amare gli alieni

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Sul tram del ritorno una ragazza enorme in larghezza per la sua età occupa un sedile e mezzo ma nessuno osa dirle nulla per non accrescere l’imbarazzo che, secondo me, invece non prova affatto. Stringe il suo smartphone con le sue dita che piegate così sembrano gigantesche e gonfie e dagli auricolari riconosco il ritornello di “Loving the Alien” di Bowie. Questo mi convince a sedermi accanto, non c’è niente di male a stare vicino alla gente di quelle dimensioni. C’è tutta una scala di valori che induce le persone a stare lontane dalle altre che comprende la nazionalità, il modo in cui sono conciati, l’età, l’avvenenza, l’alito, se parlano da sole o no. Quando facevo il pendolare estremo con viaggi quotidiani andata e ritorno da Genova a Milano cercavo sempre posti con africani o vecchi o gente palesemente disturbata o emarginati così ero sicuro di stare più comodo. Una volta avevo persino incrociato un indiano vero che viaggiava senza scarpe, seduto in posizione da fachiro con i piedi nudi sotto il corpo. Il suo scompartimento era deserto malgrado l’ora e la calca, sentivo molti lamentarsi schifati di quella barbarie, ma io ho voluto provare lo stesso e di puzza di piedi non c’era nemmeno l’ombra, anzi. Così penso al titolo della canzone di Bowie – che faccio subito mio – e mi ripeto che con gli alieni davvero si possa convivere. Sono come noi. Vi faccio un esempio: la ragazza oversize sul tram indossa un paio di jeans strappati secondo la moda e ha persino il parka verde come lo vorrebbe mia figlia e che, appena inizieranno i saldi, mia moglie ed io abbiamo deciso di comprarle. Guarda dalla parte opposta alla mia, oltre il finestrino, la strada vestita da Natale che si affretta a svuotarsi di abitanti per trascorrere le feste a suo modo. Il problema è che l’ultima persona così voluminosa che ho visto ascoltare Bowie era mia sorella. L’obesità da adolescente l’aveva confinata da sola in casa a cantare “Absolute Beginners”, sapete come sanno essere crudeli i ragazzini in queste cose. Vorrei poter essere d’aiuto in qualche modo, magari con una magia risolutiva da liposuzione, toglierle in qualche modo tutta la quantità in eccesso, ma poi penso che probabilmente il peso, Bowie e la solitudine non sono necessariamente fattori correlati, e mi convinco che quella ragazza che occupa un sedile e mezzo sul tram a fianco a me, mentre cerco di stare a mio agio seduto sulla metà che ne rimane, non è detto che debba essere infelice per forza.

una leggerezza insostenibile

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La più eclatante contraddizione della nostra civiltà è la apparente incongruenza tra l’ipersalutismo sbandierato a destra e a manca (e le diete di qui e l’educazione alimentare di là e le palestre e il fitness esasperato e la lotta al cancro che passa anche dal controllo di quello che mangi) e la mostruosa disponibilità (nell’occidente del mondo) di prodotti alimentari, sconcertante quanto la pervasività del marketing e della pubblicità ad essi correlate. D’altronde con automobili di lusso e telefonia temo sia l’unica industria che non conoscerà mai flessione. Che poi si tratta di una contraddizione apparente perché l’obiettivo non è poi così nascosto: è il mercato, baby, che ti vuole spremere il più possibile. Prima, consigliandoti di ingollarne di ogni, e dopo, a pancia piena e borsellino vuoto, convincendoti che così in sovrappeso non puoi vivere, non puoi lavorare, non puoi avere amici, scordati il successo, e ti impone di sudare tutti i chili di troppo pagando profumatamente quel percorso a ritroso, che raramente riporta a destinazione e al punto di partenza, la tua forma fisica che in condizioni normali avresti.

Guardatevi attorno per capire perché il mercato (anzi il supermercato) ha fatto del peso in eccesso la peste del duemila. E poi c’è il fronte della patologia, che dilaga; un tempo era sufficiente non cadere in eccessi, probabilmente gli alimenti erano più genuini, bastava un minimo di movimento per i bambini affinché non iniziassero troppo presto con la tortura della dieta. Oggi occorre stare molto all’erta, perché la vita che conduciamo è quella che è, e in più c’è lo stress del modello vincente imperante: o così (magro/a) o sei tagliato fuori.

La differenza, tra allora e oggi, probabilmente la fa anche l’esistenza di Mtv. Perché questo fenomeno è diventato materia prima per l’ennesimo docu-reality “dedicato a ragazzi un po’ in carne che vogliono perdere peso prima di iniziare il college”. E capisco che il problema dell’obesità negli adolescenti (americani) sia di estrema attualità. Però messo lì, nel paradiso dell’immaginario commerciale adolescenziale, dove tutto è sexy e cool, fa l’effetto opposto. Così fuori luogo, magari dopo uno spot di McDonald o della bevanda gassata o dell’ennesimo prodotto di food entertainment seguito dalla pubblicità di abbigliamento trendy interpretato dalla modella taglia 38. Ecco, di incongruenze è pieno il mondo, le persone obese talvolta ne sono le vittime. E nulla riuscirà a convincermi che c’è qualcuno che si sta davvero prendendo cura di loro.