un post sui poster per i posteri

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Non ho nessun problema a confessarvi che se potessi mi riempirei le pareti di casa e dell’ufficio di grandi foto e manifesti, prima che di quadri, in alcuni casi molto meno costosi. Poster delle mie band preferite, come potrete immaginare, ma anche stampe di arte contemporanea come quella che ho acquistato al Bauhaus Archive di Berlino e che ora ĆØ in bella mostra nel salotto di casa mia. Fin qui non ci sarebbe nulla di male se l’autore di questo post sui poster musicali per i posteri non avesse quarantasei anni.

Che volete che vi dica. Ho cominciato presto con uno dei Beatles e la arcinota riproduzione bicromatica del Che su sfondo rosso che va sempre dritto fino alla vittoria, chiedendoli ai miei genitori come regalo in prima o seconda media. Avevo trovato poi un bel manifesto di Bob Marley che imbraccia la sua Gibson nel disco “Live” che avrei acquistato di lƬ a poco, e insomma in quattro e quattr’otto avevo occupato tutto lo spazio di mia competenza delle pareti che dividevo con mia sorella, piĆ¹ orientata su Miguel BosĆØ e Baglioni. Nel corso degli anni ovviamente le effigie degli eroi appesi si erano avvicendate con tutta l’invasione post-punk che non sto qui a raccontarvi, alcune addirittura marchiate dal logo di “Ragazza in” da cui non mi sono mai dissociato.

Sta di fatto che, quando sono andato a vivere da solo, i miei non si sono mai preoccupati di smantellare quel sacrario dedicato alla musica new wave, una dimenticanza voluta che mi ha causato non pochi equivoci. Un esempio? Avevo parcheggiato temporaneamente nella mia ex cameretta alcune cose come il mio Mac PowerPC 4400 tra un trasloco e un altro, in pieni anni 90. Ma dovendolo utilizzare per registrare la voce di uno speakeraggio per un cd-rom a cui stavo lavorando, e avendo organizzato direttamente lƬ la sessione di recording convocando un noto attore di teatro per ragazzi, costui mi umiliĆ² senza ritegno avendo frainteso che quello fosse realmente il mio domicilio. “Ma questa ĆØ la cameretta di un adolescente!” mi apostrofĆ² tutto indignato, come se abitassi davvero ancora lƬ a trent’anni. Vaglielo a dire ai miei, avrei dovuto rispondergli. Ma poichĆ© lo pagavo a tempo non ritenni conveniente intavolare scuse o spiegazioni in orario lavorativo, e l’episodio non ebbe seguito.

Oggi conservo ancora molti manifesti che ho accumulato nel tempo sottraendoli a luoghi pubblici prima o dopo i concerti. Ma, come ĆØ facile immaginare, la scala delle prioritĆ  esistenziali mette queste futili reliquie di un passato bello che finito all’ultimo posto, ben oltre le cartelline dei disegni dell’asilo nido dei bambini, persino sotto i moduli delle tasse degli ultimi cinque anni, addirittura meno importanti delle varie vestigia iconografiche delle relazioni sentimentali precedenti, per chi non si astiene – come me – dal passarle nel distruggi-documenti insieme ai progetti andati in fumo.

Per dire, ho un paio di poster veramente belli che non stonerebbero in cameretta di mia figlia, se solo avesse gusti musicali un po’ piĆ¹ raffinati di quello che il mercato le impone. Conservo persino il poster maledetto. Lo chiamo io cosƬ, ma anche i miei se lo ricordano. Una gigantografia di Bowie che vegliava sui miei sonni di tredicenne e che mi era piombata sulla testa proprio la notte in cui mi ero addormentato terrorizzato da un film di paura di cui non ricordo piĆ¹ nemmeno il titolo, tanto ho cercato di esorcizzare quell’episodio traumatico. Esorcizzare? Vuoi dire che…?