobilla, ci si chiede. I gruppetti che viaggiano quotidianamente insieme si sparpagliano e, come tutti, spariscono in fretta e in furia. E allora comprendi anche il perché l’ingresso della scuola era stranamente poco popolato, altro che riunione sindacale. Genitori, insegnanti e figli, anche loro sono stati assaliti dalle grandi domande.

Così è ufficiale, ecco dove volevano portarti tutti i segni premonitori, nulla è come sembra, tutto dev’essere messo in discussione. E ti chiedi da dove iniziare. Ma certo, comincia da quello che fai. Sei convinto di saper comunicare, vero? Ma guarda, bbbello, – senti la voce insolente del tamarro di periferia che c’è in te, la tua coscienza ha fatto le scuole a Quarto Oggiaro – guarda bbbello che la tua non è mica arte, bbbello, devi solo saper convincere, devi indurre gli altri a comprare. Che parole usi per aumentare le vendite delle aziende che si affidano a te? Pensi che sia sufficiente scrivere per comunicare? Non devi mettere te stesso, devi pensare come penserebbe chi sta dall’altra parte con i soldi alla mano, a loro non interessa leggere e sorridere della tua arguzia. La pubblicità è qualcosa di più, o per lo meno qualcosa di diverso. Tu non sei un copy, se solo un giornalista mancato. Ecco, a quel punto hai fatto il tuo dovere, hai celebrato degnamente la giornata del mettersi in discussione con tutta la durezza necessaria per infierire al meglio sulla tua autostima, nel frattempo le cose fuori si sono normalizzate. Qualche auto si è mossa e qualche travet è ricomparso con il suo best seller in mano, tutto sta riprendendo come se un domani ci fosse veramente e ognuno dovesse tornare a ricoprire il ruolo che, nella propria esistenza, conduce da sempre. E tutto perché non ci si vuole bene abbastanza, non si è mai abbastanza teneri con sé stessi. Certo, se la vita fosse una canzone di Otis Redding, tutto sarebbe più semplice.