pesce piccolo

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Al rientro dalla mega convention nazionale hanno tutti la faccia un po’ così, con l’espressione un po’ così anche se l’incontro non si è tenuto a Genova ma a Roma, e per una volta, visto il nubifragio, sarebbe stato meglio il contrario. D’altronde non capita tutti i giorni di essere acquisiti da una multinazionale più grande della multinazionale a cui si appartiene, un colosso dello stesso settore che ha già pianificato tutto. A parole si tratta di un primo anno di reciproco rispetto e di studio della vision altrui, le identità mantenute – “la nostra storia è troppo lunga per essere fagocitata e dimenticata dal mercato“, ha scritto a chiare lettere il Country Manager – e addirittura i due logo affiancati, per far sentire tutti ancora un po’ a casa. Poi un secondo anno, sempre a parole, di integrazione definitiva nei processi, negli strumenti e nelle risorse. La domanda che tutti si fanno, potete immaginarlo, riguarda proprio quello. Se le risorse, intese come capitale umano, coincideranno, a chi toccherà cedere il posto?

Oggi, a valle della riunione plenaria fuori sede di ieri, gli uffici qui sono deserti, un po’ anche perché è venerdì. Molti ne hanno approfittato per smaltire il trauma a casa, in ferie, a coccolarsi nella sicurezza del presente domestico in un giorno feriale – non c’è niente di più corroborante – prima di affrontare da lunedì il nuovo corso. Ma qui, tra queste pareti asettiche che hanno visto anni di sfide e, perché no, di successi, ora si rincorrono gli squilli telefonici a vuoto, le catene della risposta con le lucine che si accendono in ordine gerarchico. I bambini sorridenti nei portaritratti sulle scrivanie sembrano dire “papà non importa se resti senza lavoro, sarai sempre il più fico manager della mia vita”. I pochi presenti preferiscono non incrociarsi nei corridoi, non sono certo lavoratori inclini all’unione di classe, per intenderci. Abituati alla competitività e a ricoprire ruoli equivalenti, quel tipo di solidarietà che oramai non si vede più nemmeno negli ambienti lavorativi più poveri qui è considerata fuori luogo perché talvolta è un bene – per l’azienda, chiaro, si dicono tutti – approfittare delle débâcle altrui per mettere a segno colpi decisivi.

Ci si chiede che succederà nei prossimi due anni. Ognuno si ritiene un tassello insostituibile, un pezzo di cultura aziendale di cui la nuova società che andrà a delinearsi non potrà mai fare a meno. Di certo a me la fusione non cambierà nulla, si dicono e si scrivono tutti sul loro finto status da sfoggiare alla macchinetta del caffè. Si tornerà ad aggiornare il curriculum, chi a farlo ex novo visto che, dalla laurea in poi, alcuni hanno sempre lavorato qui. Si prepareranno liste di contatti, diretti o tramite strumenti più moderni, anche se qui Internet e le reti sociali non è che si mastichino molto, l’ambiente è giovane ma allo stesso modo un po’ superato. Persone da contattare con più o meno imbarazzo, sai qui le cose stanno cambiando e mi chiedevo se lì da voi ci fosse qualche possibilità. Non importa se a trenta, quaranta o cinquant’anni. Da lunedì ci si rimette sul mercato, o almeno quel poco che ne resta.