strategia del pd per un governo a larghe intese

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letta_comunista

epilogo

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Scroccare una sigaretta elettronica. Fare la colletta di spiccioli tramite rid. Domandare informazioni stradali ai passanti. Nascondere i giornalini porno nei cassetti del comò sotto la biancheria per non farsi beccare dai genitori. Cercare una parola sul vocabolario scorrendo il dito sulla pagina. Sono tante le cose che non ha più senso o che non vedremo più fare. Dopo le cabine telefoniche e le cartoline dalle località di villeggiatura, aumenta vertiginosamente l’elenco delle abitudini destinate a svanire. Però non cantate vittoria, voi postmoderni. Perché non è detto che cambiate le abitudini in meglio e raggiunto il successivo stadio evolutivo – cosa che ci si aspetta grazie al progresso e alla capacità di adattamento all’ambiente e alle condizioni socioculturali se non politiche – l’uomo facendo finta di nulla non decida di retrocedere di qualche passo o tornare indietro di una manciata di caselle senza nemmeno aver sorteggiato una carta degli imprevisti. Un regresso sua sponte. E come se non fosse successo nulla certe usanze date ormai per pienamente archiviate e sulle quali si possono costruire persino barzellette, dopo si ripropongono come cibi maldigeriti, come se qualcuno che non è riuscito ad abituarcisi volesse riportarle in auge a discapito degli altri sperando in fattori quali l’appisolamento delle coscienze, la distrazione da altro a cui pensare, il tempo che lenisce ogni ferita e fa cambiare il giudizio sulle cose. La gravità della situazione. Lo spread. Ecco, dico solo che poi uno arriva a un certo punto e si chiede se davvero qualcuno non ci stia prendendo per il culo. E mi riferisco alla apparente volontà del PD di votare per l’elezione di Marini. No, eh, per piacere. A meno che non ci sia dietro una strategia che, noi della base, proprio non c’è verso di cogliere.

piove, governo di larghe intese

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Mentre il mondo cade a pezzi (cit.) ora che a tutti sembra di aver perso definitivamente la lotta contro il tempo – it’s just a question of time, cantavano proprio quei Depeche Mode su cui ci siamo soffermati ieri – c’è chi alza l’asticella del’ostacolo, sposta più avanti il pallino, si pone nuove sfide da cogliere e vincere. Luca Zaia – sì proprio quel Luca Zaia – qualche giorno fa è infatti sceso in campo contro le previsioni dello stesso, dove il tempo è chiaramente inteso nella sua accezione meteorologica ma il calembour funziona ugualmente. La notizia è che per una volta mi sento di concordare con un leghista. Lo so, un giorno pensi che gufare pioggia faccia più danni al turismo che un arredamento della nonna povera spacciato come percorso di ritorno alle radici della tradizione popolare, quando poi si scopre che chiudere i confini culturali all’Ikea è solo il braccino corto nel non voler investire nemmeno il minimo sindacale per quelli che soggiorneranno nella tua catapecchia che spacci come antica edilizia marinaresca. Dicevo che una volta pensi così e il giorno dopo ti ritrovi a Pontida con le corna. Nel senso di quelle artificiali e vichinghe, cosa avete capito. Ma alla fine quella delle previsioni del tempo è la prova che ci bulliamo tanto della nostra escatologia materialista e poi, alla resa dei conti, cerchiamo solo certezze e nel modo più ordinario. In questo vuoto cosmico, sociale, culturale e politico, gli oracoli più o meno istituzionalizzati che ci avvisano con lauto anticipo se prendere o no l’ombrello o se è meglio starsene a casa anziché mettersi in viaggio alla fine sono quelli che ci azzeccano di più. E non è solo il tempo che fa domani. Riescono a indovinare se sarà coperto venerdì prossimo, sanno già che le piogge termineranno il quindici, e uno può regolarsi. Ma oramai dovremmo aver imparato che mettere in mano all’uomo l’arte divinatoria è un guaio perché ne fa un uso scorretto quanto compulsivo, e l’avere il controllo del futuro non è certo un dono per noi mortali. Ce ne accorgiamo in queste settimane, mentre ne abbiamo i coglioni pieni della pioggia e delle nuvole che siamo già ad aprile inoltrato e ci chiediamo che fine abbia fatto la stagione che tutti aspettano tutto l’anno. Che poi, anche lì, bastava saperlo subito che era così semplice che uno magari ci pensava prima. Voglio dire, se al genere umano sono sufficienti delle prove concrete e tangibili per abbracciare in toto una disciplina come quella del colonnello Bernacca, bastava che Gesù mettesse in atto miracoli più demagogici e populisti come stilare un calendario delle condizioni meteo dei successivi tre o quattro anni che sai quanta fede in più si sarebbe guadagnato. Per non parlare della potenza dei nuovi media. Ai tempi del carta e dei mezzi analogici c’erano solo quelle due o tre certezze che andavano a sommarsi alla saggezza popolare dei calli, delle torsioni dei gatti, dei voli dei gabbiani e cose così. Per esempio era matematico che se a Savona c’era nuvolo potevi stare sicuro che a Genova pioveva, vice versa se a Genova faceva freschino a Savona belin si muoriva dal freddo. Ora è tutto così scontato, accendi la tua app per avere la dimostrazione che la tecnologia controlla persino il tempo. Almeno in quell’accezione lì. E uno si chiede allora perché non i terremoti – come del resto fanno già grillini e stellari – e le altre catastrofi bibliche. Le cavallette. I maya. Ma che ne sappiamo noi di cosa ci riserveranno i giorni a venire, al massimo possiamo sapere fino a quando i vestiti leggeri sarà meglio tenerli ancora nell’armadio. Io però ho una spiegazione su questo prorogarsi della brutta stagione a discapito dei tepori primaverili. Secondo me è tutta colpa della situazione politica, è una sorta di presagio di tempi bui, grigi, duri, che ci aspettano dietro l’angolo se gente del calibro dei cinquestellari avrà la maggioranza. Secondo me è un segnale, è la natura che si ribella alla nostra ignoranza che mentre chiediamo gli autografi a Ruby dinanzi al tribunale di Milano ne gridiamo di ogni alla Boldrini che partecipa ai funerali, rea di rappresentare uno stato che hanno voluto quelli che la stavano fischiando, votando i governi precedenti che hanno peraltro avallato la parentela altolocata della Ruby di cui sopra. Ecco, in questo bailamme che vede scenari che vanno da Grillo a Berlusconi, la natura ci avvisa. Continuate così e avrete solo tempi di merda.

ma non dovevamo vederci più?

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Ero convinto che la questione Renzi fosse stata risolta con le primarie, e Amici come prima. Non è così?

maria-de-filippi-matteo-renzi

se c’era una speranza streamingzita

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Praticamente è come se ve lo stessi raccontando in diretta, più in diretta di un live tweeting.  Negli ultimi dieci minuti sono stato lavato da un’auto che incurante della pozzanghera a cui mi trovavo vicino è transitata a tutta velocità poco prima di rientrare a casa, ho sbattuto la testa contro la maniglia della porta dello sgabuzzino mentre mi toglievo le scarpe inzaccherate di fango e pioggia, ho assistito sul tg3 al fallimento di Pier Luigi Bersani, forse del PD stesso e temo anche dell’Italia intera, ho calpestato con le pantofole il vomito del gatto, inzaccherandole quasi più delle scarpe descritte sopra. Poi mi ha chiamato mia figlia che sta ascoltando la musica chiusa in camera come fanno le pre-pre-adolescenti come lei, ha messo al suo stereo “Sonde” dei Subsonica per ripetere assieme a me quel giochino che facevamo mentre la sentivamo con il lettore mp3 sul treno, con due cuffie e uno sdoppiatore, andando al mare un paio di estati fa, mimando il verso della chitarra con la bocca come se fosse una specie di miagolio. Malgrado sia il verso dei gatti che vomitano. Malgrado venga da vomitare anche a me. Malgrado tutto.

dead man

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Quando uno muore si trova sempre nei giorni a ridosso del funerale qualcuno che sostiene che l’interessato, o meglio il defunto, non è che sia poi morto veramente. Non sto parlando di Elvis Preslely, Bob Marley, Adolf Hitler, Moana Pozzi e tutti gli altri intorno ai quali aleggia il mito della morte auto inflitta per tornare all’anonimato, il cosiddetto suicidio della celebrità, non mi riferisco a questo tipo di sugna per giacobbiti. Solo che c’è spesso qualcuno che è sicuro di vedere la persona che non c’è più che invece c’è, ed è lì a fare qualcosa. Qualcuna delle attività che amici e parenti erano abituati a vederlo svolgere per occupare le sue giornate, raramente invece al lavoro, dietro a una scrivania, al telefono a convincere un giornalista a partecipare a una conferenza stampa. Qualcosa per la quale la persona mancata sarà ricordata dagli altri. Ecco, lo vedo ancora che si aggira lento per la casa in ciabatte con le cuffie wireless calate sulle orecchie che usava per seguire il telegiornale, era un po’ sordo e altrimenti avrebbe disturbato i vicini ma doveva alzarsi per la prostata ogni due per tre, dice uno. Rientro a casa e lo vedo ancora lì seduto in poltrona con i suoi raccoglitori di francobolli in mano, tira fuori i pezzi più rari e controlla se i dentelli ci sono ancora tutti. Li controllava uno ad uno, ed erano operazioni che lo inchiodavano nelle mura domestiche senza limite di continuità, dice l’altro che però si è tratto in inganno usando il tempo imperfetto che fa male alla memoria e fa male ai sentimenti, di conseguenza. Entro al bar e lo sento ancora che litiga con il suo compagno di carte perché è distratto ma è l’unico che gioca con lui e ora, davanti al compagno, il capo squadra non c’è più ma a me sembra che non si sia mosso di lì, dice un terzo. Insomma, il tanto vituperato quarantasette a.k.a. il morto che parla è in fondo qualcuno che ha lasciato se stesso dentro di noi per far sì qualcosa rimanesse anche in sua assenza. Quindi, dichiararlo passato a miglior vita a tutti gli effetti, ci penserei due volte e, almeno, più di tre giorni. Sapete, la politica fa miracoli.

e #adesso?

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E comunque sappiate che essere moderni e connessi e tutte quelle cose lì non ci giustifica dal dire tutte le efferatezze che ci passano per la testa. Tanto è tutto online, è il refrain del momento, come se non bastasse un blackout per azzerare la memoria globale e hai voglia di quanti generatori o UPS ci vogliono. Che non è che me la sia presa, per carità, però che per tutto quello di cui non si ha più voglia si debba utilizzare per forza quel termine lì mi sembra poco delicato. Perché poi ci facciamo la figura di quelli che parlano come le pubblicità, facciamo le citazioni dei programmi televisivi più in voga, ripetiamo i tormentoni dei comici che fanno scompisciare dal ridere cani e porci quando poi ce la tiriamo con l’umorismo di Jacques Tati e i Monty Python e la satira che come la facciamo noi non la fa nessuno e poi non è satira ma solo parolacce e gente che si toglie le mutande in diretta. Insomma, abbiamo tutti voglia di cambiare, questo non significa che il primo che si auto-proclama rappresentante di chi anela al cambiamento si renda meritevole della nostra fiducia. Incarna i nostri valori o, almeno, cerca di smussarli proprio in virtù di quella modernità di cui sopra, del fatto che è tutto online, che siamo tutti connessi. E va bene che siamo arrugginiti, a furia di piangerci addosso i liquidi in eccesso hanno fatto la loro parte corrosiva. Ma a un certo punto, non so voi, ma ho come avuto l’impressione che si potesse avere una marcia in più, non nego anche per demerito dell’avversario. E in quel momento è arrivata la doccia fredda, ancora a proposito di cose che arrugginiscono e vanno a scapito della qualità. Tutto da rifare, mandiamo a casa l’apparato, non servite più, basta cambiamo. Io sono d’accordo, ma c’è modo e modo. Soprattutto, c’è persona e persona. Io, a quello lì, non gli darei nemmeno in mano le sedi del PD da dismettere con le sue cravatte e il suo modo di fare da agente immobiliare. E tutto sommato non esulto perché ha vinto l’uno, so benissimo che di certi problemi probabilmente non verremo a capo così facilmente. Sono soddisfatto però perché ha perso l’altro, perché proprio non ci azzeccava nemmeno lontanamente all’identità di questo partito. Quindi, a freddo, e con tutti i nervi e gli entusiasmi e le tensioni al loro posto, mai meglio di oggi ci sentiamo di dirlo, perché sarebbe stato ingiusto per un popolo che con passione può dare finalmente una svolta a questo paese. A lui e ai suoi modi, ancorché prima dei suoi programmi, va il nostro, e più sentito, rottama stocazzo. Via

se poi il confronto lo vedi come se non te ne interessasse più nulla

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I dialoghi tra chirurghi e infermieri in sala operatoria sono quasi proverbiali, anzi sulla scollatura tra il disimpegno di quelli con il bisturi dalla parte del manico e la tensione di quelli sotto a nervi e organi scoperti ci sono fior fiore di barzellette. Per non parlare dei più noti serial televisivi che hanno ospedali e presidi di primo soccorso come scenario, dove spesso ironia e sarcasmo trattenuti a stento dalle mascherine anti-contagio servono a stemperare le tragedie umane a cui lo staff cerca di porre rimedio. Io credo che sia una vera e propria strategia. Probabilmente si tratta di una materia segreta che si insegna a Medicina, un esame in “Psicologia del paziente sotto i ferri” di cui però non ne viene divulgata l’esistenza ai non addetti ai lavori perché protetta dal giuramento di Ippocrate, in cui il personale sanitario viene edotto sulle tecniche per distrarre il malato. Fico, come direbbe mia figlia. Il guaio è che dipende dall’argomento della conversazione.

Metti per esempio un dentista e la sua assistente che discutono delle primarie mentre ti stanno allestendo la fase due di un impianto che stai pagando in comode rate mensili. Il dentista lancia l’argomento dicendo che domenica andrebbe a votare Renzi ma non può perché al primo turno si è dimenticato, e gli spiace perché vorrebbe proprio cambiare le facce che governano questo paese. E tu sei lì sotto con tre o quattro dita altrui in bocca, oltre a una cannuccia che ti aspira la bava in eccesso, e intervenire è tutt’altro che agevole. E pure quando l’assistente che interpreta il ruolo della valletta sbadata, chiedendo di quali elezioni stia parlando il suo datore di lavoro. Probabilmente anche quello fa parte del gioco di cui sopra, l’infermiera che per contratto non deve avere il cervello funzionante di più rispetto a quello del professionista maschio e laureato.

Avrete capito che se sono così preparato su questo sketch è perché c’ero anche io. Ero lì sotto e sono rimasto a bocca aperta, è proprio il caso di dirlo. Volevo intervenire su Bersani, che è lui il cambiamento mentre quell’altro è un’infiltrazione populista in un sistema che ha il solo demerito di viaggiare troppo in alto e con troppe complessità rispetto alle abitudini socioculturali di cui ci nutriamo. E che se è vero che non siamo noi a doverci adattare visto che la politica è soprattutto la nostra espressione, è altresì importante non accontentarsi del primo caciarone che parla come il popolo di Twitter, a slogan da max 140 caratteri, solo perché siamo esasperati. Avrei aggiunto anche che è importante superare il modello di igienista dentale che il berlusconismo ci ha imposto, che è più o meno quello che ho sotto gli occhi, e che non è che lo si debba seguire per forza.

Ma a conti fatti mi devo sentire fortunato. Ho tastato il polso e la pancia della Gente con la gi maiuscola proprio a poche ore prima del confronto decisivo tra i due sfidanti al ballottaggio. E mentre l’anestesia lentamente defluiva lasciandomi riappropriare del controllo della parte sinistra del mio volto, durante il confronto di ieri sera su Rai Uno mi sentivo proprio come sballottato tra un primario per merito e uno specializzando che è lì per imparare, che è vero che quello giovane a quell’età altrove sarebbe già presidente degli Stati Uniti, ma quello lì è Obama e questo è Renzi, troppo costruito a tavolino per misurarsi con un paese che di operazioni ne deve subire eccome, e non certo di chirurgia plastica. Ora io sarò imparziale, ma quell’altro a furia di voler fare il simpatico alla fine straccia la minchia, scusate il giro di parole. Cioè mi sembra proprio di tornare indietro, agli anni della ruota della fortuna e di Iva Zanicchi. Insomma, non mi capacito di come un elettore del PD con lo spirito che contraddistingue un elettore del PD possa scegliere Renzi come suo rappresentante, ha fornito risposte di politica estera che avrei potuto dare io. E nel break pubblicitario tra la prima e la seconda parte, tra una stilista mai sentita e l’infografica animata di una supposta inserita nel suo ambiente naturale, lì ho avuto la conferma che il problema in Italia è più ampio, se piazzare uno spot in un prime time televisivo con scontro finale politico sulla rete pubblica ammiraglia costa così poco tanto che al posto della BMW hanno dato spazio all’aziendina che vende abbigliamento tamarro al centro commerciale dietro l’angolo.

Comunque poi alla fine, terminato il mio intervento, gliel’ho detto al dentista che cosa ne pensavo. Gli ho detto di darmi retta, che c’è ancora la possibilità di iscriversi al secondo turno, e che però dovrebbe votare Bersani. Gli ho anche spiegato il perché per quanto mi fosse possibilie muovere labbra e lingua, e lui mi guardava come se davvero mi ascoltasse dire cose sensate. Poi ci siamo salutati e sono andato a recuperare la borsa che avevo lasciato in sala d’aspetto. C’era una famigliola di sudamericani e, come prima cosa, ho controllato se nella borsa c’era ancora tutto.

che poi andranno tutti a votare per i montezemoli e a noi ci lasceranno vuoti, senza nemmeno le consonanti

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Io non li sopporto proprio quelli che non la pensano come me in politica, addirittura quando sento un parere discordante, opposto o semplicemente quelli che devono per forza aggiungere qualcosa al mio punto di vista, ecco, più invecchio e più trovo la cosa irritante. Tanto che ho ridotto al minimo questo genere di discussioni e dal vivo quando la conversazione vira su temi di questo genere fingo di dover andare urgentemente in bagno, in ufficio simulo l’arrivo di una e-mail importante, evito i momenti di confronto e le occasioni conviviali con amici e colleghi in periodi a rischio come le elezioni, le primarie, grandi eventi storici e così via. Potete immaginare di questi tempi, quando a credere ancora alla forza di un movimento di persone unite per sottoscrivere un programma siamo meno del cinquanta per cento contro un esercito di cani sciolti che vedono tutto sempre più uguale a non si sa bene cosa. Sono tutti uguali, ho capito, ma qual è l’archetipo? Andreotti? Comunque, sui social network mi scappa di lasciarmi prendere da qualche discussione, in Internet gioca un ruolo fondamentale la comodità di fare qualunque cosa comodamente seduti sul divano di casa propria come un tempo si potevano prenotare gli attrezzi per esercitarsi sugli addominali o le pentole Mondialcasa o persino i mobili di Aiazzone alle televendite, se non ricordo male. C’era sempre una sorpresa da passare a ritirare insieme. Ma al terzo tentativo fallito di convincere l’interlocutore o l’uditorio sul fatto che io ho oggettivamente ragione e che lui/loro non capiscono un cazzo mi rammento della mia disaffezione forzata verso il genere umano oltre la porta blindata di ingresso di casa mia. E il vantaggio insuperabile della rete è che così bastano due clic e non è successo nulla. Questo mood generale spiega cose come l’assenza completa di elettori del centrodestra e oltre dalle mie frequentazioni occasionali, per non parlare delle amicizie. Ho avuto una fidanzata che votava di là proprio come il protagonista di questa storiella qui che mi somiglia moltissimo, un’altra da ragazzino che aveva il papà molto craxiano e lo ho pure votato alle amministrative, sapete vero la boutade dei motori da traino alternativi ai più tradizionali erbivori. Voglio dire, condividere un progetto di vita su valori così distanti è impossibile, per non parlare al lato pratico di cose concrete e delle scelte quotidiane. Magari hai un amico di destra e un giorno te lo trovi come aguzzino in un posto come Garage Olimpo o che ti butta giù dall’aeroplano sull’oceano e non è bello, insomma può essere imbarazzante. Tanto quanto quelli che sostengono chi ha sostenuto Marchionne o pensano che il cambiamento sia da prendere così, basta che scenda uno che dica che vuole cambiare le cose che tutti gli esasperati gli dicono che sono con lui, la vita è adesso, cambiamo il cambiabile e non solo. Dai, su. E in periodi come questi mi verrebbe da litigare con tutti e lo farei se la paura di prendermi un pugno in faccia non superasse la verve polemica, anzi è ancora la rete a venire in soccorso dei pavidi come il sottoscritto che al massimo rischiano un defollow. Un unlike. Una trollata. E così mi viene da scrivere cose come questa che sta per volgere al termine anziché scrivere una analisi più precisa sul significato di questo primo turno. Ma non ne sarei in grado, meglio lasciare a chi lo fa di mestiere. Ubi maior, popolino.

minimal-politik

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Ecco, lo voterei solo per il logo. A pensarci bene, non solo per il logo. Chissà se comunque ha previsto la versione in scala di grigio.