record di velocità indoor su carta

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Chi l’avrebbe mai detto. La letteratura più in voga nel duemila ha cicli di vita rapidissimi come gli annunci in rotazione di una volta, quelli sui led rossi. Nella letteratura del duemila non è importante l’autore, colui che ha generato il pezzo di letteratura, perché essa segue un modello che può essere paragonato a quello della tradizione orale. A non so quanti anni dall’avvento della stampa ora la letteratura, quella del duemila, si è riaccaparrata della sua consistenza originaria in cui è la storia in sé il fine narrativo e non più il libro. Le storie della letteratura del duemila sono più corte di qualunque altra espressione, persino degli haiku e scorrono a fiotti lungo le pagine Facebook dei lettori. I lettori del duemila non leggono più un’unica storia raccontata lungo le centinaia di pagine di un libro, leggono simultaneamente centinaia di storie in un’unica pagina Facebook. Così se chiedi a un lettore del duemila che cosa leggi non saprà risponderti perché l’evoluzione della lettura ci ha imposto nuovi modelli comportamentali. Come cosa leggo? Leggo e basta, perché non esistono più oggetti e soggetti. Si legge e la lettura è lo stream di Facebook. Se accusate un millennial di non leggere vi risponderà che no, non è vero, lui legge eccome. La letteratura del duemila è multiforme e si articola in battute, immagini, giochi di parole, accuse, notizie false, pensieri semplici, espressione di sentimenti elementari. Non ha nemmeno delle regole sintattiche, tanto ci capiamo comunque. Gli autori siamo noi è siamo miliardi ed è per questo che la letteratura del duemila è tutt’altro che remunerativa, non c’è domanda né offerta, c’è solo la letteratura del duemila che poi è la nostra vita e il modo in cui abbiamo imparato a semplificarla.

non guardatevi in bocca

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Ogni anno, in occasione della presentazione del Bilancio di Fine Estate all’Associazione degli Scrittori Che Non Lo Sono, mi tocca litigare perché salta sempre qualcuno fuori con la storia che i tedeschi si vestono male e io, puntualmente, gli chiedo di dare un’occhiata a me, di guardarsi allo specchio e, in generale, ammonisco i teorici dell’italian style per la scarsa attenzione con cui osservano i connazionali. Ma l’istinto di stracciargli la mia carica di segretario sotto il muso e di sbattergli la porta in faccia mi viene alla terza o quarta slide dei colleghi che annunciano di aver trovato l’anima gemella sul bagnasciuga o lungo i sentieri in quota sulle Alpi. Il giorno dell’addio, al momento di scambiarsi un regalo che poi è una promessa di rivedersi presto, scoprono di aver scelto la stessa cosa che il partner (temporaneo, permettetemi di aggiungerlo tra parentesi) ha scelto per loro. Lo scrittore che scimmiotta gli autori dell’America profonda ha ricevuto un portafoglio griffato Harley Davidson perfettamente identico a quello donato alla sua musa. L’autore noir un e-book della stessa marca e modello. Persino il blogger ha omaggiato la nuova compagna geek dello stesso hard disk che lei ha acquistato per lui. Mi chiedo cosa vogliano dimostrare con i loro esempi stucchevoli. Non sono certo loro gli unici depositari della felicità universale.

un best seller sui gatti al guinzaglio

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All’ultima riunione dell’Associazione Italiana Scrittori Contemporanei di Punta (AISCP) abbiamo trattato l’annoso tema di quale sia il modo più proficuo per inebriarsi di ispirazione narrativa, in soldoni – sempre che le case editrici ti paghino – come essere più produttivi. Qualche collega ha presentato la propria mozione sotto la forma un po’ presuntuosa della “best practice” ma abbiamo convenuto all’unanimità che starsene a casa o in studio a scavarsi dentro non è una procedura alla lunga fruttuosa, con il rischio poi di andare su Internet fiaccati dalla frustrazione o, peggio, dalla noia e spulciare tra le tonnellate di aspiranti autori per trovare spunti degni di nota. Alcuni di noi, tra cui il sottoscritto, hanno fatto notare l’illusorietà degli stati d’animo rintracciabili sui social network che conferisce un simulacro di creatività, fiammelle che si esauriscono nel giro di due paragrafi. Ci siamo così chiesti dove siano le grandi storie, se dentro di noi ormai le risorse e la materia prima si siano esaurite dopo anni di sfruttamento intensivo. Dai più è emersa l’esigenza di uscire, abbandonare gli spazi angusti di cui si conosce ogni più piccolo anfratto e viaggiare per farsi raccontare vite altrui, esperienze distanti dai propri standard, cose che noi scrittori non potremmo nemmeno immaginare. Dopo un po’ però mi sono stufato di quelle speculazioni tra autori che si interrogano su se stessi. Mi ero messo in fondo alla stanza come a scuola ci si mette nell’ultimo banco: anche se è impossibile accendere lo smartphone – siamo sempre di meno ed è piuttosto facile che chi sta in piedi davanti al telo con le slide se ne accorga – da lì riesco a scambiare quattro chiacchiere con il collega a fianco, ci mettiamo sempre vicini e ogni volta ci diamo qualche aggiornamento sulle reciproche vite. Gli ho fatto i complimenti perché sfoggiava la solita pettinatura ma in una versione più alla moda e che diffondeva un forte profumo di cera per capelli. Mi ha confermato di aver abbandonato la coppia degli anziani parrucchieri di paese, che curiosamente si chiamano Gigi e Andrea come un duo di berluscomici d’antan, per Jessica e Nicholas, giovani hair stylist che mettono il loro estro frutto di corsi professionali post laurea triennale nell’arte delle acconciature. Mi ha detto che costano uguale ma rilasciano la fattura e poi, mentre di là si parlava solo di figa e di pesca, ora trova cose interessanti degne di approfondimento. Intanto la prima volta gli hanno fatto compilare un documento sulla privacy, che strana questa cosa per cui cani e porci ti chiedono di firmare la liberatoria non si sa bene per quale motivo. Poi la clientela è mista, e l’ultima volta ha visto una donna con un gatto gigantesco al guinzaglio. Nicholas – che malgrado il nome è italianissimo – gli ha fatto notare l’eccentricità della cosa: il gatto era di una costosissima razza americana (non chiedetemi quale, provate direttamente su Google) ma il fatto che la cliente lo portasse in giro come un cane non c’entrava con questo, non si tratta cioè di una razza che necessita di movimento e contatti con l’esterno più delle altre.