il ponte dei morti

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Mi stavi ricordando – e tra me pensavo che non era proprio il caso – che siamo arrivati a una certa età in cui dovremmo già aver scoperto, nostro malgrado, che non solo nonni, genitori, congiunti e amici non sono immortali. Persino quei miti le cui effigie tappezzavano le pareti delle nostre camerette, spazi temporaneamente adibiti a nostro regno grazie a benefattori che inspiegabilmente ci consentivano di condividere gratis l’abitazione con loro, malgrado ci ribellassimo ai loro suggerimenti in ogni occasione per puro spirito polemico. Persino quegli eroi in onore dei quali ci siamo pure immolati sacrificando addirittura la nostra integrità per non parlare della nostra salute, prendendoli come esempio di condotta di vita. Persino loro possono morire di malattia causata da una vita sregolata, per incidente o di semplice vecchiaia magari sdraiati in un capezzale con tutti i nipotini intorno, e non necessariamente suicidi come vuole il curriculum standard per aspirare alla hall of fame di MTV. E mentre mi ricordavi tutto questo io riflettevo sulla dubbia necessità di mettere per iscritto queste considerazioni, che poi ti succede qualcosa tipo un tram con su la pubblicità del concerto dei Negramaro che ti prende in pieno mentre attraversi la strada e allora qualche giornalista affamato di coccodrilli 2.0 sgama la tua predizione e scrive che te l’eri cercata, e poi un altro giornalista che trova l’articolo in cui prevedi il giornalista che ti sgama e scrive che ti eri pure cercato il fatto che un giornalista ti sgamasse, e dopo ancora un giornalista legge che tu avevi previsto che un giornalista sgamasse il fatto che avevi scritto che un giornalista avrebbe potuto sgamare il presagio del tram e che ti eri cercato pure quello e così via, potrei andare avanti per ore. Quindi niente, la riflessione su Lou Reed ci sta tutta, e grazie per avermi anche ricordato, a valle di quella sfilza di brutte reminiscenze, quello splendido monologo dell’artista newyorkese scomparso ieri in “Blue in the face”, che è una specie di “making of” – ma definirlo “making of” è riduttivo, forse è più appropriato spin-off o progetto parallelo, boh – del mio film preferito che è Smoke di Wayne Wang (quello con la sceneggiatura di Paul Auster, per intenderci), così ne approfitto e anziché postare qui sotto “A perfect day”, che tanto oggi e nei giorni a seguire la sentirete sai quante volte – che invece secondo me avrebbe al limite molto più senso “Heroin” – anziché una delle tante canzoni che vedrete elencate in lungo e in largo, ho deciso di ricordarlo così. E mi spiace di non essere riuscito a ringraziarti per lo spunto, perché mentre mi parlavi di morti poi è passata una alta con i leggins attillati e ti sei girato a guardarla dietro e hai cambiato discorso.