master (e basta)

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C’è un’altra fondamentale (sempre nel grande calderone del wtf, o più elegantemente pour parler) suddivisione in due categorie di musicisti, ovvero chi sa stare sul palco e chi no, una capacità che in genere è valutata solo nei confronti dei cantanti ma che spesso si estende per forza di cose a tutti i componenti di un gruppo. Perché chi si muove in armonia con la musica che esegue conferisce valore aggiunto allo spettacolo e perché c’è chi anche solo a stare fermo immobile con una mano sul microfono e l’altra sull’asta fa venire la pelle d’oca dal carisma che eroga a litri sul pubblico. Diciamo che chi ha accesso al cosiddetto star system solitamente rientra nel sotto-genere degli animali da palcoscenico, la selezione naturale che li ha condotti fino lì non ha tenuto solo conto delle doti canore. E non si parla solo di bellezza, prestanza fisica, atleticità, ma quell’elemento invisibile separatamente da un corpo umano che lo rende speciale e che può essere composto da qualunque cosa. La postura, un cappello, il modo di ballare, l’interazione con gli altri musicisti, il sex appeal, insomma l’elenco è infinito. Tutto questo perché, discutendo su frontman davvero passati alla storia per la loro presenza scenica, è scaturita l’immancabile competizione tra chi sosteneva il proprio candidato più degno di conquistare una posizione al vertice considerando una serie di fattori: maturazione di personalità artistica dagli esordi all’età adulta se non oltre, qualità vocali, coolness, ascendente erotico, abilità nelle movenze, longevità di successo e, per limitare il campo, lontananza dagli stereotipi del rock’n’roll, per dire non uno alla Jim Morrison, entrato nel mito. Non me ne vogliate, ma ha vinto Dave Gahan, in questa versione comprensiva di piroette, anche se io lo preferivo in quella subito sotto.


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teoria degli elementi, 3: terra

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