due volte saluti

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Le gradinate dell’area spettacoli del campeggio sono ancora gremite. Ma anche quest’anno la stagione gradualmente volge al termine, è un dato di fatto che emerge anche dal rendimento degli animatori, ogni sera che passa sempre meno attenti nel suggerire i passi giusti nei balli di gruppo. Come biasimarli, così professionali in un lavoro del quale sfuggono i contorni, perché li vedi sempre all’opera, dall’acqua gym della mattina all’intrattenimento serale, passando per tutta la serie di attività dedicate ai più piccoli. La differenza tra il campeggio e il villaggio turistico in Italia è sempre più labile, da questo punto di vista, tanto da consentire a chi usufruisce dei numerosi pacchetti all inclusive argomenti fondati per commenti maligni sull’unica differenza vera, il prezzo; ma è vero che il campeggio è il villaggio vacanze dei poveri? Tsk.

Noi campeggiatori sappiamo benissimo non essere così, diamine, c’è un abisso che separa le due correnti di pensiero. Poi è chiaro che una piazzola e preparare pasti così così su fornelli al riparo dal vento costa molto meno rispetto alla paccottiglia disponibile presso i vari club in riva al mare, almeno io non potrei permettermelo, ma nella nostra superiorità morale che ci arroghiamo e che ci avvicina, solo in questo frangente, alle più sobrie popolazioni europee sappiamo – il soggetto è noi rudi campeggiatori – che solo i dolori della schiena che riposa quasi sulla nuda e umida terra danno il vero senso della vacanza, sanciscono la reale rottura con la routine degli altri mesi dell’anno, fatta di materassi ortopedici e di bidet la cui mancanza genera idealizzazioni a veri e propri oggetto di culto. Ma è indubbio che c’è qualcosa che sta cambiando, e non si tratta di un aspetto che poggia su motivi infondati. I gestori dei campeggi italiani pensano, giustamente, che anche i figli dei turisti meno abbienti come me abbiano serie difficoltà nel divertirsi con il gioco destrutturato, dopo aver trascorso il resto dei mesi dell’anno ingabbiati in agende serrate costellate di impegni e parcheggi vari. Eh, bella scoperta, se entrambi i genitori lavorano. Quindi l’extra a cui nessun italiano vorrebbe rinunciare è l’intrattenimento dei propri pargoli, soprattutto se la sua mancanza è in grado di precludere l’effetto benefico della vita all’aria aperta, imponendo agli adulti il senso di colpa di dover comunque lenire la noia dei più piccoli. Un concetto che si basa su un fondamento errato, perché il campeggio esiste da quando esistono i turisti rough, e i figli rough dei turisti rough si divertono anche lanciare sassi nel mare. Falso, obiettano i ds-addicted. Schiavi del consumismo, ribattono i paladini della vita outdoor.

Tutto questo, comunque, ci riconduce qui, sulle gradinate dell’area spettacoli all’interno di un campeggio italiano che, tra gli extra, offre ai suoi ospiti l’animazione per i bambini, che alla sera assume le sembianze della baby dance. Genitori ustionati e lucidi di crema che sorridono di fronte alle mossette dei loro bimbi, uno o più intrattenitori i quali, spalle al pubblico, suggeriscono i passi a tempo con una playlist piuttosto standard, i nostri figli, rivolti verso di noi, nella loro scoordinata ingenuità a riprodurre la giusta sequenza di mosse che li conformizza una volta di più, non rimane più nulla di libero, nemmeno il ballo che probabilmente non saprebbero fare, una nuova cosa da imparare, d’altronde imparare a essere come noi è il loro mestiere, il loro destino.

La scaletta della baby dance, dicevo, è quasi sempre la stessa ovunque. Ma tra un gatto puzzolone e un mi piaci se ti muovi evidentemente estratto dal video scaricato da youtube, vista la pessima qualità di bitrate che il deejay tenta maldestramente di occultare improvvisando una cassa con la voce, ecco l’evergreen, la colonna sonora del divertimento danzereccio transgenerazionale, secondo solo a Disco Samba: il mitico (a detta di tutti) Gioca-Jouer. Il ballo a comando per eccellenza, base marcia militare shuffle con voce di kapò che impartisce gli ordini sul movimento da eseguire. Ora non è il caso che lo descriva qui, è un brano che conoscono tutti.

Ma dopo anni di ascolto forzato, la dimestichezza acquisita con la sequenza dei passi da riprodurre mi ha concesso di soppesare maggiormente il testo, traendone una profonda speculazione filosofica. Al termine del primo giro di movimenti, Cecchetto rompe la barriera della finzione aristotelica e si rivolge direttamente al pubblico, anticipando che a breve riprenderà la lista dei comandi. E, soprattutto, ordina di fare attenzione alla differenza tra camminare e nuotare. Ora, mi sono chiesto, camminare e nuotare sono due azioni a dir poco opposte. Due condizioni difficilmente interscambiabili, soprattutto perché fondano su elementi diversi, la terra e l’acqua, e coinvolgono arti differenti in sforzi non uguali. E anche nel simulacro del Gioca-Jouer, come pure nello schema illustrato sul retro della copertina del 45 giri, è evidente. Quindi perché dovrei stare attento a una differenza così palese? Si tratta semplicemente di parole gettate lì a caso come riempitivo per consentire il completamento del giro armonico, o sussiste una volontà didascalica? Camminare e nuotare, diamine, la differenza la sanno pure i bambini.