o son desto

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Uno dei principali scopi della vita che rincorro senza tregua è quello di non diventare il soggetto, tantomeno il protagonista, degli incubi da adulta di mia figlia, quelli che fanno capolino come conseguenza di latenti idealizzazioni distorte dei propri genitori derivanti dall’esercizio esasperato del suddetto ruolo in difetto o in eccesso. Comportamenti che il nostro subconscio assimila in tempo reale ma sublima più avanti sotto forma di cose tipo plotoni di esecuzione nazisti, facciate di edifici di edilizia popolare di fine ottocento da cui calarsi senza corde e imbragatura, talvolta pure senza vesti. Cadaveri dal taglio di capelli tipicamente anni 70 che si materializzano negli spazi comuni condominiali con cartelli contenenti messaggi arcani scritti con il sangue e appesi al collo. Fughe lungo sentieri carnivori da autoarticolati che in confronto il mostro meccanico guidato da Bjork nel video di “Army of me” è la Bianchina di Fantozzi. Ché di cose di cui aver paura ce ne sono già a bizzeffe e senza contare la pesantezza del cibo con cui ci si sazia la sera prima di coricarsi. Meglio contenersi a visioni oniriche la cui gravità non va oltre classici come l’inadempienza alle responsabilità personali a seguito della preparazione inadeguata agli esami della vita, quello di maturità in primis, e preoccupazioni standard da esorcizzare prima o poi liberandosi anche solo in senso metaforico di oggetti, giocattoli, case o porzioni di automobili come ha fatto l’amico Speakermuto.

mio dio è pieno di stelle

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Ero una astronauta e stavo nuotando nello spazio, dalla Terra verso Giove, quando ho sentito un’esplosione. Mi sono voltata e visto la Terra che si stava distruggendo. Allora mi sono tolta il casco della tuta, per morire“. Ditemi che è la sceneggiatura di un film esistente, vi prego.

genera mostri

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Anche se sto dormendo me ne accorgo, perché il giorno dopo ricordo quasi sempre tutto. Il ritmo della causa scatenante che aumenta, il desiderio di liberazione che matura, la preparazione del verso, una sorta di riscaldamento piuttosto agitato, quindi spalanco la bocca e il grido esce, con intensità variabile a seconda proprio della sequenza delle fasi, che funziona più o meno come quando lanci un elastico, che più lo carichi tirandolo verso di te e più lui vola in avanti. A quel punto il danno è fatto, e nel silenzio della notte riecheggia l’urlo o la parola con cui si sancisce il dominio della tensione dell’inconscio in azione sul conscio dormiente. Le cause scatenanti sono varie, dipendono da stress, stanchezza, quantità, qualità e pesantezza della cena. Ma anche un letto posizionato diversamente o il totale delle ore di sonno macinate, paradossalmente più dormo e maggiore è il rischio. Dietro c’è comunque sempre un incubo di varia natura: la casa di campagna dei nonni, isolata e desueta, l’uragano che vuole entrare dalla finestra, i nazisti che mi fucilano o mi puntano la rivoltella alla tempia e poi sparano, la sensazione di soffocamento mentre cerco di nascere dal corpo di mia mamma, e una più banale manifestazione di conoscenti morti che mi vengono a salutare nel sogno e che non mi lasciano mai nemmeno un pronostico per mettere al sicuro la mia vecchiaia, ma forse lì l’urlo è uno sbotto per l’occasione sprecata. Mia moglie a volte riesce ad accorgersi che sono lì lì per svegliare tutto il condominio, e cerca di farmi riprendere conoscenza in tempo. Ma spesso ce ne rendiamo conto a danno compiuto, ho gridato ancora nel sonno? Qualche secondo, mi giro dall’altra parte e riprendo a dormire. Mi alzo a bere un bicchiere d’acqua o a fare pipì. Accendo la luce e cerco di calmarmi. La mattina dopo ci scherziamo su, la pizza con le acciughe o i peperoni, sì, anche questa volta, devo ricordarmi di prendere qualcos’altro. Ma entrambi sappiamo benissimo che non è quello, per lo meno non è solo quello.