fatti curare

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I segnali della vecchiaia che avanza sono numerosi. Ci piace di piĆ¹ l’acqua con le bolle, avvertiamo la necessitĆ  di farci la barba ogni mattina perchĆ© ora ĆØ piĆ¹ grigia che nera e i peli, oltre a crescere piĆ¹ velocemente, fanno puntini che proprio stonano con il colletto della camicia (per non parlare della maglietta girocollo), ai freni inibitori probabilmente ĆØ finito l’olio perchĆ© confessiamo liberamente di preferire il cioccolato al latte ai puristi del fondente, siamo sempre piĆ¹ confusi sulle nostre posizioni circa la questione palestinese e, su tutto, guardiamo con crescente preoccupazione il valore di rischio di malattie contagiose negli ambienti di convivenza forzata con altre persone.

Ho assistito la scorsa estate a un documentario con un effetto grafico che quando una persona starnutisce ti fa vedere la potenza con cui alcune micro-schifezze che abbiamo nel naso e nella bocca schizzano a decine di metri di distanza nemmeno fossimo dei kamikaze dell’influenza. Se mi fosse capitato davanti alla tele dieci anni fa probabilmente avrei cambiato canale, invece alle soglie dei cinquanta ho provato una morbositĆ  inusitata e non ne ho perso nemmeno un minuto. GiĆ  mi vedo tra poco a chiudere questo blog per aprire una specie di Elisir 2.0 in cui confrontarmi con i miei coetanei circa gli acciacchi di stagione e relativi rimedi. E sono qui a svelarvi questi segreti solo perchĆ© in ufficio c’ĆØ un collega che ĆØ piĆ¹ di una settimana che tossisce in continuazione.

Vediamo intanto la cosa da un banale punto di vista di convivenza tra persone civili. Passare otto ore con uno che ha una frequenza di colpi di tosse di almeno due/tre al minuto al terzo giorno consecutivo rompe i maroni e ti manda fuori di testa, anche se non si dovrebbe dire perchĆ© deve prevalere il lato solidale verso una persona di salute cagionevole. Ma non siete d’accordo con me che se uno sceglie di stare in mezzo agli altri dovrebbe almeno prendere tutti gli accorgimenti per evitare di attaccargli un malanno? Se sei malato stai a casa, ti curi e poi quando il medico ĆØ d’accordo torni al lavoro. Che giĆ , in agenzia da me, ci sono due cani che al minimo sentore di movimento oltre la porta d’ingresso dimostrano la loro attitudine alla protezione degli umani con quel modo di abbaiare acuto che ti spacca i timpani e non solo quelli. Su questo substrato base di disturbo da rumore molesto si ĆØ innestato un secondo livello ancora piĆ¹ irritante.

Poi ho considerato il fatto che certi sintomi, soprattutto una tosse cosƬ, non sono assolutamente da sottovalutare. Ma anche in questa considerazione ĆØ subentrata una componente di me che non credevo di avere, probabilmente altrettanto soggetta all’etĆ . Ho pensato che il collega ĆØ maggiorenne, vaccinato di questi tempi non si puĆ² piĆ¹ avere la certezza, e in definitiva che si arrangi.

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Alla fine, dopo trentasei ore di veglia e dormiveglia ma anche un po’ di dormi-e-basta, io e mia mamma ci siamo concessi una tregua. Assistere il papĆ  in questa – a detta dei medici – fase terminale ĆØ un’attivitĆ  che per la sua temporanea stazionarietĆ  genera assuefazione. Il respiro in un ritmico su e giĆ¹ della cassa toracica a protezione di un cuore forte, la bocca spalancata nella maschera dell’ossigeno a rubare tutta la vita che c’ĆØ lƬ dentro, il tutto nella cornice di uno stato di totale assenza, un sonno profondo, un qualcosa che anche se non l’ho mai visto – per fortuna – non stenterei a definire coma. Dopo un giorno intero, quindi, speso nell’intento di captare anche un minimo segnale di cambiamento che non si sa mai se sia meglio auspicarlo o meno, in questo loop straziante del respiro che, paradossalmente, ha un ritmo con gli altri rumori dell’ospedale e dei suoi macchinari che arrivano dal corridoio, un respiro almeno due volte e mezza piĆ¹ veloce del mio, ci siamo arresi all’auto-conservazione. Una persona fidata ci sostituisce per la seconda notte e io mi avvio a consumare il primo pasto completo da quando siamo lƬ. Davanti a un paio di porzioni di un ghiotto piatto locale, che non mangiavo da anni, mia mamma ed io siamo persino riusciti ad avere un po’ di ristoro emotivo. Abbiamo persino riso quando lei mi ha fatto notare che mio papĆ  morirĆ  senza aver capito che lavoro faccio. Addirittura mi sono steso sul divano a casa loro, dopo cena, approfittando dell’abbonamento a Sky per seguire la partita che poi non era nemmeno su Sky. Mi sono perĆ² addormentato in quel lungo spettacolo dell’attesa televisiva, quella in cui si spremono tutti i contenuti per tenere il piĆ¹ a lungo gli spettatori sullo stesso canale e aumentare cosƬ il valore pubblicitario. Mi sono svegliato che i giochi erano fatti e la nazionale italiana dava il meglio per difendere il risultato. Ed ĆØ stata una fortuna, perchĆ© i miei tempi di sopportazione di un incontro di calcio non superano i venti minuti. Questa mattina presto, poi, siamo tornati da lui ed era ancora cosƬ, con la stessa espressione che sembra piĆ¹ esausta che rassegnata. All’inizio ci trovavo dello spavento, magari la paura dell’ignoto. Poi perĆ² mi sono convinto che sia un severo monito a non perdere mai un’occasione per dirsi le cose.