sottosottosegretari

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Lo sconcerto che si legge da più fonti circa l’inevitabile deriva che l’esecutivo più #governolettico della terza repubblica testé nata sta prendendo fa venir voglia a molti di mettere mano alla propria tecnica di storytelling e scrivere nero su bianco una sorta di “Governo di larghe intese per dummies”, un pratico e accurato manuale di sopravvivenza perché tutto quello che, almeno a livello diciamo ideologico ma mi verrebbe più da scrivere grottesco, si pensa possa succedere alla fine si avvera sul serio. Pensate alla cosa peggiore, al compromesso più paradossale, al personaggio meno presentabile, alla visione più retrograda. Ecco, state certi che domani o dopo o la settimana prossima arriverà proprio quella notizia e saremo qui ancora a manifestare inutilmente il nostro sdegno, a postare rabbia su Facebook, a tuittare sarcasmo fuori luogo. E ve lo dice un sostenitore accanito della realpolitik, dell’equivalente del “basta che respiri” partitico, e cioè che ci sia una parvenza di progressismo e di sinistra in un qualcosa al governo. Ma no, così non può funzionare e ne siamo tutti convinti ma non diciamocelo più, non ripetiamocelo come un mantra perché, come sapete, raccontarcelo tra di noi non serve a nulla. Non sono io quello da convincere. Governo Letta, il governo che rappresenta tutti ma che non piace a nessuno.

un governo di consistenza, di colore, di sapore, di odore, eccetera eccetera

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Sono molti i conti che non tornano per un elettore medio del PD come il sottoscritto all’indomani delle convocazioni in nazionale per il nuovo campionato europeo degli esecutivi 2013 in cui, si sa, partiamo almeno terzultimi o poco meno. Una perfetta trama di equilibri che non sembra scontentare nessuno se non quelli che se non si fossero autoesclusi prima non avremmo avuto questo nuovo CT. Ma in un momento di piena della politica liquida, che sono certo siamo ai limiti di guardia prima della tracimazione che farà più danni dell’Arno a Firenze, è bene tentare una preliminare valutazione sensoriale dei nuovi ministri nominati per giudicarne se non l’efficacia che è troppo presto ma almeno le intenzioni, sottoporli a un esame d’ingresso per conferire un voto e un giudizio in base ai parametri che è possibile raccogliere. Quello che potremmo definire una sorta di analisi di partenza per stabilire se ogni componente rientra nei prerequisiti per fare da contorno al vicesegretario del Partito Democratico incaricato di portarci fuori dalla zona retrocessione. Un test superfluo, ovviamente, perché il fatto stesso di essere titolari ne attesta la rispondenza tanto che potremmo introdurre un neologismo. D’ora in poi si utilizzerà l’aggettivo #governolettico (qui nella pratica versione hashtag in modo da favorirne la diffusioni sui principali canali duepuntozero) per definire ogni figura pubblica – uomo politico, giornalista, opinion leader – dotato delle caratteristiche percepibili dai nostri sensi come l’udito, la vista e pure l’olfatto, che comunque certi miasmi si sentono sempre forti e chiari e sono molto più espliciti di mille parole, tali da essere collocato in questa vasta macrocategoria delle larghe intese, più larghe di un Giuliano Ferrara visto in una tv a sedici noni. Pensate a quante persone note che rilasciano dichiarazioni e retuittano sentenze oggi si mostrano perfettamente governolettiche. Donne, minoranze, istanze, correnti e perfino dissensi perfettamente rappresentati in questo put pourri sinestesico, passatemi il termine, dove davvero se ce n’è per tutti i gusti è perché il gusto è uno solo e ha un nome che suona così volgare che non sì può nemmeno ripetere. Basta scrivere #governolettico.