quando ho fretta di tornare a casa e ci sono delle cose che me lo impediscono odio tutto

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Quando ho fretta di tornare a casa e ci sono delle cose che me lo impediscono odio tutto. Così se vi sentite sull’orlo di dare in escandescenze non dovete preoccuparvi, non sareste né i primi né gli ultimi. Sono ammesse le spinte sulle scale a chi intralcia – basta non far cadere la gente. È consentito prendersi gioco degli zaini ingombranti per esempio scarabocchiando arbitrariamente le lettere che compongono le scritte in modo da formare parole sconce o nonsense disdicevoli e in grado di influire sulla reputazione del proprietario. C’è qualcuno che non pronuncia le bestemmie ma le pensa solo, convinto che la religione e l’attaccamento a un dio sia una questione di forma più che di sostanza. Altri invece non si fanno scrupolo alcuno e ci mettono al corrente della distorsione della loro visione escatologica. Le cose che impediscono il rientro a casa in genere sono sistemi frutto dell’ingegno umano e pensati per funzionare nel migliore dei modi, che non è detto che sia il modo che coincide con i nostri piani di tornare a casa presto. Questo perché probabilmente ci sono altri che hanno fretta di tornare a casa e si mettono di mezzo ma, come le leggi che regolano la precedenza dei veicoli sulla strada, possono passare prima di noi e di conseguenza tutto quello che hanno intorno, noi compresi, si blocca. In questi frangenti io odio tutti e tutto, e mi spiace dirvelo ma più divento anziano e più il mio odio trascende i limiti dell’odio umano perché, come a tutti voi, sembra che il mio turno di passare non venga mai. Se mi vedete paonazzo, probabilmente con la massima alle stelle, fermatevi e cedetemi il passo, e fatemi tornare a casa subito.

la superiorità morale degli uomini con i tasconi rispetto agli uomini col borsello

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I migliori amici dell’uomo sono da tempo i pantaloni con i tasconi laterali, un modello derivativo che prende spunto dall’abbigliamento di tipo militare e che unisce in sé alcuni aspetti che fanno la felicità per il genere maschile, a partire dalla possibilità di portare con sé tutto il necessario – che è sempre tanto – senza dover ricorrere all’utilizzo di una borsa, come fanno le donne, o peggio di un borsello, come fanno certi altri uomini. Si ha quindi a disposizione un totale di sei tasche che ai più ortodossi sostenitori delle linee tradizionali della moda suona un po’ un’anomalia, l’equivalente per la Formula 1 della Tyrell a sei ruote guidata da Jody Scheckter perché, in effetti, la tendenza a caricarsi di roba all’altezza delle cosce genera curiosi inestetismi. Ma noi uomini di queste questioni da donnicciole ce ne fottiamo abbastanza e scommetto che se di tasconi ne avessimo quattro da una gamba e quattro dall’altra li riempiremmo tutti, perché per noi uomini l’avere tutto il necessario a portata di mano ma a mani libere è un istinto liberatorio ancestrale che chissà da dove deriva. Gli aborigeni che vediamo alla tv e che probabilmente sono la cosa più simile all’uomo primitivo che abbiamo a disposizione mica ce li hanno i tasconi sulle gambe nude quando vanno a caccia e le loro armi rudimentali se le tengono in mano.

Ogni uomo ha poi il proprio schema logistico per la sistemazione delle cose nei tasconi e che riflette la stessa matrice utile per caricare la lavastoviglie o disporre i bagagli nell’auto prima di partire per le vacanze. Qui non c’è un vero e proprio metodo universale e potete stare tranquilli che ogni uomo è pronto a sostenere che il proprio è il più efficace. Io per esempio metto il portafoglio nella tasca anteriore destra e mai in quella posteriore, un po’ perché temo i borseggiatori sui mezzi e un po’ perché non voglio rovinare carta di credito, bancomat e i documenti sedendomici sopra, senza contare la moneta che a causa dell’euro ha riportato alla ribalta gli spiccioli e non c’è niente di più fastidioso. Altro che referendum.

Lo smartphone lo tengo nel tascone sinistro, da cui fuoriesce l’auricolare, il che non è il massimo dal punto di vista funzionale perché ogni volta un cui mi occorre usarlo devo piegarmi mentre, se lo tenessi nell’anteriore sinistra, sarebbe più semplice. Però sono succube del terrorismo psicologico verso i danni che le batterie al litio possono fare al corpo umano e tenerlo in prossimità delle zone più vulnerabili mi fa un po’ effetto. Le chiavi le metto nel tascone destro, così quando cammino sembra che passi una congrega di Hare Kṛṣṇa con tanto di tamburelli e sonagli, insieme alla ricarica di riserva dello smartphone che, potete capire, è fondamentale per muoversi nella giungla urbana piena di pericoli. Metti che ti succede qualcosa e hai il telefono scarico, cosa fai? Nell’anteriore sinistra ci va il fazzoletto e, soprattutto, la mano che sono abituato a tenere lì.

I pantaloni con i tasconi hanno tutti pro? No, perché come qualunque altra cosa disponibile in quantità superiore rispetto al reale bisogno genera confusione e, talvolta, manda nel panico. Nei momenti di stress è difficile mantenere la lucidità e riporre chiavi o il portafoglio nell’apposito slot. Sei di fretta alla cassa dell’Esselunga con il mondo dietro che ti pressa perché devi lasciargli il posto e così finisce il portafoglio lo metti nel tascone sinistro. O hai dovuto rispondere al telefono dopo aver parcheggiato e, nella insormontabile complessità di svolgere due operazioni critiche simultaneamente, hai riposto le chiavi della macchina nella tasca posteriore. Quindi è facile vedere uomini indossare pantaloni con i tasconi che passano il tempo a palparsi nell’ordine tasca anteriore destra, tasca anteriore sinistra, tascone destro, tascone sinistro, tasca posteriore destra, tasca posteriore sinistra per controllare se tutto è a posto in un esilarante balletto degno di Don Lurio e Lola Falana.

telelavoro estremo

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Mi ha detto anche che l’altra sera, mentre seguiva distrattamente un telefilm, è squillato un telefono in una scena con la stessa suoneria che ha in ufficio e si è messo immediatamente in allarme, pronto a rispondere. Non ci è voluto poco per tranquillizzarsi del fatto che fosse fuori dall’orario lavorativo e a casa, ambiente in cui ha ben altri segnali a cui prestare attenzione. Ha ammesso di aver trascorso una manciata di secondi ad annaspare con lo sguardo in giro alla ricerca del telefono che ha sulla scrivania in agenzia come una qualunque bestia oggetto di un esperimento di tipo pavloviano. Alla fine ha dichiarato con amarezza di essersi sentito preso in giro ma non dal sistema, perché sa bene che il sistema non esiste. Ha pensato di avere ormai perso il controllo di una parte di sé, una sorta di emiparesi della volontà dovuta ad anni di sollecitazioni da stress sul posto di lavoro. Cose all’ordine del giorno. Così ho pensato che fosse meglio spegnere la tv e fare altro. Perché si inizia con i rumori e i suoni e poi si passa alle visioni, alle allucinazioni, i miraggi, le traveggole. Poi ti viene voglia di fare i versi, di parlare da solo, di cercare cose che non ti ricordi di aver gettato via o regalato a qualcuno. Così quando è suonato il mio, di telefono, pochi istanti più tardi, ho preferito non rispondere. Ho riacceso la tv, tanto avevo ormai ben presente in mente la differenza tra la suoneria di casa e quella del lavoro, ma nel dubbio ho cambiato canale su uno spettacolo in cui non c’era pericolo che quel paradosso si manifestasse.

questa casa non è un parcheggio

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Il signor C. è lo stesso che una volta ha lasciato il fornello acceso e stava per far saltare in aria un intero condominio. Tutti ci siamo chiesti da dove venisse quella puzza di gas che aumentava sulle scale e negli spazi comuni di ora in ora, così quando abbiamo chiamato il pronto intervento hanno capito subito che non era una perdita in qualche tubo. Sono entrati dal balcone, lui era via per il weekend, hanno spento tutto, spalancato le finestre e ci siamo salvati per un pelo. Il signor C. è lo stesso che incrocio ogni mattina nel corsello tra i box ed è una maledizione, abbiamo gli stessi orari e io me ne accorgo prima di uscire nel corsello che c’è già lui fuori che armeggia con la serranda del box perché si accende la sigaretta ma non aspetta di essere all’aperto. Per lui il vano tra l’ascensore e l’uscita è già uno spazio esterno così sento la puzza di fumo e so che è passato lì da poco.

Il signor C. ha il box nella fila di fronte alla mia, quella con i garage grandi il doppio, e dentro ci tiene tre automobili. Parcheggia davanti l’utilitaria della moglie perché è così, le auto delle mogli non devono recare alle mogli nessun limite di utilizzo e devono essere comode da usare altrimenti le mogli si scocciano e le lasciano fuori così poi qualcuno le danneggia, ma a pensarci bene anche le mogli talvolta le danneggiano entrando o uscendo dai box. A fianco dell’utilitaria c’è una cinquecento nel senso dell’auto d’epoca, che il signor C. sfoggia nei fine settimana come tutti quelli che li superi alla domenica in autostrada sulle loro bianchine o sui cabrio del loro immaginario in bianco e nero, Gassman e Alberto Sordi e i guanti per avere maggior presa e la moglie con il foulard che la ripara dal vento, un baccano infernale e il terrore che si rompa un pezzo e l’auto d’epoca è da buttare via.

Dietro alle due piccole vetture il signor C. parcheggia il mezzo di famiglia, un gippone suv  che è poi quello che usa quotidianamente. Avrete capito quindi com’è la logistica del box del signor C. e la conseguente procedura di movimentazione. Prima guida fuori l’utilitaria della moglie, se la moglie non è uscita prima di lui, e la mette da una parte con il motore acceso, quindi sposta la cinquecento e la mette dall’altra parte anch’essa con il motore acceso, quindi tira fuori il gippone suv e lo porta davanti alle altre due e, lasciando anche il gippone suv con il motore acceso, rimette nel box prima la cinquecento, che la moglie di certo non utilizzerà, e per ultima l’utilitaria, all’imbocco del garage. Il tutto con la sigaretta in bocca che, tutto sommato, con tre motori accesi, costituisce il minore dei danni da un punto di vista dell’impatto ambientale. Ma c’è un motivo per cui io non saluto mai il signor C. in quei frangenti, mentre aspetto che il corsello sia libero per portare fuori la mia, di automobile. Perché lui non mi saluta mai, e non lo fa perché è talmente preso a eseguire correttamente tutta quella sequenza di manovre che non può certo distrarsi. Poi alla fine chiude il portellone del garage, carica la racchetta da tennis e la sacca nel portabagagli del gippone suv, e prima di partire getta il mozzicone per terra.

A volte penso che ci sia in corso una sorta di guerra psicologica tra lui e la moglie, a causa della quale il signor C. fa tutto quello sbattimento, e chissà se l’episodio del fornello dimenticato acceso di cui sopra si è trattato davvero una dimenticanza. Altre volte però mi rendo conto di sopravvalutarlo, in realtà è solo un idiota come ce ne sono tanti altri. Ci sono quelli che spostano di continuo macchine fuori e dentro il box, ci sono quelli che notano cose così e le scrivono. Tutto qui.