leggere emozioni

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Sono arrivato al punto del libro in cui lui si inginocchia sul Pont Neuf e chiede alla protagonista di sposarlo proprio nell’esatto momento in cui, chissà quando, me l’ero già immaginato. Un treno regionale diretto verso Lucca, una coppia di colleghi vestiti business casual che parlano di lavoro con un pesante accento toscano, il cellulare nel tascone sinistro dei pantaloni così pieno di novità da dare di continuo quell’effetto che sembra che vibri anche se non è vero, l’equivalente dell’illusione ottica applicato però alla sesto senso che è quello del desiderio, della vita che è un qualcosa dove scivoli con una velocità che non ha eguali in natura, figuriamoci sulle linee ferroviarie secondarie come questa dove, in certe stazioni, il regionale si ferma persino per far passare il suo omologo che viaggia nell’altro senso.

I libri si scelgono a volte a caso, questo dura poco meno di quattrocento pagine e conto di finirlo prima di rientrare a Milano, tanto è scorrevole. Ma nel forte deja vu che ho vissuto c’erano tutti i particolari: la copertina azzurra, l’interlinea a prova di presbiopia, la trama che è come sentirsela raccontare senza lo sforzo di scorrere le parole stampate e di soffrire la pesantezza degli occhiali da lettura sul setto nasale. E proprio come ricordavo, ma chissà da quanto lo ricordavo e perché è tornato in mente proprio nel momento giusto, maledetta mente umana e maledetti tutti i suoi misteri, ho riconosciuti i sintomi della commozione, il liquido dell’empatia che si ferma proprio sul ciglio degli occhi come se fosse l’aria, per una reazione chimica sconosciuta, a farlo evaporare immediatamente, l’auto-controllo arrendersi come le membra vittime di uno svenimento, la testa che crolla, il sole che sembra sporco dietro i vetri macchiati e il ronzio costante dell’aria condizionata, i due toscani che scendono alla stazione successiva, un foglio elettronico – proprio questo – a raccogliere tutte queste cose prima che qualcun altro se le porti via.

lettore professionista di livello B

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Da quando ho cambiato lavoro posso dire, per la prima volta nella mia vita, di svolgere finalmente una mansione che riflette quello che ho studiato e per la quale non sono costretto a improvvisare ogni santo giorno per rispondere alle richieste che mi vengono fatte in ufficio perché, nel duemila e diciassette, c’è ancora gente che pensa che la comunicazione e il marketing e la pubblicità e anche i social media siano discipline rispettabili e da prendere seriamente e paga profumatamente professionisti inventati come me. Basta stupidaggini, basta clienti che non hanno gli strumenti per capire, basta pesi dati a cose a cui, in un sistema normale, delle persone di buon senso non dedicherebbero nemmeno un grammo della loro preoccupazione. Da qualche mese il mio nuovo lavoro consiste nel leggere libri. Sono pagato per leggere libri e basta. Devo leggere libri, li prendo in biblioteca perché a comprarli spenderei troppo rispetto a quanto guadagno e soprattutto non saprei dove metterli in casa.

Leggo libri e quando li ho finiti devo riflettere sul fatto se mi siano piaciuti o no, se è il caso di insistere sull’autore per confermare o meno il giudizio, se ho imparato qualcosa sulla mia vita, sulla vita delle persone che conosco e anche di quelle che non conosco. Devo divorare le storie ma non ho scadenze, non devo raggiungere una quota di libri o un numero di pagine in un mese, un trimestre o un fiscal year. Posso mantenere il ritmo che più mi si addice perché ci sono romanzi da mille pagine che mi tengono incollato giorno e notte e li ultimo in una settimana, altri più sottili ma più densi di cose per i quali occorre impiegare il tempo che ci vuole. Capita anche che è necessario tornare indietro e ripercorrere passaggi sotto una nuova luce, oppure ci sono vicende piene di nomi di persona e può succedere che mi dimentichi chi è tizio e così, prima di proseguire, è utile chiarirsi le idee. Non ho orari e non ho una sede perché, trattandosi di un lavoro che, come dicevo all’inizio, ricalca il mio curriculum di studi e sul quale sono consapevole di sapere il fatto mio, lo esercito più che posso e non mi stanco mai, non mi viene nemmeno voglia di fare pause e quando è lunedì mattina e mi sveglio per andare al lavoro sui libri non vedo l’ora di iniziare a leggere.

E, come potete immaginare, è un bellissimo lavoro e lo so che mi invidiate, per questo spero che anche a voi capiti un’occasione così, come è accaduto a me. Sono pagato per leggere libri, leggo libri per portare a casa uno stipendio, e anche se il prodotto del mio lavoro è difficile da spiegare se non siete lettori, sono certo che potete capire perché qualcuno mi abbia ingaggiato per questa attività. E potete anche evitare la solita manfrina sulla contrapposizione tra libri e Internet, perché la vera ragione per cui faccio questo lavoro è insita proprio lì. Leggo libri perché in Internet, che è scritta da cani e porci come me, si leggono solo brutture o cose parzialmente non vere. Tutto qui.

la letteratura non interessa quasi più a nessuno

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La letteratura non interessa quasi più a nessuno. Non so come fossimo messi prima ma se volete vi faccio una veloce statistica prendendo come campione la manciata di persone che incontro sui mezzi mentre vado al lavoro lungo una tratta che consente di mettersi comodi, inforcare gli occhiali chi ne ha bisogno e leggere qualcosa. E voi dieci (a essere ottimisti) che state leggendo qui non venite a dirmi che quel robo portatile che avete tra le mani non ha contribuito a diminuire il tempo che passate sui libri. Secondo me su cento siamo in quattro o cinque, e su quattro o cinque in tre scriviamo anche e quindi, anche se nessuno di noi tre fa Franzen di cognome, è facile dimostrare che una buona fetta della popolazione appassionata di libri è composta da addetti ai lavori o gente a cui gli piacerebbe esserlo. Qualche sera fa ho partecipato a un incontro con gli inventori di una piattaforma on line di crowfunding di letteratura, un’idea di per sé super-affascinante. Proponi il tuo manoscritto, viene valutato da una redazione, se passa la prima fase puoi pubblicare l’abstract con qualche pagina dello scritto sulla piattaforma. Trattandosi di una community che è in grado di attrarre sia autori che lettori non direttamente coinvolti, può anche avere il suo peso il passaparola che nel mercato massificato come lo vediamo noi potrebbe sembrare anacronistico, se non altro per il corto circuito di informazioni nelle nostre micro-società chiuse, ma invece pensate alla viralità di certe iniziative che ci passano sotto il naso centinaia di volte al giorno su Facebook. L’idea punta proprio sul marketing di sé volto a convincere amici, parenti e contatti vari sui social a contribuire al raggiungimento in un tempo circoscritto di una soglia minima di copertura di spese di partenza, oltre la quale il libro può essere stampato o distribuito a chi ha investito nella tua opera. A questo punto la start up dietro la piattaforma si fa promotrice della pubblicazione e distribuzione del libro su vari canali di vendita, on line e al dettaglio. Non so voi, ma il mio problema è duplice. Se avessi qualcosa da far leggere a qualcuno mi vergognerei troppo di mobilitare amici e parenti a contribuire all’obiettivo, e quando ho tempo per leggere qualcosa tra uno come me e Franzen non ho dubbi su chi andrebbe la mia scelta. Lo so, se tutti facessero come me la letteratura, che già non interessa quasi più a nessuno, sarebbe in via di estinzione, ma forse è proprio così.