i migliori passatempi per i giorni che ci separano dal ritorno in ufficio

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Ho controllato, e anche sulla versione più recente c’è ancora il gioco degli scacchi che già sarebbe sufficiente a sancire il primato di un sistema operativo rispetto a un altro, quello che al massimo ti fa cercare fiori sull’ex campo minato a cui è stato cambiato il nome visti i tempi e la globalizzazione. Non è colpa di nessuno se anche in quei paesi dove i bambini saltano in aria e restano senza gambe perché c’è la guerra si vendono computer. Ora io non so giocare a scacchi ma suppongo che l’insieme di regole e di strategie per qualificare un avversario elettronico comporti un livello di programmazione ben più complesso di un solitario con le carte, correggetemi se sbaglio. Ma il problema resta. Con un giocatore così è impossibile imparare. Ho provato a muovere i pezzi a cazzo ma poi subentra la frustrazione che il cavallo è obbligato a spostarsi così e l’alfiere deve seguire solo determinate direttrici che, peraltro, non conosco. E lui, il computer dico, è silenzioso, attende la mossa di un umano la cui personalità è totalmente indifferente ai fini della partita, per di più rassegnato al fatto che qualcuno potrebbe anche dimenticarselo acceso, già consapevole della mossa successiva in eterno. La tecnologia è schiava degli esseri viventi da cui è stata inventata e, fortunatamente, non c’è scampo. Ora non so, forse le cose sono cambiate ed esisteranno siti per sfidarsi online con qualche cervellone russo come un tempo lo si faceva per via epistolare in barba alla censura della guerra fredda. In fondo, tra giocare così e giocare da soli non c’è differenza. Tanto vale sedersi di fronte a una montagnetta di brandelli di puzzle da sistemare senza fretta, un’attività ludica palesemente meno impegnativa seconda solo, in quanto a difficoltà, a scoppiare le bolle di plastica dei fogli da imballaggio, sempre che siate disposti a lavarvi le mani dopo. Io no, ho avuto l’imprinting da infiniti tentativi di collegare insieme migliaia pezzi di cieli infiniti con impercettibili sfumature di azzurro pre-Photoshop sopra al villaggio olimpico di Monaco del 1972, ogni volta con qualche tessera in meno scomparsa nell’aspirapolvere di regine della casa acritiche e grossolane nel modo indistinto di fare pulizia. Frustrati dall’incostanza, dalla difficoltà di individuare nelle nostre case – e con i nostri gatti – uno spazio fisso per la costruzione del puzzle e dall’impossibilità di terminare il rompicapo in questione per poi incorniciarlo e appenderlo sulla parete della cantina, resta solo il gioco dei quindici, quello almeno si può smontare con qualche artificio per ingannare sé stessi che, tutto sommato, qualche abilità ci distingue ancora dagli altri.