consigli per rispondere a chi ti chiede di cosa ti occupi

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Per lavoro ho incontrato gente che progetta e costruisce sistemi per sollevare le navi da crociera, segarle in due, allontanare le due parti dal peso di circa 22mila tonnellate ciascuna, la poppa in un verso e la prua di 25 metri in un altro, inserire in mezzo un pezzo aggiuntivo di nave come un pezzo del Lego, riavvicinare i due tronconi alla parte nuova allineandoli per poi consentirne la saldatura. Il tutto grazie a una specie di pattini e all’asciutto, con un sistema di controllo elettronico al millesimo di millimetro. Si tratta di un metodo che risulta essere più conveniente e veloce rispetto al modo tradizionale utilizzato per aumentare il volume e la capacità delle imbarcazioni passeggeri, così le compagnie navali possono incrementare la capienza della loro flotta e ospitare più passeggeri nelle crociere. Io che mi occupo solo di cose virtuali, marketing digitale e roba informatica in genere, quando ho visto le foto dell’operazione mi è venuta una specie di sindrome di Stendhal, nella variante che prende quando ci si trova di fronte a lavori veri, in carne ed ossa, e credo addirittura di essere svenuto.

per lo meno sono laureati

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L’ingegnere ha notato come prima cosa il modo in cui nel disegno l’autore aveva allineato i mattoni del muro, in alcuni corsi non distribuiti con i corretti intervalli dei giunti verticali, roba che secondo lui è la prima cosa che impari quando giochi con le costruzioni da bambino. Il che significa, per i non addetti ai lavori edili, che se non si alternano file facendole iniziare con un mattone intero e quella superiore con mezzo mattone, il muro non regge e il gioco finisce lì. E non è poi così strano che l’ingegnere, ancora prima di lasciarsi prendere dall’impatto complessivo dell’opera si sia lasciato deviare nel giudizio da un dettaglio che, obiettivamente, nella comprensione globale non dovrebbe avere nessun tipo di influenza. O no, come sostiene lui, perché non è per essere pignoli ma quello è un errore piuttosto grossolano che va a inficiare la qualità complessiva del lavoro svolto. Così i convenuti alla riunione si dividono in due fazioni. Quelli che sostengono che il problema è lui che è un ingegnere e interpreta il mondo secondo le discipline di cui si è imbevuto e l’ingegnere stesso, che comunque è a capo della commissione e che quindi ha diritto all’ultima parola. Non ci sono scusanti, il disegno va fatto da capo.

Io ascolto la storia di rimando, se ne parla dietro una focaccia ripiena di sapori di plastica e un liquido che è un concentrato gassoso spruzzato di una bevanda a una temperatura di poco superiore all’azoto liquido, e mentre lotto con la mia che di rimando mi spalma brie su barba e baffi (poi mi pulisco, abbiate qualche minuto di pazienza) passo in rassegna tutti gli ingegneri che ho incontrato sulla mia strada e ne ho conosciuti tantissimi, soprattutto da quando lavoro nell’ICT. Ma ce ne sono molti altri con i quali sono cresciuto e che sono degni di nota, a partire da quello che chiamavamo quadrato perché ogni cosa per lui sembrava fuori dall’ordinario, con l’insuperabile vantaggio che si divertiva davvero con un niente. Un altro che era fuori come un balcone ma era lo stesso ingegnere nel suo essere fuori, quindi esprimeva il suo essere fuori con assoluta metodicità. C’è chi sostiene anche che bisogna evitare di mettere strumenti rumorosi in mano agli ingegneri, come batterie e chitarre elettriche, ma su questo non sono d’accordo e vi vorrei far sentire un paio di persone che conosco io.

Così ho detto la mia, ho detto che il loro ingegnere non mi sembrava avesse tutti i torti perché non vedo come si possa trascurare un particolare così, a suo modo è una forma di pressapochismo. Ma a difendere i potenti ci si attira sempre l’odio delle classi deboli. Così ho raccontato di quel docente universitario, sempre di Ingegneria, che una volta mi ha fatto un colloquio e poi siamo finiti a parlare di jazz perché era interessato a come usavo il campionatore per rubare parti ritmiche pulite da suoni dai dischi della Blue Note, ma anziché approfondire circa la frequenza di campionamento mi ha chiesto a quale temperatura preferissi il jazz. Io gli ho risposto “freddissima”, ed è stata la risposta giusta probabilmente, perché poi mi ha assunto.