una settimana un giorno

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Seduti in fila lungo il marciapiede, con una montagna di borse e zaini ammucchiati alle spalle nel piazzale antistante la scuola, buona parte degli alunni di una classe del liceo – potrebbe essere una quarta – è impegnata in una sorta di riappropriazione delle proprie vite quotidiane al rientro dalla gita scolastica, tutti con quella faccia un po’ così e quell’espressione un po’ così, in uno stato di interscambio tra atmosfere diverse in cui avviene il processo di ricomposizione dei connotati che li restituirà a loro e alle loro famiglie come erano prima di partire.

Il pullman è ancora caldo del lungo viaggio, chissà da dove arrivano, e continua a sfornare dal ventre bagagli recuperati dagli ultimi scesi e dai pochi genitori che si sono riuniti in un comitato di bentornato. Ma loro, quelli che aspettano ancora qualcuno che li venga a prendere e li riaccompagni a casa in auto, loro siedono a fumare l’ultima sigaretta della gita per prolungare di qualche minuto una parentesi di vita in comunità, lontano da tutto. Lontano dalla famiglia a cui hanno telefonato una volta a malapena in tutto l’arco del viaggio giusto per rassicurare che va tutto bene, che nessuno è in ospedale in coma etilico o è volato già dalla finestra dell’albergo mentre cercava di scappare per trascorrere la notte fuori di nascosto.

E lontano dalla scuola anche se poi l’ambiente della comunità provvisoria era proprio quello, i compagni e i prof. Ma i compagni lì diventano amici perché li vedi anche in mutande, senti i loro rumori al cesso e ti immagini come sarà convivere con persone della tua età, un giorno, in una casa in cui ci sarà un frigo pieno di birra e armadi in cui gettare i vestiti alla rinfusa e la tv in camera da letto e divani su cui consumare pasti insalubri. E anche i prof, magari li vedi appena svegli o stanchi alla sera dopo una giornata zeppa di musei e monumenti, a deambulare avanti e indietro con l’angoscia di tenere il gruppo compatto, sui mezzi pubblici e nei bar. Continua a leggere